Erano passati poco più di vent'anni dalla sua incoronazione e Gal si sentiva soddisfatta da come era cresciuta Civilty in quel periodo. Poteva sempre condividere i suoi problemi con Nico e Santippe, e anche Shugo era sempre pronto a consigliarla sulle questioni urbanistiche. Grazie a lui la città si stava allargando in modo strutturato, in armonia con il paesaggio. Teneva spesso udienze per ascoltare il popolo, diceva molti si e molti no alle richieste che le facevano. Anche Danny si sentiva molto più felice. Dragomiro era uscito qualche volta in piazza sentendosi in diritto di maltrattare tutti essendo un principe, ma si era visto in giro sempre di meno. Rimaneva dentro il castello esercitandosi nella spada contro il suo sfortunato maestro, cacciando nel parco o abusando della sua posizione con qualche serva. Insomma, a Civilty le cose andavano avanti.
Nella sera buia di quel venerdì d'inverno, la regina aveva partecipato alla messa ascoltando la pioggia scrosciare sui vetri colorati. Uscendo dalla cappella del palazzo, aveva incontrato uno dei servitori ad aspettarla.
-Maestà, i consiglieri la stanno aspettando per una questione importante.
-Per cosa, a quest'ora del venerdì?.
-Non mi è stato detto nulla. Ma so che è arrivato un messaggero, penso venga dal mare.
Il paggio la scortò nel dedalo di corridoi, ma anziché entrare nella sala del consiglio la fece proseguire fino ad una delle stanzette più piccole e si piazzò cerimoniosamente accanto alla porta.
-Sono qui dentro, maestà.
Un servitore stava buttando legna nel caminetto, Santippe Suriano era seduto su una poltrona a fissare le fiamme e seduti al tavolo c'erano Nico Velati e una giovane donna che non aveva mai visto, di vent'anni circa. I lunghi capelli bagnati erano legati da molti nastri azzurri dei colori Velati, indossava un gilet di cuoio con molte tasche sopra alla camicia e gli stivali le arrivavano al ginocchio. I pantaloni erano tenuti fermi da un pezzo di fune. Sullo schienale della sedia teneva un lungo cappotto che sgocciolava sul pavimento, che scivolò giù quando lei si alzò per inginocchiarsi rigidamente davanti alla regina.
-Gal, ti presento mia nipote- la presentò Nico -Lei è Joan Velati, figlia di mio fratello.
-È un onore potervi incontrare, vostra altezza.
Fatto il baciamano l'aiutò a rialzarsi, rivolgendosi a Nico.
-Cos'è successo di tanto urgente da doverci pensare di venerdì sera?
-Joan è capitana di uno dei vascelli della flotta Velati. Ma sarà lei a raccontarti per bene la storia.
"Partimmo dai moli di Porta Orientale ben più di un mese fa, verso la metà di ottobre. Sulle date forse non sarò molto precisa perché in mare i giorni procedono simili tra loro, ma cerchiamo di tenere il diario di bordo aggiornato. Veleggiammo verso sud, diretti ad una delle piccole isole dell'oceano meridionale. Lì avevamo lasciato alcuni mesi fa un gruppetto di coloni, che si erano occupati di raccogliere risorse naturali dall'isola. Quando li andammo a prendere, avevano un bel carico di spezie e legname pregiato che caricammo a bordo. Con la mia nave, la Bizal-Mat, facevamo soprattutto questo tipo di lavori: abbiamo una grande stiva ma non siamo pesanti quanto una regolare nave da carico. Salpammo dall'isola senza problemi, ma l'indomani incontrammo una bonaccia che non presagiva nulla di buono. Passammo il giorno quasi senza muoverci almeno fino al tramonto, quando cominciò a soffiare un bel vento di scirocco. Spiegammo le vele fiduciosi, ma ce ne pentimmo presto. Il vento continuò ad ingrossarsi fino a diventare una vera e propria bufera: il mare si sollevava altissimo facendo beccheggiare la nave e le raffiche rendevano pericoloso spostarsi all'aperto. Stasera mi vedete bagnata per la pioggia, beh non è niente rispetto a quella sera. Lavorammo nel buio illuminati solo dai fulmini per ammainare le vele fradicie e girare la nave parallela alla corrente per non farci ribaltare, ma il ponte si inclinava comunque da far paura e ho visto con questi occhi un'onda alta quando il nostro albero di prua portarsi via Jimmy Belbow. Il mare sarà la sua bara."
Il racconto di Joan aveva stregato tutti, che trasalirono quando entrò uno dei servitori portando un vassoio con dei calici e un po' di cibo. Era ora di cena e Joan era particolarmente affamata dopo tanto tempo passato in mare. Tra una fetta di pane e un pezzo di formaggio, proseguì il suo drammatico racconto.
"La tempesta durò tutta la notte, il giorno successivo e la notte ancora dopo. Poi finalmente all'alba del secondo giorno il vento cominciò a calmarsi. La pioggia continuò comunque a cadere fitta fino al tramonto e faceva così freddo che non c'era verso di asciugarci. Non eravamo preparati a questo, dato che il nostro viaggio doveva portarci a sud verso le isole tropicali. Riuscimmo finalmente a triangolare la nostra posizione con le stelle: la tempesta ci aveva lasciato alle stesse latitudini di dove eravamo partiti ma molto molto più ad est e questo allungava molto il nostro viaggio. Ci rendemmo anche conto di essere finiti oltre i limiti delle carte nautiche che avevamo, ma non era un problema. Sapevamo che per Civilty bastava veleggiare dritti in direzione nord-est. Ma dopo un paio di giorni di navigazione in cui il freddo si faceva sempre più pungente, ci trovammo davanti qualcosa di inaspettato."
Joan fece una pausa per finire il calice di vino, lasciando tutti in sospeso.
-Cosa trovaste?- la incalzò la regina, impaziente come una bambina che sta ascoltando la storia della buonanotte.
La marinaia si spostò davanti al camino, buttò dentro un ciocco di legna e proseguì.
"In quel momento ero nella mia cabina ad aggiornare il diario. Entrò timidamente Rojo Belly, tenendosi il cappello fra le mani. "Non dovresti essere di vedetta, Rojo?" gli dissi "Sono qui per questo, capitano. Non ho bevuto rum stamattina, ma ho visto comunque una cosa incredibile. Ora di vedetta c'è Ralph, ma vorrei che venissi tu stessa a guardare dalla coffa". Uscimmo fuori dove trovammo tutta la ciurma a guardare dal ponte verso nord, non serviva salire in coffa per vedere una striscia di terra allungarsi a nord. Avvicinandoci, continuammo a scandagliare il fondo per non finire su una secca e il nostromo triangolò più volte la posizione per essere certo di ciò che tutti pensavano: avevamo trovato una terra non segnata sulle mappe. Quando fummo abbastanza vicini, la osservai meglio con il cannocchiale: le spiagge erano chiuse da banchi di ghiaccio, la neve copriva ogni cosa e anche gli alberi erano statue bianche. Ipotizzammo che il clima freddo di quel posto scontrandosi con le correnti calde dell'oceano aveva generato quella tempesta in cui eravamo finiti. Ci si poneva davanti una scelta: fermarci a cercare cibo, che ci sarebbe sicuramente servito nel nostro lungo viaggio di ritorno verso casa, o proseguire svelti. Il problema principale era l'equipaggiamento, indossavamo già i nostri vestiti più pesanti, ma morivamo dal freddo. Decidemmo infine di fermarci solo per lo stretto necessario a riparare i danni che aveva fatto la tempesta mentre un piccolo gruppetto sarebbe sbarcato su una scialuppa. Non fu una missione fruttuosa, tutto era coperto di neve e non c'era verso di cercare piante e tantomeno tracce di selvaggina. Ci si sarebbe dovuti spingere verso l'entroterra dove le foreste sembravano più fitte; riuscimmo però a recuperare grosse quantità d'acqua potabile sciogliendo la neve. Il gruppo di spedizione raggiunse con fatica anche la cima di una collina, e videro con il cannocchiale che più a nord il clima si faceva più mite e nella neve si aprivano sprazzi di verde. Inoltre, non sembrava trattarsi di un'isola. La costa girava ad angolo retto intorno alla collina, arrivando da ovest e proseguendo verso nord.
Andammo ancora avanti seguendo la costa verso settentrione e potemmo vedere delle cose meravigliose, che se me l'avesse raccontate un altro non ci avrei creduto. Ma giuro che questi occhi hanno visto, e con i miei anche quelli di tutto l'equipaggio, il paesaggio innevato scomparire nel giro di poche decine di chilometri e il clima farsi di nuovo tropicale. Vedemmo le colline lungo la costa punteggiate di alberi e un'altissima formazione rocciosa -penso fosse una specie di vulcano- colare lava dritto nel mare. Proseguivamo abbastanza tranquilli adesso perché in un paio di occasioni eravamo riusciti a scendere a riva e procurarci del cibo, cacciando e raccogliendo frutti dalle palme. Nei boschi dell'entroterra, la vegetazione è piuttosto simile a quella di Civilty. In una decina di giorni cominciammo ad avvicinarci alle latitudini del nostro regno e sapevamo che presto, a malincuore, avremmo dovuto abbandonare la nostra esplorazione e dirigerci verso est per tornare a casa. Ma proprio allora accadde la cosa più impensabile di tutte. Perché trovare un nuovo continente può succedere, ma quando sulla riva appare un molo e delle barche e delle persone anche, allora ci si chiede davvero quante meraviglie restano ancora da vedere.
Le persone che incontrammo erano piuttosto curiose su di noi, ci raggiunsero con molte scialuppe salutandoci e facendoci tante domande, volevano anche salire a bordo ma non glie lo permettemmo dato che non conoscevamo le loro intenzioni. Ma sembravano gentili con noi e la lingua che parlavano era molto simile alla nostra anche se le parole che abbiamo in comune sono pronunciate in modo strano, diverso. Decisi di scendere a terra con i nove compagni che consideravo più affidabili, e riuscimmo a farci portare da quello che doveva essere il loro sindaco. Regina, non so descriverle davvero la sensazione che provavo camminando per quella città: dalle costruzioni, dalla disposizione delle strade, dalle insegne, poteva sembrare Civilty. Eppure sapevo di trovarmi a centinaia di chilometri da casa, oltre un vasto oceano, in una terra a noi sconosciuta. Il loro sindaco ci diede il benvenuto e ci offrì del cibo, che portammo anche ai nostri compagni rimasti sulla Bizal-Mat. Ci raccontò che il loro villaggio era chiamato Pasir-Emas, che nella loro lingua significa all'incirca sabbia d'oro. Scoprimmo che di insediamenti come quello ce n'erano molti, sia sulla costa che sulle colline nell'entroterra. Ognuno aveva un sindaco, una carica soprattutto rappresentativa dato che il popolo riesce ad autogovernarsi bene come era a Civilty fino a vent'anni fa. Tuttavia anche se la loro civiltà sembra essere molto più antica della nostra, non si sono mai dovuti riunire in un regno per unificare tutti questi piccoli villaggi. Scoprimmo molte cose nei quattro giorni che passammo lì alla fonda, ma ciò che mi colpì di più è che loro sembravano già conoscere la nostra civiltà nonostante noi ignorassimo completamente la loro esistenza. Nonostante questi piccoli misteri, ne approfittammo per mangiare a volontà tutte le prelibatezze locali, imparare un po' della lingua e scoprire la loro cultura. Di aspetto ci assomigliano molto ma anche se è dicembre rimangono abbronzati come noi d'estate, hanno inoltre occhi grandi e affusolati che a me paiono molto dolci. Li si sente spesso cantare, soli o in gruppo. Sarebbe stata una vacanza deliziosa, ma ci premeva tornare il prima possibile a Civilty a riferire la nostra scoperta. Così una volta rifornita la nave, salutammo i nostri nuovi amici dirigendoci dritti verso levante, fino ad incontrare i familiari moli di Porta Orientale."
Tutti tacquero. Il racconto di Joan aveva fatto viaggiare anche loro lungo mari e coste lontane. Anche Gal e Santippe, che non avevano mai preso una nave, sentirono il desiderio di partire verso l'oceano. Gal si alzò, con la testa piena di pensieri.
-Sicuramente avremo molto a cui pensare nelle prossime riunioni, amici miei. Questo è un evento storico che supera persino la mia incoronazione. È opportuno fissare una riunione domani stesso, chiameremo anche Shugo e dovrai esserci anche tu, Joan, a darci tutti i dettagli che puoi ricordare. Se vuoi portare alcuni dei tuoi compagni tanto meglio, basta che si vestano in modo adeguato ad un palazzo reale e non ad una nave. Per stasera, abbiamo parlato abbastanza.
-Certamente, vostra altezza- la salutò Joan con un inchino.
-Un'ultima domanda. Avete battezzato questa terra, o aveva già un nome?
-Nel nostro diario di bordo l'abbiamo chiamata solo… Nuovo Mondo.