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Chapter 57 - LVII° strascichi di acuminata follia

Era notte fonda.

Appena le palpebre cominciavano ad abbassarsi mi venivano in mentre degli strani pensieri.

Quanto mi fa arrabbiare.›

‹Che cosa?›

‹Che una persona come lei non mi faccia dormire.› -e la cosa mi innervosiva assai.-

Non feci altro che ripensare ai suoi comportamenti degli ultimi tempi.

Udiì alcuni passi, la solita guardia del turno di notte.

-Sbuffai sonoramente- ‹Dannazione!›

*click*

La mia testa scattò su.

Una figura ben vestita si trovava a qualche metro da me, con la mano ancora 'poggiata sulla porta. Mi stava osservando.

«Questo è l'incubo più irritante che abbia mai fatto.»

«Divertente.» la sua voce piatta mi arrivò dritta nei timpani.

«Okay, no, è troppo reale. Da troppo fastidio per essere un incu–..» m'interruppe «Dacci un taglio.»

No. È proprio lui.› -constatai- ‹Quì. Dentro la mia cella.›

Mi misi seduto e puntai le mani ai lati delle mie gambe.

«Cosa porta il Dio dell'olimpo a scendere le scale del suo impero per venire a trovare i poveri esseri che lui stesso ha condannato?»

Aprì un poco di più la porta, fece mezzo passo, ma non entrò dentro.

Ridacchiai con sarcasmo «Ha paura di sporcarsi le sue ciabatte d'oro entrando dentro a questa terra putrida?»

«Smettila.» così disse, ma mica entrò. ‹Se teme che se entrasse possa raggiungerlo con una sola falcata ed ucciderlo, pensa bene.› «Non sei divertente.»

«Lo sono eccome, sei tu che non cogli.»

«L'ultima volta ricordavo che il tuo linguaggio fosse un po' meno scurrile e più da...» lasciò la frase in sospeso.

«Fuck off.»

Mio padre commentò «Ah, ecco, mi sembrava.»

«Dovresti perlomeno apprezzare che io non abbia scordato la nostra lingua madre.» parlai con una nota di divertimento nella voce.

«Scommetto che le imprecazioni sono l'unica cosa che ricordi.»

Sbuffai «Non apprezzi mai.»

Non riusciì nemmeno ad essere cattivo come al solito per quanto fossi interdetto dalla situazione.

Se è venuto quà c'è qualcosa di "grosso" sotto.› -pensai.-

Jonathan domandò «Ti ricordi di quando eri nelle mani di Philipp, vero?»

-I miei nervi scattarono sull'attenti- ‹Me lo sta domandando... sul serio?!›

«Mi stai prendendo per il culo spero.»

Sospirò sommessamente «Non ti agitare.» ‹Per davvero?› «Era solo una domanda.»

Io ringhiai «Una domanda di merda.»

«Ricordi anche le urla che sentivi?»

Il respiro mi si mozzò.

La mia memoria ne era rimasta marchiata a fuoco. Non avrei mai, e dico mai, potuto scordarle.

«Quelle che provenivano dalla stanza–..» «La 4. Sì.»

Io, ai tempi, ero situato nella 2.

«L'hai mai vista?» domandò ancora.

Lo osservai con un cipiglio.

«Perchè mi stai facendo tutte queste domande?»

E lui, anziché rispondere, richiese «L'hai mai vista?»

«No.» riposi poi «Solo sentita...»

Jonathan constatò «Quindi non hai idea di che faccia abbia.»

Strinsi i denti «No, e se lo sapessi, a quest'ora non ce l'avrebbe più una faccia.»

Mi restò a guardare. Non disse niente. Sapeva benissimo che non avrebbe potuto, conosceva l'odio nero che provavo per quella persona.

A causa sua, mia madre è stata uccisa. Se non avesse appiccato quell'incendio...› -serrai gli occhi.-

Il mio sguardo incombé su di lui «Perchè mi stai facendo queste domande?»

«Non–..» «C'è qualcosa che non so.» feci per alzarmi «E se tu stai osando nascondermi qualcosa su questa storia, su mia madre, ti giuro che–..» fu sua la volta di interrompermi «Cosa, mh? Josephine è morta, Aron.»

Mi ritrovai in piedi con un solo scatto.

«Sì. È morta!» alzai il tono di voce «E la causa è stata quell'incendio.»

«No.»Non voglio sentirlo.› -pensai, perchè dal suo sguardo già avevo intuito.- «Sei stato tu, la causa.»

«Quel coltello doveva essere per te!»

Mi trovai con poca aria nei polmoni, come se avessi appena finito di correre una maratona.

Rimase a fissarmi.

«Josephine è morta, a causa tua, non importa per chi fosse il colpo. Lo hai sferrato e basta.» rivangò «Ora è inutile tirare fuori discorsi sui morti.»

Un sorriso storto mi piegò il volto «Certo, a te infondo non interessa...»

«Mi è interessato solo spendere tutti quei soldi per un funerale a cui non è venuto nessuno, se non la causa dei suoi mali.»

Mi avventai su di lui, ma prima che potessi afferrarlo aveva già richiuso la porta della cella con un tonfo. Misi le mani attorno alle sbarre e le strinsi con una forza atroce quasi volessi piegarle sotto il mio volere. E lo avrei fatto, se avessi potuto. Ma non potevo fuggire da questa gabbia di ferro. Né dalla nostra conversazione che non sembrò essere terminata lì.

«Sei troppo violento. Non pensi, agisci e basta.» mi stava facendo la ramanzina?

Una risata silente mi scosse le spalle.

«Ora dimmi perchè sei venuto fino a quà con l'intenzione di farmi delle domande senza logica.» dissi «A meno che non ci sia, perchè c'è, vero?»

Mi guardò e basta. Ed io volli ucciderlo. Non poteva fare così, ora.

Egli «Non mi puoi essere utile.» fece per girarsi.

«Me la spieghi una cosa?»

Il mio quesito lo fece fermare.

«Me lo sono sempre domandato.» lui non mi interruppe, segno che potessi continuare «Perchè hai deciso di darmi in pasto a Philipp?»

Il suo sguardo freddo, che in quel momento non sembrò più così freddo, mi fu addosso. Ci lessi... Non avrei saputo dirlo.

«Volevo curarti.»

Jonathan Jhones (POV'S)

...FLASHBACK...

*toc toc*

Qualcuno bussa alla mia porta, e poi, entra.

«Ciao Jon.» mi saluta Philipp.

«Qual buon vento ti porta nel mio triste ufficio?»

«Naah!» fa un giro su sé stesso per guardarsi intorno «L'hai arredato bene.»

Incrocio le gambe tra loro e mi metto più comodo sulla sedia.

Decido di aprire io la conversazione «Di che cosa hai bisogno? È strano che tu venga quì, di solito ti limiti a farmi uno squillo.»

Si avvicina a me e poi si appoggia sulla mia scrivania mettendo i palmi a lato delle gambe. -Il mio sopracciglio ha un guizzo all'insù- ‹Mi stai lasciando le impronte, maledizione!›

«Tu mi diedi dello scienziato pazzo quel giorno, ricordi?» mi guarda con... non lo so, non riesco a capire «Ma ti ho perdonato.»

«Non era mia intenzione.»

«Tuo figlio.» mi dice.

Mio figlio...?› -mi ripeto in testa.- Mi metto sulla difensiva «Mio figlio cosa?»

«Mi incuriosiì molto quando lessi la sua storia, e poi, me ne parlasti tu stesso.» dondola le gambe «Ma rivederlo così di persona è stato d'impatto. Me lo aspettavo... diverso.»

Mi scosto dallo schienale della sedia «Per quale motivo ne stiamo parlando?»

«Ha l'aspetto di un ragazzo, ma lo sguardo di un uomo.»

Mi sta facendo innervosire, ed io, non mi innervosisco mai.

Espiro dal naso «È Aron l'argomento?»

«Lo affideresti alla mia cura?»

Come?› «Come?»

Philipp balza giù ‹Finalmente.› e mi si avvicina «Tu hai sempre voluto che lui fosse diverso da quello che è.»

«Continua.»

«Be', potrebbe esserlo.»

«L'argomento mi interessa.»

Il mio socio tira fuori un sorriso a trentadue denti «Col la mia versione X possiamo plasmare la sua mente fino a fargli dimenticare, archiviare, chi è per poi riplasmarlo. E sarà la cosa più difficile.»

Dopo aver ascoltato gli domando «E qual è il prezzo?»

«Dopo, dovrà continuare a prendere quelle pastiglie. Sarà un processo lungo.»

«E quanto lungo?»

«Almeno 6 mesi.»

Sbatto le palpebre «Così tanto?»

«Sì. Ma anche meno, insomma, dipende tutto da quanto è forte la sua mente.»

«Mh...» chiudo gli occhi per un attimo e faccio un verso quasi divertito.

Così, Philipp mi chiede «Quanto è testa di cazzo da uno a dieci questo ragazzo?»

Torno a guardarlo «Lo è cento.» dico «È il Dio delle teste di cazzo.»

Così, il giorno dopo, lo faccio portare nella sua area.

...FINE FLASHBACK...

Ai tempi, ero così disperato, che acconsentiì senza avere davvero idea di quello che facesse davvero o come trattasse il tutto lì dentro. Ma ad un padre disperato delle volte toccava ricorrere a metodi disperati.

Aron Jhones (POV'S)

«Curarmi...?» dissi con mero disprezzo.

«Sì. Al tempo, ero sicuro della mia scelta.»

Mi copriì il viso con una mano ed iniziai a sussultare sommessamente. Cominciai a ridere, in modo sguaiato.

«Curarmi. Curarmi... Curarmi! Lui, pensava di "curarmi"!»

Restò fermo a guardarmi. Non disse niente.

Jonathan, mio padre, proferì parola «Non ero a conoscenza di come trattasse i pazien–..» «Mi torturava!» gridai all'improvviso «Hai la minima idea del dolore che ho provato?!»

...FLASHBACK...

‹Il bastardo mi ha legato.› -penso mentre mi dimeno.-

Odo la porta che si apre.

«Ed eccoci quà!» proferisce.

«Slegami immediatamente!»

Mi dimeno, e questa posizione a faccia in giù non è per niente comoda.

Gli dico «Di' la verità, vuoi per caso stuprarmi?»

«Come scusa?»

Lo illumino «Sai... Mi hai messo legato su questo coso incurvato a 60°, è normale che lo vada a pensare.»

Philipp se la ride «Mi piace il tuo senso dell'umorismo. Ma, tranquillo, è solo necessario perchè tu non ti possa assolutamente muovere.»

Lui mi si avvicina. Ne percepisco i movimenti, sento mentre si infila i guanti e poi noto che prende una siringa che sarà stata spessa tre millimetri e lunga quindici.

Che cavolo vuole farmi questo pazzo?!›

Ci mette interi minuti a prepare.

«Okay, ora ti farò un'iniezione che farà in modo di andare a colpire l'ippocampo. Dopo aver aperto un "varco", da lì, inizierà il processo retrogrado. E sempre da lì, potrò giocare con l'ipnotizzarti il cervello.»

«Ma che stracazzo di boiate stai sparando?!» cerco di guardarlo mentre mi divincolo.

«Oh, tranquillo.» dice «Farà male solo all'inizio. Per le prime due sedute.»

«Che cosa intendi di–..» mi blocco «Cazzo!» urlo.

Percepisco l'ago che s'infilza nella mia carne, lo sento penetrarmi in profondità. Uno spillo acuminato mi buca l'osso. E fa così male...

Una fitta atroce destabilizza ogni mio nervo. Stringo gli occhi, mi duolono. Batto così forte i denti che sento il sangue in bocca.

Sento ogni cosa. La sento tutta.

Sono così teso che i muscoli mi fanno male. Tremo. Espiro, ed ispiro. A tentoni.

Dura un attimo.

Lo sento mentre mi sfila pian piano l'ago dai tessuti con precisione disarmante.

«Ecco fatto.» annuncia Philipp «Ora dovrai rimanere così per un po', devo controllare come reagisci all'iniezione.»

Mi sento la testa pesante.

«Dovremo attendere un paio d'ore.» dice, e poi, va via.

E quel paio d'ore, si trasformano nel mio inferno sulla terra ferma.

...FINE FLASHBACK...

Ricordavo ancora quel giorno.

Il male che sentiì fu bruciante, potei percepire i miei nervi aprirsi come frutti maturi ed i muscoli contorcersi. Il mio cervello spezzarsi. E le fitte che ebbi nei giorni seguenti mi fecero gridare fino a perdere la voce.

Ma, le mie urla, non sarebbero mai state disumane quanto quelle della persona che si trovava nella stanza 4.

«Mi d–..»

«Ti...?» lo incitai «Cosa?!»

Non riuscì neanche a finire la frase. Perchè lui non era un uomo dalle scuse facili, o dai rimpianti logoranti, no. Lui era fatto di freddo acciaio scalfibile col niente.

Girò il busto, e senza guardarmi e né dirmi altro, se ne andò com'era arrivato. In silenzio.

Rose Valentine (POV'S)

«Voglio le prove.» gli dissi.

«Come?»Non far finta di niente fottuto bastardo.›

«Voglio la cazzo di prova che non mi stai prendendo per il culo.»

Claus sorrise storto, perchè, lui, non era in grado di sorridere in modo normale.

Tirò fuori un vecchio cellulare, ci smanettò su per un attimo e compose poi un numero.

Ci buttai l'occhio.

.CHIAMATA.

_Damon_

Il cuore...

«Sì?» rispose.

Mi si arrestò per un attimo. Persi un battito.

Claus fece per allungarmi il telefono.

«No.» tuonai.

E col sottofondo della voce di mio fratello, non potei fare altro che dirgli di sì.

Nicolas Kepler (POV'S)

Mi stavo aggirando nei dintorni del cortile, e la notai.

Fatti gli affari tuoi, lasciala in pa–..› «Taylor.» Come non detto.›

«Che cosa vuoi?» mi chiese con sguardo spento.

-Deglutiì- ‹Dovrei dirglielo? Che lui è quì? Che indossa una maschera?›

«Ascolta...» cominciai «Devi stare atten–..» «Heilà!»

Un braccio entrò nella mia visuale dopo avermi cinto le spalle.

Rose «Che bella giornata!» esclamò «Oggi finalmente inizia a fare più caldo, siamo in Primavera!»

«Stavamo avendo una conversazione.»

«Non stavamo avendo nessuna conversazione.»

Rose guardò entrambi.

Perchè ha voluto interromperci?›

In seguito guardò esclusivamente me.

Taylor balzò in piedi «Me ne vado.» No!›

«No, aspetta!» stetti per fare il passo, ma la mano che mi puntò Rose al petto me lo impedì.

Prima che potessi dirle qualcosa lo fece lei «Che cos'è che sai?»

La guardai interdetto.

«Perchè ci hai interrotto?»

-La osservai con attenzione- ‹Avanti, dimmi perchè.›

Rose si avvicinò di un po' «Se osi parlarle di Claus, ti ammazzo.»

Che-cosa-ha-appena-detto?›

Quando si allontanò ci fissammo facendo a gara a chi lanciava più sguardi minacciosi all'altro.

Le domandai «Tu sai che io so, ma io non so cosa tu sai. E perchè.»

«Il perchè è personale.»

Ridacchiai, non mi trattenni.

«Che cos'hai da ridere?!»

Tornai con lo sguardo nel suo che era a dir poco adirato dalla mia reazione.

«Lui è bravo a comprare le persone, è una delle sue arti migliori, sai?» le dissi.

Rose «Non sono te. Né gli altri.» sputò acida.

«Certo.» acconsentiì «Sei solo più disperata.»

«Taci.» ringhiò.

Io insistetti «Cosa o chi ti ha promesso?»

«Non sono affari tuoi.»

«Qualunque cosa sia lui non ce l'ha e se ce l'ha, non te la darà.»

«Vedi di smetterla.»

«Sei così tanto sicura di voler vendere così l'anima al diavolo?»

Batté un piede a terra.

«Sta'-zitto. Cristo!»

Lei non sa come funziona.› -dissi fra mé e mé- ‹Ma io sì.›

Mentre indietreggiai per andarmene le dissi «Guardati le spalle, da me.»

E poi, voltai le mie, senza paura. Oramai avevo imparato come subire i colpi nel caso fossero arrivati.

Aron Jhones (POV'S)

Scorsi una figura dirigersi verso il fondo del cortile, proprio verso il muro.

‹'Quel', muro.

Le andai a dietro.

Quando ebbi spostato e quindi oltrepassato il muretto la vidi lì, in ginocchio, a fissare il nulla.

«Si può sapere per quale dannato motivo sei venuta quà?!» alle mie parole improvvise neanche sobbalzò.

Mi piazzai in piedi al suo fianco.

«Aron...» disse flebilmente il mio nome.

Si coprì il volto col palmo della mano, e strinse. Notai i suoi nervi tendersi.

Cominciò a ridere.

«Sto diventando pazza.»

Rise. Ma non con una nota di divertimento, ma di disperazione.

Rimase in quella posizione per un tempo indefinito.

«Non mi sento. Non riesco più a parlare nella mia testa, se non con una voce che non mi appartiene davvero.» usò un tono graffiante di dolore.

Le toccai le spalla, e quando si scoprì il viso, notai una miriade di lacrime solcarle le guance.

Mi accucciai al suo fianco e lei appoggiò la testa sull'incavo del mio collo.

Devo staccarmi.› -pensai  allarmato- ‹Questa vicinanza, non va bene. Io la odio.› Ma mentre pensai tutto quello, non mi mossi.

«Ti prego...» strinse in un pugno la mia maglia «Ti prego...» notai il suo viso deformarsi «Liberami.»

«E come?» mi ritrovai a domandarle con un fil di voce.

E quando tirò su la testa, giusto quel poco, il suo solito sguardo non esisteva più.

«Uccidimi.» gracchiò «Uccidila.»

Non fui in grado di staccare gli occhi dai suoi.

Poi scattò, si tolse da me. Lo fece in un modo così improvviso che mi fece sussultare.

Qualcosa sembrò essersi appena attorcigliato alla sua mente, alla sua anima. Ed ai suoi occhi.

Mentre la guardai ci vidi un animale spaventato che era sempre stato rimasto chiuso al buio e che ora era stato buttato fuori, nuovo, alla luce del sole.

Aveva la schiena appiccicata a ciò che le si trovava dietro con le mani che stringevano il bordo in marmo della fontana così forte da farle diventare del medesimo colore.

Non mi stava guardando. Stava guardando altro. Qualcosa che io mai avrei potuto vedere e che lei mai mi avrebbe potuto mostrare.

Quando mi mossi verso di lei il suo sguardo s'imbatté nel mio. -Mi fermai- ‹Sembra intriso da strascichi di follia.›

«Vieni quà.» le feci segno.

Mi comportai proprio come si faceva con uno di quei cani randagi che volevi cercare di avvicinare per strada.

Fui lento nei movimenti. Quando le fui abbastanza vicino la presi per le braccia e la feci alzare.

«Andiamo.» le dissi.

Ce ne andammo da lì.

La luce del sole illuminò le nostre figure.

Lei, si bloccò.

«Non c'è.»

«Come?»

Guardò a terra.

«Non c'è.» ripeté a voce più alta.

«Di che parli?»

«Non c'è!» si dimenò «L'ho detto!»

Non la lasciai, cercai di capire, ma mi fu impossibile.

«Di cosa stai parla–..» «Non c'è cazzo! Non lo vedi?!» urlò, attirando attenzioni di terzi.

Era agitata, continuava a guardare per terra ai suoi lati. Cercai di tenerla ferma ma aveva l'agilità di un'anguilla!

«Non c'è non c'è non c'è non c'è non c'è non c'è non c'è...» continuò a ripetere imperterrita senza prendere aria.

La tenni saldamente per le spalle.

«Guardami, hey! Ascolta. Che cosa non c'è? Cosa stai cercando?» cercai di sovrastare il suo continuo ripetere quella frase «Taylor!»

E come un tasto, quando lo pigiai, la feci fermare.

«La mia ombra.» ‹Cosa?› «Te l'ho detto che sto svanendo, io te l'ho detto!» ricominciò ad agitarsi.

Mi tirò una manata che mi colpì sullo zigomo, la girai di schiena con prontezza e la strinsi forte a me rischiando che mi arrivassero delle testate dritte sul naso. Si stava dimenando troppo, tenerla ferma mi fu difficile. Dopo che ebbe cominciato a scalciare la tirai su non permettendole di toccare terra! Mi intimò di lasciarla, di non toccarla, ma non la ascoltai.

«Senti, la tua ombra c'è!» sovrastai la sua voce «Guarda! Per terra! È per terra!»

«Hey!»

«No, no, non c'è! Non c'è!»

La girai «Sì, eccola, guarda!» aveva le palpebre così serrare che temetti potessero fondersi tra loro.

«Hey!»

«Apri gli occhi accidenti a te!» le sbraitai contro mentre la scuotevo da una parte all'altra.

E quando li sbarrò, si fermò.

Una testa dai capelli color bianco sporco si immetté nella mia visuale «Che stracazzo fai?!»

I muscoli di lei ora erano distesi. Si era completamente calmata. Non era più agitata, non stava più urlando.

Ma ora, quello agitato, ero io.

Nicolas la tirò dietro di sé «Cosa le stavi facendo?! È Cl–..» «Aron.» la sua voce ora flebile chiamò il mio nome.

Nicolas sbattette le palpebre «Aron...» ripeté fra sé e sé.

Taylor mi disse «Grazie.» si accorse poi dopo dell'elemento disturbatore «Tu!?»

«Ma come, io!»

Volli prenderlo a pugni «È meglio che tu te ne vada se non vuoi che inizi a rancarti via la mano con cui hai osato toccarci.»

Puntò lei col braccio teso «Stava gridando! E tu...»

«Io, cosa?!»

Nicolas fece una smorfia.

«E tu sei quello capace solo di ferire, non di curare.»