La porta si apre.
«Signore?» dice una vocina.
«Sì?»
‹È la voce di mio padre.› -dico fra mé e mé- ‹Non l'ho mai sentita così intrisa di... "umanità", forse?›
«Ha proprio una bella casa.» gli dice la bambina.
Mi giro sul divano per vedere le facce dei nostri ospiti.
Noto questa piccoletta dai lunghi capelli bruni e dagli occhioni con una sfumatura sul verde scuro che vengono illuminati dalla luce del mattino proveniente dalla grande finestra del salone.
Mia sorella si avvicina a lei «Ciao.» dice, soffice «Io sono Grace.»
«Io mi chiamo Taylor!» allunga il braccio tutta contenta e pimpante.
La donna che le tiene la mano sorride raggiante, è molto bella. Quando la guarda perfino i suoi occhi sorridono.
Grace poi chiede «Oh, e tu invece? Chi sei?»
Sposto lo sguardo dall'altra parte, a destra della donna, tiene un'altra piccola mano nella sua.
«Lei invece è Harley.» risponde al posto suo.
E quando ritorno con lo sguardo sul suo viso, non sorride più come prima. Mentre guarda lei... ‹È come nostro padre guarda noi.› -finisco di dire nella mia testa.-
«Siete due gemelle!»
Nostra madre fa capolino dalla cucina.
«Ciao, è un piacere avervi quì.» gli dice mentre si tira giù la manica dove ancora si notato i macconi risalenti a qualche giorno prima.
«Io sono Sara, piacere mio.» si presenta.
Torno con gli occhi puntati su quell'altra bambina.
Mi sta guardando. Non ci leggo gioia, spensieratezza, dolcezza. No. Lei è tutto l'opposto della sorella. Ha un qualcosa di molto cupo in quei due occhietti poco più scuri. Un qualcosa di... curioso. Strano. Quasi spaventoso per una bambina della sua età.
«Claus, io fra poco esco.» mi avvisa Aron.
Mi rimetto composto «E dove vai?»
«Esco.» ripete «La casa si è fatta stretta all'improvviso.»
Lui non si degna neanche di vedere chi ci invaderà l'abitazione per circa una settimana.
Sento le voci di Jonathan e Philipp provenire dalla cucina.
«Oh, Christian!» nostro padre lo chiama appena lo nota venire giù per le scale «Questo è mio figlio.»
‹Sto per vomitare.›
Sara e Josephine li raggiungono mentre chiacchierano.
Mi alzo dal divano insieme ad Aron «Sì, vengo anche io.»
Prendiamo le nostre cose.
«Ragazzi.» ci richiama nostra madre «Dove state andando?»
«Usciamo mamma.»
Chiede ancora «A quest'ora?»
«Sì a quest'ora.» le rispondo in modo brusco.
Aron mi fulmina, e poi le dice «Tranquilla, saremo a casa per pranzo.»
Io lo sto già aspettando sulla soglia della porta.
«Wooow!» sento dire -Faccio una smorfia- ‹E adesso che vuole questa mocciosa?› «Anche voi siete gemelli!» Aron la guarda dal basso verso l'alto, non le risponde «Però siete diversi da me e da mia sorella. Sapete? Lo siamo anche noi, però–..» «Stai zitta.»
I nostri sguardi si spostano sulla figura di Harley.
«Scusa...» Taylor abbassa la testa.
Il tono che ha usato per zittire la sorella è stato agghiacciante.
«Taylor?» la richiama la madre «Vieni quà.»
«Arrivo mamma!»
Aron mi sorpassa.
Dovrei smettere di osservarla. Ci stiamo guardando senza dire niente. Dovrei andare, dovrei...
«Tu non provi l'istinto di fargli male?» ‹La sua voce...› -neanche mi sembra che appartenga ad una bambina.-
«Che cosa intendi?»
«Al tuo gemello.» risponde «Come se non dovesse esistere, come se invadesse la tua persona. Come se non ci debba essere qualcuno così uguale te che può derubarti l'immagine.»
Rimango di sasso.
Un largo sorriso fino alle orecchie che non mostra i denti le si dipinge in volto «Ah, è vero, voi non siete uguali.»
Indietreggio e poi esco da quella casa.
Più i giorni passano e più mi accorgo che in quella bambina c'è un qualcosa di meramente risucchiante.
Gli sguardi, le movenze, le parole che non pronuncia ma che pensa... Tutto.
Se c'era una cosa che ho notato era che la madre da sole non le lasciava mai, fino a questa sera.
«Noi stiamo uscendo.» dice mia madre «Ci vediamo più tardi, va bene?»
Grace annuisce «Tanto ci siamo noi in casa.» e guarda Sara «Non si deve preoccupare Sara, ci pensiamo noi alle bambine.»
Josephine si volta verso la sua figura preoccupata «Grace non le perderà di vista, è responsabile. È poi ci sono Christian ed i ragazzi.»
I nostri padri erano andati via per lavoro e loro due ne stavano approfittando per uscire e farsi una serata tra donne.
Così ci salutano.
Grace «Chris!» lo richiama con quel suo fare da comandante.
«Sì?» ‹Bleah, come pende dalle sue labbra.›
«Potresti andare fino in pizzeria?»
«Sì, che pizza vogliamo mangiare?»
Faccio una smorfia e sicuramente anche mio fratello avrà fatto la stessa cosa.
«E voi?»
Accendo la play.
«Gta?» chiede Aron.
«Nah, meglio Cal–..» «Hey. Ho chiesto a voi due.»
Mi giro verso Grace «Ah sì?»
Christian commenta «Sì, Claus, smettila di fare lo stronzo. Aih!» guarda Grace «Mi hai fatto male!»
«Non dire le parolacce davanti alle bambine!» lo ammonisce.
Aron interviene rispondendo a quel che Christian ha detto l'attimo prima «Abbassa i toni, sempre che tu non voglia che te li abbassi io.»
«La volete smettere?! Volete davvero cominciare?!»
Mi alzo con uno scatto e vado a spegnere la tv.
Grace è seria in volto «Che c'è?»
«Vediamo di non fare finta di non odiarci a vicenda solo perchè adesso ci sono loro.» indico le due gemelle «Perchè non funziona.»
«Perchè devi sempre fare così?»
«Così come?!» alzo il tono.
Sento la voce di Aron «Vedi di calmarti.» ‹Ma col cazzo che mi calmo!› -lo fulmino, ma non mi guarda.-
Christian le tocca la spalla «Non lo vedi? È inutile provarci.»
Lei, ovvio, non lo ascolta «Ti ho chiesto soltanto quale stramaledetta pizza ti va di mangiare Claus.»
Aron ora è al mio fianco.
Io «Senti fottut–..» mi sento strattonare all'indietro «Per me prosciutto e funghi, grazie, Grace.» -Guardo Aron da oltre la spalla- ‹Mi ha appena strattonato?!› «E tu?»
Mi tolgo la sua presa da dosso «Io passo.»
Torno sul divano e riaccendo la tv.
Christian parla «Aron, perchè non gli dici qualco–..» «Non voglio sentire le tue lagne. Diglielo tu se ci tieni.»
Detto questo lo noto risedersi al mio fianco.
Decidiamo poi di mettere un film e non voglio commentare la discussione che c'è stata per questo. Quando arrivano le pizze Christian, Grace e le gemelle vanno a mangiarle sul tavolo. Aron fa lo stesso. Ma solo perchè odia sporcarsi i vestiti mentre mangia, e accadeva sempre, è sempre stato peggio di un uomo delle caverne. Mentre be', io, rimango quà. Da solo. Sul divano. A mangiarmi la mia pizza margherita.
Taylor domanda «E il vostro fratellone? Perchè non mangia quì anche lui?»
«Perchè è antipatico.» ‹Grace.› -mastico nei pensieri.-
Sento una sedia che si sposta. Una figura mi siede accanto ora.
‹Perchè-mi-si-deve-avvicinare?!›
Harley mastica la sua pizza con lentezza e neanche mi da mezzo sguardo.
«Capisco il tuo odio.» dice ad un certo punto, ma io, non le rispondo.
Quando il film termina Aron esce per buttare i cartoni.
Grace chiede alle bambine «Vi va di fare un gioco di società?»
«Siiiiiì!» risponde Taylor, Harley alza le spalle.
Poi mia sorella guarda proprio lei «Ti va di andarlo a scegliere tu? Si trovano nel corridoio.»
Lei senza emettere un fiato zampetta fuori dalla stanza.
«Tutto okay?» domanda Grace.
Osservo Taylor, sta ancora guardando il punto in cui è sparita la sorella.
«Giochiamo tutte insieme?»
La guardo con un cipiglio.
«Sì.»
Taylor «Non voglio più giocare.»
«Perchè?» le domanda Grace con confusione «Eri così entusiasta.»
«Non mi piace...»
«Cosa?»
«Giocare con lei.»
Noto la confusione sul suo viso «Perchè?»
«Perchè si comporta male con me, quando giochiamo.»
Le sorride «Può capitare che ci sia qualche battibecco tra fratelli, ma tranquil–..» «No.» nega con la testa «È cattiva con me.»
Le fa una carezza «Capita anche questo, a volte.»
Taylor nega ancora «A lei non piace giocare con le cose, non si diverte. Si diverte solo quando gioca con me.»
«Be'.» le fa mia sorella «Giocate solo voi allora.»
«Ma io non voglio giocare a quello che vuole lei.»
«E allora diglielo, cambiate gioco.»
La guarda triste «Non posso.»
«Perchè?»
«A lei piace giocare solo a un gioco con me.»
«Cioè?» chiede seguendo il discorso.
«A me non mi va.»
«Di fare cosa?» cerca di capire.
«Di far finta di morire.»
Mia sorella ha gli occhi spalancati «Cosa vuoi di–..» «No.»
La presenza di Harley è tornata nella stanza.
E continua a dire «Non ho trovato niente che mi piaccia.»
La stiamo guardando tutti, tranne Taylor. Punta lo sguardo a terra mentre Harley col suo la trafigge.
Il pomeriggio dopo sto per uscire di casa, passo per il salotto. E la vedo.
È lì davanti all grande finestra immersa nella luce del tramonto che gioca con le sue dita facendo delle strane movenze in aria.
«Sai» quando parlo, si ferma «non capisco perchè parli solo con me.»
«Perchè quello che ho dentro io ce l'hai anche tu.» ‹Oh, no no.› -penso con divertimento.- ‹Ciò che hai tu non ce l'ha nessuno.› «So che pensi che non è così.»
«Perchè non lo è, infatti.»
Si alza da terra «Ah no?» mi guarda dal basso.
«No.» mi abbasso alla sua altezza «Io lo distruggo e basta quel che mi sta intorno, mentre tu lo risucchi.»
Harley sorride, allegra.
«Ma ti incuriosisco.» mi sputa dritto in faccia «A te piace essere risucchiato da questo, da me. E so che mi verrai a cercare.»
-Mi rimisi dritto- ‹È peggio di quel che pensavo.›
«Sei solo una bambina.» le dico, e vado via.
Passano altre mattine, altri pomeriggi, altre sere. E poi arriva quel giorno.
...FINE FLASHBACK...
Addirittura il tempo attorno a noi sembrò essersi bloccato. Perfino per me quei ricordi avevano un bel peso, e non lo avrei ammesso mai, ma lei ebbe ragione. Perchè così poi fu.
...FLASHBACK...
Ci aveva messo giorni.
Io «Sei sicuro?»
«Sì, lo sono.»
E non so per quale motivo, sto seguendo Aron.
‹Perchè sei curioso di come lei sia adesso.› -mi parla all'orecchio- ‹Te lo chiedi ormai da anni.› -continua imperterrita- ‹Ed ora sai che siete più simili di quel che pensasti.›
‹No, su questo, sbagli.›
‹Lei è una macchia nera, e anche tu.› -mi dice- ‹Quale più grande similitudine?
Ci fermiamo davanti ad una casa.
Aron ringhia feroce «È questa.»
La luce della cucina è accesa.
‹E adesso?›
‹Non lo so.›
‹Che vuoi fare?›
‹Non lo so.›
‹Non di certo ciò che vuole fare lui.› -dice.-
‹Che–..›
Il barile di benzina è riverso a terra.
«Aron!» lo richiamo.
Ma, lui, ha già lanciato il fiammifero.
...FINE FLASHBACK...
Quella notte io e mio fratello ci separammo.
Risi. Risi di gusto.
«Pensare che avessi ragione, ora come ora, è assurdo–..» ‹Non c'è.› -mi guardai in giro- ‹Dove cazzo è andata?!›
Ma sapevo già dove si volesse dirigere, o da chi.
Aron Jhones (POV'S)
Questo posto stava per crollare da un momento all'altro.
‹Dannazione dannazione dannazione dannazione!› -mi strinsi nelle spalle per il freddo.- ‹Dove potrà mai essersi cacciata?›
Svoltai nel corridoio adiacente.
Io «Ma che diamine...» commentai.
‹Che cosa ci fa quì uno specchio?› -pensai con confusione.- Vidi un me stesso inquietante. Alzai una mano, e questo, fece lo stesso movimento. Poi alzai l'altra e fece la stessa cosa alla perfezione.
‹Mi stai giocando qualche brutto tiro?› -le chiesi.-
‹Io non sto facendo nulla.›
Scossi la testa. Ero dannatamente in confusione, come poteva esserci uno specchio quà in mezzo al corridoio? Stavo dando di matto.
Tornai con lo sguardo su questo "me". Rimanemmo a fissarci, a meno che io non facessi una mossa, lui non si muoveva.
Mi sentiì in uno stramaledetto cartone animato di quelli esileranti.
Sospirai «Non ho tempo per questo.»
‹Farò il giro lu–..›
Ma mi bloccai. Bloccai tutto.
Stava sorridendo.
Sorrise in un modo così tirato ed inquietante che mi misi ad indietreggiare così veloce che finiì per inciampare nei miei stessi passi.
Lo guardai, io dal basso, e lui dall'alto.
«Vuoi una mano» me la allungò «fratello?» ‹Fratello...?› -deglutiì rumorosamente.-
Mi rimisi in piedi con uno scatto e nel farlo barcollai.
«Non dici niente?»
Avevo davanti il diavolo.
«Com'è avere il proprio incubo quì reincarnato davanti a te?» chiese sornione.
Digrignai i denti.
«Non sei il mio fottuto incubo.»
‹No, hai ragione. Il tuo incubo sei tu.› -mi disse- ‹Lui è soltanto l'estensione.›
Averlo davanti a me, non seppi cosa mi scaturiì all'interno.
Era passato tanto tempo. Forse troppo. Non avrei mai pensato di rivederlo, non in questa vita.
«Oh, perdonami.» parlò «Solo un secondo.»
Alzò una mano e si tirò la pelle del mio viso che fino a prima gli stava incollata addosso come se fosse davvero sua. La pelle finta cadde a terra.
«Claus.»
Il suo nome rotolò fuori dalle mie labbra come una spina che aveva raschiato per troppo tempo il fondo della mia gola.
Ghignò «Allora non ti sei scordato il mio nome, fratellino.»
Di lui non mi ero mai scordato niente. Né ogni sorriso, né occhi pacca, né ogni parola o sguardo. Né la voce. Né i modi. Né quel suo fare che ti manipolava fino allo sfinimento del tuo essere.
«Non me lo chiedi perchè sono quì?» ‹Per me.› «Taylor.» ‹Cosa?› «Tu non lo sai, vero?»
«Che cosa?» la lingua mi si sciolse.
Claus sorrise «Tu non sai chi è.»
La testa mi cominciò a duolere. Misi una mano sulla fronte.
«Harley, te la ricordi, vero?»
E quel nome, graffiò feroce nei miei timpani.
«E come non potrei?» il mio tono fu più acido di quanto avessi potuto immaginare. ‹Come potrei... dimenticarla?› -mi dissi.-
E poi, il blocco. Il fermo dei miei nervi, dei miei muscoli, dei miei battiti.
Claus mi disse «Ti si è accesa la risposta come una lampadina, mh?»
«No.» indietreggiai, indietro, indietro, sempre più indietro «No no no no no no no, no. No!»
«Ossì...»
-Mi guardai le mani- ‹No.› «Che cosa vuoi dire?» ma quando glielo chiesi non lo stavo più guardando.
«Taylor» pronunciò «è Harley.»
E fu lento.
Ed il disgregamento, fu impatto.
Tutto combaciò in una maniera maledettamente perfetta. E mi malediì, perchè non avevo dato ascolto al mio istinto. Alla ragione che si trovava al mio interno.
«È colpa tua.» lo accusai «Tu la salvasti.»
Un rumore. Quello di un passo.
Una presenza. Alle mie spalle.
Claus «Sei scappata, doll.» le sorrise.
Io non mi voltai. Non volevo vederla.
«Aron.»
E lei, lo fece. Fece l'unica cosa che non avrebbe dovuto. Mi chiamò. Pronunciò il mio nome.
Quel suono arrivò debole ai miei timpati ma forte al mio petto. La testa iniziò a vorticare.
‹Guardala.›
‹No...›
‹Guarda quella ragazza.›
‹No.›
‹Guarda ciò di cui ti sei innamorato ed odialo.›
«No!» spaccai quel silenzio con la voce.
E la guardai. E la vidi, Harley, in tutto il suo splendore.
La riconobbi. Ne riconobbi i lineamenti, ora da adulta, e gli occhi. E lo sguardo... No. Quello, non era il suo.
‹No farti prendere in giro. Non farti abbindolare.› -mi ricordò saccente.-
«Tu mi hai mentito.» le parlai «Per tutto questo tempo, tu–..» «Alt!» mi fermò mio fratello per mettersi a fare l'avvocato difensore «Lei era sotto l'effetto del Cluster di tipo X, il vostro.»
Risi «No no no no,no. No.» scossi la testa.
«Invece sì.» ‹Sta'-zitta.› «Sono stata sottoposta a quell'inferno per quattro anni.» ‹Non ti voglio sentire.› -mi tappai le orecchie, come se potesse servire.-
«A causa di quello psicopatico di tuo padre, sai che cosa ho passato?!» ciò che avevo trattenuto stava sgorgando fuori «È causa tua se–..» «Mi-stai-accusando?»
Taylor Vega (POV'S)
Il mio tono fu velenoso, non mio.
Puntai gli occhi nei suoi «Tu, osi accusare... me?»
-Lo guardai come mai avrei pensato di poterlo guardare- ‹Con odio.›
Il vaso stava buttando fuori tutto dalla sua anfora.
Claus mi si avvicinò «Harle–..» «Non toccarmi!»
Il mio scattare lontano dal suo tocco non gli piacque.
«Dovresti non aver timore.» fece un passo «Non dovresti guardarmi così.» ne fece un altro «Dovresti solo dire grazie.» mi fece indietreggiare «Io ti ho salvato.»
Toccai il muro con la schiena.
‹Lui... mi ha... salvata?›
Claus «Ti ho portata fuori da quelle fiamme!»
...FLASHBACK...
Non riesco a dormire, sarà almeno da mezz'ora che sto cercando di contare le pecore ma niente funziona.
È trascorso qualche anno da quel giorno.
«Uff...» mi giro sul fianco.
Guardo il letto, ora vuoto, accanto al mio.
‹Lei non c'è più.› -penso- ‹No, finalmente.›
Sorrido. Ma, allora... Perchè quando lo guardo sento che mi manca qualcosa?
La porta cigola. Mi tiro su seduta.
«Mamma?»
È in piedi, proprio sul ciglio della stanza.
‹Perchè non dice niente?›
Passano interi secondi che sembrano minuti.
«Tu mi hai sempre odiato.» rompo il silenzio «Tu amavi solo lei.»
La verità, era questa. È sempre stata questa.
«Non so che essere tu sia, ma di certo non sei figlia mia.» dice con voce roca.
Io avevo sempre saputo che c'era qualcosa di molto storto in me. Di malato, malandato, orrido, putrefatto, malevolo. Un qualcosa di completamente diverso da quello che c'era in mia sorella o in ogni altro bambino. Da me scappavano, fuggivano. Tutti. Sempre. Avevano paura, gli altri, dei miei sguardi.
Nessuno si avvicinava a me. Al mio animo così nero, a parte quel ragazzo. Quando io gli andavo a parlare o gli andavo a fare certe domande lui non si comportava come gli altri. Rispondeva, oppure, al massimo, se ne stava zitto. Ma non scappava. Non era mai scappato.
Sara, mia madre, osservò il letto dove nessuno avrebbe più dormito.
«Tu l'hai uccisa.»
Si ode un 'click'.
«L'hai ammazzata a causa di quegli stupidi giochi che ti inventavi.»
...FINE FLASHBACK...
Deglutiì.