...FLASHBACK...
«Dai, Taylor, muoviti.» le dico. -Le punto il bastone contro- ‹Mi diverte torturarla.›
Taylor si lamenta «Non ci voglio salire...»
«Uffa!» m'innervosisco «Devi solo salire su quello stupido muro di mattoni per poi buttarti all'indietro e morire.»
«Ma è alto.» ‹E si lamenta. E si lamenta. E si lamenta. E si lamenta!› nel mentre che lo dice però sale, perlomeno.
«Che ci voleva?» le tiro un'occhiata annoiata «Ti devo spingere io?» salgo su e la raggiungo.
Taylor scuote le mani davanti a sé «No, no!»
«Bene, allora vai.»
Guarda giù.
«Devo cadere di schiena...?» domanda «Non mi farò male?»
«Uffa! E muo–..»
Faccio un movimento brusco. Due mattonelle crollano. Manco il muretto col piede. Finisco per spingerla. Lei si aggrappa a me. Mi tira giù con sé. Le cado addosso. Sento un crack.
Mi tiro sui gomiti «Che male...» provo dolore «Accidenti a te...»
Siamo cadute da mezzo metro.
Io «Sei una stupi–..»
Guardo Taylor, ha gli occhi aperti, puntati nei miei.
«Taylor?» la chiamo «Taylor?! » la scrollo.
Mi siedo sulle ginocchia. Mi guardo le mani- ‹Sangue.›
«Che è successo?» sento una voce.
Mi giro verso di lui
Claus «Aron.» lo raggiunge «Che cosa stai–..»
E poi, mi vede, la vede, vede tutto.
Scappo, corro in bagno.
‹Devo lavarmi.›
Apro l'acqua. Scorre.
‹Vai via! Vai via!›
Il lavandino si colora di rosso.
Non so quanto sia passato, mi sono chiusa dentro il bagno a chiave. Continuano a bussare e a gridare ma non ho intenzione di aprire la porta.
«Harley! Harley!» mi chiama mia madre «Che cosa hai fatto!?»
Grida, disperata, lacerata.
‹L'ho uccisa.›
‹Sì. L'hai fatto.»
‹Non volevo.›
‹Sì. Lo volevi.›
‹Non è vero.›
‹Eccome. Invece.›
‹È stato il sasso...›
‹No, sei stata tu.›
‹Non è vero!›
‹Il collo glielo hai spezzato tu.›
‹No, non è vero!›
‹Invece sì.› -mi dice ‹Hai voluto giocare.›
...FINE FLASHBACK...
‹Tu, l'hai uccisa.› -mi ricordò- ‹Con un gioco per bambini.›
...FLASHBACK...
Sento di nuovo quel click.
«Devo rimediare al mio errore.» mi dice mia madre.
‹Una pistola.› -la guardo, illuminata dalla luce che proviene da fuori.-
«M-mamma?» balbetto.
Rimango ferma nel letto, mentre lei si avvicina. E me la punta in fronte.
«Di' buona notte.»
E succede. All'improvviso.
Scoppio. Sparo. Fuoco. Aria. Respiro. Dolore. E, in fine, ricordi sparsi.
...FINE FLASHBACK...
Qualcosa che non volevo, ma che non potei controllare, prese il possesso della mia gola. E risi di gusto. Risi come una pazza.
«Cosa c'è di divertente?» domandò, nervoso.
«Tu.» risposi fra le risate «Claus.»
Il suo bel viso si contorse in un'espressione rabbiosa.
«Non avresti dovuto salvarmi.» il mio tono fu ricolmo di rancore.
...FLASHBACK...
Non capisco niente, sento solo il calore. Respiro a malapena. Mi sembra di dondolare dolcemente. Sto galleggiando in aria? No, non è questo.
Passi, sento passi. I passi di una corsa.
«Harley, cazzo!» ‹Ma questa voce...› «Rimani sveglia!» ‹La conosco?›
‹No, è impossibile.› -mi dico- ‹È solo un'allucinazione. Una dolce allucinazione.›
Apro gli occhi.
Appena mi tiro su a sedere i polmoni faticano a raccattare aria e la gola mi duole, me la stringo. Tossisco.
‹Sono viva.› -e questo pensiero fu forte.-
Appena mi riprendo un attimo faccio mente locale, vago in giro con gli occhi. Che posto è questo? Vecchio, logoro, una catapecchia. Mille spifferi di luce entrano dal soffitto in legno e si diramano per la stanza.
Sobbalzo «Chi sei?!»
Questo chiedo alla figura che si trova nel semibuio di questo buco.
«Ciao.» si alza in piedi «Ricordi?» viene alla luce.
«Claus...?»
«Sì, proprio io.» -Sbatto le palpebre- ‹Com'è possibile?›
È cresciuto parecchio, non ha più l'aria di un ragazzino. Ora ha i lineamenti feroci da combattente. E quegli occhi, i suoi occhi, che mi erano sempre piaciuti tanto, sono rimasti esattamente gli stessi di tre anni prima.
«Sono passati due giorni, ti sei svegliata solo ora.» mi fa sapere.
Non so cosa dire, come agire, come interagire.
Claus mi dice «Quel pazzo di tuo padre ti verrà a cercare.»
‹Come dice?› «Come dici?»
«So qual è il suo progetto. La stessa sera che arrivaste lo trovai. E capì i suoi piani per te.»
«Io n-non–..» mi interrompe «Non c'è tempo. Devo portarti al sicuro.»
Sta già preparando i borsoni.
«E chi se lo immaginava, che mi saresti venuto a cercare per davvero, Claus Jhones.»
...FINE FLASHBACK...
‹Aspetta.› -mi dissi.- Una domanda si impossessò della mia mente. Mi risvegliai in modo improvviso.
Claus Jhones (POV'S)
«Che fine ha fatto mia zia?»
‹Ed eccola, la domanda da un milione di dollari.›
«Che-cosa-le-hai-fatto?!» mi ringhiò contro.
Sospirai.
«Lo uccisa.»
La guardai dritta in faccia, e lo vidi, quel suo sguardo. Gli occhi che mi erano mancati.
Harley mi fu addosso «Che cazzo vuoi dire?!» strinse il collo della mia maglia con forza. ‹Perchè se la prende tanto?› -mi chiesi.-
«Lei voleva dirtelo.»
«Cosa!» mi gridò ancora in faccia «Cosa!»
Misi una mano sulla sua «Voleva dirti la verità, non voleva più ascoltarmi.»
Aron intervenne «Che cosa vuoi dire? Tu cosa c'entri?»
‹Oh, giusto, non lo sa. Non sa niente.›
Così raccontai «Tua zia voleva raccontarti la verità su tutto. Ma se lo avesse fatto prima che tu potessi ricordare da sola il tuo cervello sarebbe imploso su sé stesso. Così...»
«L'hai uccisa.» terminò per me.
Aron «Tu» masticò fra i denti «cosa c'entri con tutto questo?!»
Mi girai verso mio fratello.
«Quando la salvai dovevo cercarle un posto sicuro, io avevo il tempo contato. Poi mi presero, e da lì, non seppi nulla per un po'. Solo tempo dopo tramite alcuni informatori venni a sapere che la trovarono per strada e che la misero in una casa famiglia finché suo padre non scoprì dove fosse.» gli raccontai «Quando mi arrivò la voce che aveva dato fuoco a questo posto feci fare varie ricerche. Venni a sapere che sua madre aveva una sorella, e così, cercai di metterti in contatto con lei. Inizialmente non fu facile, insomma, non è roba di tutti i giorni una storia così no? Allora la minacciai. E lei accettò.»
La storia era assurda, quanto contorta. Io c'entravo più di quanto ci si potesse aspettare con la vita della ragazza che mio fratello odiava a morte.
Riecheggiò nell'aria quel suono così ilare, ma che addosso a lei, poteva essere solo macabro.
«N-on ci... credo.» disse Harley fra le risa' «È-è. Oddio!»
«Mi spieghi cosa c'è di così diverte–..» «Ti sei ossessionato a me!»
‹Avanti, dille che non è così.› -mi suggerì- «Forza. Diglielo.›
Serrai i pugni.
«Claus Jhones!» gesticolò come se dovesse presentare un qualche prodotto «Ossessionato dalla quì presente!»
‹Ti vuoi far prendere in giro in questo modo?› -mi parlò ancora.-
‹No, certo che no.›
‹E allora dille qualcosa.›
Rimasi coi pugni chiusi a guardarla prendersi gioco di me.
‹Sei patetico.› -mi disse- ‹Pa-te-ti-co!›
«Ossessionato...» ripeté Aron.
Aron Jhones (POV'S)
Indietreggiai volendo allontanarmi da entrambe queste due rovine in carne ed ossa.
Io non ci credevo, non potevo, a tutto questo. Le nostre vite erano un miscuglio di cose combacianti ed intrecciate.
Lei faceva fin troppo parte della mia vita. E fu questo, a rendermi cieco di rabbia.
«Nicolas.» parlò Claus «Per quanto tempo ancora vuoi rimanertene nascosto lì dietro?»
‹Cosa?› -mi guardai attorno.- E come per magia spuntò fuori da dietro il muro adiacente.
Si udì un suono differente dal vento. Mi voltai in direzione di quel rumore smussato da quello che proveniva da fuori, e lo vidi. Arrivò in scivolata dal corridoio affianco.
«Fermo!» tuonò Christian.
‹Che diamine ci fa quì?›
Claus «Che dispiacere vederti.» lo guardò con noia.
E l'impatto del ritrovarselo davanti a sé dopo anni lo lessi chiaro nella scintilla che passò per i suoi occhi. Per lui, Claus, era un incubo. Non per me.
«Christian...» sussurrai. ‹Devi andartene.› -gli parlai con gli occhi, ma lui non colse.-
Mio fratello gemello si mise a ridere sguaiatamente mentre guardò ciò che teneva in mano con ilarità.
«Davvero?» lo derise «Ti devo ricordare com'è finita l'ultima volta che mi hai puntato una pistola contro?»
Dopo questa affermazione la tenne più saldamente fra le mani.
Qualcosa di polveroso mi arrivò sugli occhi, non feci quasi in tempo a capire di cosa si trattasse che sentiì urlare «Il soffitto!»
Alzai lo sguardo.
Un crollo. Delle grida. Una spinta. Una caduta.
Rose Valentine (POV'S)
Corsi. Corsi. Corsi più che potevo.
Che razza di posto era questo? C'erano fin troppi corridoi, troppe ubicazioni.
Il pavimento tremò. Tutto quà stava per cadere a pezzi, il tornado stava trasportando con sé i detriti e chissà cos'altro che ora stavano cadendo dal cielo come proiettili e 'sto posto non avrebbe mai potuto reggerli. Questo ci era arrivato venti minuti fa dall'altoparlante. C'erano già stati dei crolli, dei pezzi di mura, che erano caduti. Le fondamenta erano buone ma non il materiale con cui era stata costruita l'intera struttura. Molti edifici erano già stati rasi al suolo per questo. L'unica fortuna che avevamo avuto noi a parte la tempesta di fulmini e saette era che ci stesse passando abbastanza lontano, ma questo non avrebbe di certo dimezzato i possibili danni.
Durante la mia corsa inciampai su qualcosa, o avrei dovuto meglio dire, qualcuno.
«Rose?» ‹Christian?› «Che cosa ci fai–..» «Stai bene?» lo interruppi in ansia.
Era pieno di polvere in faccia, ma a parte la tosse sembrò star davvero bene. Non aveva nulla che non andasse.
Quando mi fui accorta che non ero inciampata su di lui spalancai le palpebre.
Il ragazzo affianco a me esclamò «Dammi una mano!»
Mi inginocchiai sul pavimento sporco proprio di fianco a Nicolas che continuava a lamentarsi come un bambino.
«Merda merda merda merda merda!» imprecò «La gamba, cazzo! La gamba!»
In due non saremmo mai riusciti a spostare quelle macerie per liberarlo.
«Rose, aiutami!» mi disse Christian.
‹È impossibile.› -dissi fra mé e mé.- «Chr–..» «Avanti!»
Un detrito del soffitto non ancora venuto giù del tutto mi finiì in testa.
«Dobbiamo spostarci!» mi alzai in fretta «Ci crollerà addosso!»
Ma lui non mi ascoltò, continuò invano a stringere i denti ed a voler spingere senza poter davvero spostare niente di mezzo millimetro.
La riconobbi la forza che si estendeva per i suoi muscoli e per i suoi nervi, quell'urlo dentro alti occhi, che non voleva mollare. Lasciar perdere. Che voleva e che doveva fare qualcosa.
E mi dispiacque vederlo così. Perchè mi ci rividi. Rividi me stessa, mentre cadevo da quel tetto, mentre mi aggrappavo al niente, mentre non avrei potuto aiutarlo. Mai più.
Un altro piccolo pezzo mi finiì addosso.
Io «Christian cazzo!» urlai.
E all'improvviso si udì qualcos'altro. Un'eco si propagò lungo i corridoi ed io mi ritrovai ad osservarne la fine, in attesa. C'era qualcosa che si stava dirigendo verso di noi a gran velocità. Non uno, erano in tanti, forse cinque o sei. E le voci. Si udirono anche le loro voci.
«Sono laggiù!»
Una luce mi accecò, fui costretta a ripararmi il viso con una mano a farmi da visiera.
«James.» Christian si alzò in piedi «Sei qu–..»
Gli arrivò un gancio di una potenza tale che lo fece finire a terra.
James gli urlò contro «Volevi per caso giocare a fare l'eroe?!» e lui, non rispose, perchè aveva ragione.
Assieme a questo ragazzo ce n'erano altri, ma non erano parte del carcere. La loro divisa era differente ed anche il loro vestiario. Armi, giubbotti antiproiettile, cinture, granate. ‹Chi diavolo sono questi? Una specie di militari?› -dovetti chiedermi.-
Uno di loro mostrò il distintivo «Siamo delle forze speciali, siamo quì per aiutare i possibili superstiti e per la cattura di Claus Jhones.»
Christian con ancora la mano a tenergli la guancia colpita si tirò su in piedi.
«Avete fatto presto.» gli disse.
«Il prima possibile, col tempo là fuori non è stato semplice.»
Un altro tremolio.
Nicolas, silente fino ad ora, parlò «Per favore, aiutatemi!»
Quando uno di loro fece per andare da lui venne fermato dall'uomo che aveva parlato fino ad ora «Siamo quì per la cattura del soggetto CJ. È questa la priorità, penseremo più tardi al resto.»
«Cosa?» esclamò Christian «Non lo aiuterete?!»
Si guadagnò una brutta occhiata «Siamo quì anche per lui. Conosciamo la sua storia, e senza commentare, non è una priorità.»
Christian stette per ribattere «Ma voi–..» ma fu interrotto da James «Ci è chiaro. Va bene.»
Chi comandava l'operazione gli mise una mano sulla spalla «Grazie ancora per averci condotto fino a quì, Award.»
Perchè avevo la dannata impressione che si conoscessero?
Visto la parete che era crollata non era possibile passarci attraverso, così dovettero cambiare il piano.
James gli rispose «Sì, quà ci penso io. Grazie mille ancora.»
E nel modo in cui furono arrivati se ne andarono.
Nicolas, ancora sofferente, imprecò «Maledizione...»
Cercò si tirare fuori la gamba da là sotto ma gli fu impossibile. In questo momento era alla pari di un animale intrappola che stava solo attendendo la fine.
James si rivolse a Christian «Dobbiamo–..» «No.» disse fermamente «Non possiamo lasciarlo quì!»
Io rimasta zitta fino ad ora diedi i numeri «Da un momento all'altro questa merda ci cadrà in testa, cosa non ti arriva?!»
Nicolas «Cazzo cazzo cazzo cazzo. Cazzo!» strinse sempre di più i denti.
Christian 'poggiò una mano sulla spalla del suo compagno «James, ti prego. Non posso...»
«Perchè?»
Gli lanciò un' occhiata «Perchè lui non mi mollerebbe quì.»
Una parte del soffitto cedette!
«Attenzione!» Christin si coprì la testa con le braccia.
Balzai all'indietro è finiì per inciampare addosso a James.
«Stai bene?» mi tenne in piedi.
Ci finì proprio a fianco, Nicolas riuscì a spostare la testa per un pelo. E tutto ciò che non fece che chiuderci di più il passaggio verso una possibile via di fuga.
Nicolas «Ne sei sicuro?» ‹Mh?› -lo guardai, non capendo la sua uscita.- «Che io non ti lascerei quì?» Christian rimase ad osservarlo «Che ne sai? Potresti sbaglia–..» «Non mi farai andare via. Quindi dacci un taglio coglione che non sei altro!»
Si sentì l'ennesimo rumore, ci ritrovammo a guardare il soffitto.
«Okay, dobbiamo fare in fretta!» James si fiondò vicino a Nicolas.
Mi guardai attorno, scorsi un possibile punto in cui poter passare.
‹Se quello stronzo si azzardasse a morire prima di avermi rivelato dov'è Damon...› -strinsi i pugni in una morsa.-
«Rose.» mi richiamò «Vai, trovali.» ‹Cosa?› «Tu puoi passare da lì.»
Riosservai il punto di poco di prima.
Nicolas continuò a dirmi «So che vuoi trovarli, quindi ora vai!»
«Cosa?! No, Rose, non ti azzar–..»
Ma non ascoltai oltre, mi ero già infilata per quello spazio ristretto. Con tutta la forza di cui fui capace ci strisciai all'interno, mi graffiai la guancia, ma non me ne importò.
Ciò che mi ritrovai davanti fu il soffitto totalmente venuto giù. Con ancora il fiatone rimasi a fissarlo. Non poteva finire così. Dovevo trovarlo. Iniziai quindi a spostare, a lanciare, a scavare, dentro a tutti quei detriti per potermi permettere di avere un accesso.
‹Aspettami maledetto stronzo...›
Taylor Vega (POV'S)
Tutto questo, era dannatamente esilarante.
‹Che cosa esattamente?› -chiese divertita-‹Il trovarti quì con loro due? O tutta la faccenda?›
«Smettila.» dissi.
Il suo sguardo era di una potenza tale che mi stava bucando la carne.
«Non guardarmi così.» e questa volta parlai guardandolo direttamente in viso. ‹Devi smetterla.› -parlai fra mé e mé.-
Aron mi fissò dritto negli occhi «E come ti dovrei guardare?»
«Non guardarmi come se fossi io la causa dei tuoi dolori.» dissi, rude.
E non ero io, la causa dei suoi, ma lui, dei miei.
Uno sguardo così ricolmo d'odio e di ribrezzo non me lo aveva mai lanciato. Mi feriì. E come una bestia selvatica che si trovava alle strette decisi di graffiare per difendermi.
«Il portatore dei mali altrui sei tu.» gli ricordai «Chi ti sta vicino, o soffre, o muore.»
«Non provare a mettermi a confronto tuo!»
‹Ah, no? Non dovrei?› -mi chiesi con divertimento.-
Protesi un angolo della bocca all'insù.
Claus «Oooh, ma insomma. Come siete noiosi!» si mise fra di noi continuando a gesticolare «Basta con questa stramaledetta tiritera. Siete un copione già visto e rivisto, accidenti.»
Stava veramente facendo il commentatore di turno?
«Chiudi-quella-bocca.» gli ringhiò contro il fratello. ‹Che aggressività.› -pensai con divertimento.-
Claus inarcò un sopracciglio «Sembra che tu ce l'abbia con me.»
«No. Non ce l'ho solo con te, ma anche con me stesso.» ‹Uff, ed ecco che ricomincia...› «Per aver fatto avvicinare questa...» gesticolò verso di me. ‹E te pareva!›
«'Questa', cosa?» mi avvicinai alla sua figura.
Ad ogni passo che io facevo, lui andava indietro. Arretrava. Come in una danza senza mani e senza tocchi reali.
Nello spostarmi un bagliore verde mi passò per gli occhi, fui confusa.
Mi guardai addosso. Sulle braccia, sulle gambe, sulle mani.
Claus col suo solito fare alzò le braccia in aria «Ma tu guarda, qualcosa mi dice che siete quì per me.»