Mi ritrovai addosso non solo l'arancione, ma anche mille puntini verdi a fargli da contrasto.
«Fermi dove siete!»
Ci stavano puntando addosso degli stramaledetti mirini laser.
*krakoom*
Il vetro, scoppiò. Una miriade di schegge si dispersero nell'aria ed il vento soffiò così feroce che quasi rischiò di trascinarci verso la grande finestra di cui ora rimaneva solo il cornicione.
Fu tutta questione di un solo attimo.
«Seguiamolo!» disse uno di loro.
‹Dove cavolo è andato?› -mi chiesi non vedendo più Claus.- Quel trambusto gli aveva permesso la fuga da questa situazione.
Osservai i due uomini rimasti più indietro degli altri che ci fissavano, e poi, tornarono a seguire i loro compagni.
Io «Dobbiamo uscire.»
Se fossimo rimasti quì anche per un solo secondo in più non avremmo visto il termine di questo temporale.
Ma quando mi accorsi che oltre ai miei non si udivano altri passi, mi voltai indietro.
«Che fai?!» tornai indietro e lo rancai per la manica «Dobbiamo–..» «Non toccarmi!»
Si tolse il mio tocco di dosso come se avessi potuto infettarlo con qualche sostanza radioattiva.
Gongolai «Be', è così che la mettiamo?»
Rialzai il mio sguardo su di lui.
«Ti. Ho. Già. Detto. Di. Non. Guardami. Così.» ringhiai lenta quanto feroce.
Aron «E come dovrei guardarti... Harley?»
E fu strano sentir uscire questo nome dalla sua bocca, ma era questa, ora, la realtà dei fatti.
Lui odiava a morte chi aveva dato fuoco al posto in cui veniva tenuta anche sua madre prima che fosse riportata a casa per morire. Ed io, lo odiavo perchè se lui non avesse dato fuoco alla mia di casa non avrei fatto mai la fine che ho fatto. Forse sarei morta. Chi lo sa. Ma di certo lo avrei preferito che farmi torturare il cervello dal mio cosiddetto padre.
«Io, dovrei odiare te, non tu me.» gli ricordai. ‹Eppure, non ci riesci.› -e, no, non ci riuscivo.-
Il pavimento tremò ancora. Stava per cadere tutto.
Aron «E dimmi, come ti senti?» ‹Che?› -non compresi.- «A sapere chi sei, a sapere che razza di demone si nascondeva al tuo interno.» mi disse «Che–..» «Basta.» indietreggiai.
Quel vaso rotto stava per portare in giro i suoi danni.
‹Provi dolore?›
‹Sì.›
Strinsi così forte i denti che quasi li spezzai.
...FLASHBACK...
«Perchè?» parlo con lo specchio «Perchè alla fine mi hai abbandonato?» ‹Perchè le cose rotte non le vuole nessuno.› -mi risponde il mio riflesso, mi logora i timpani la sua voce.- «Non l'ho chiesto io, di nascere così.» ‹Certe volte le cose capitano e basta.› «Ma mi aveva promesso che mi avrebbe portato al sicuro...» ‹E tu gli hai creduto, vero, ragazzina?› «Claus è diverso.» ‹No. Non lo è.› «Sta' zitta!»
Il pugno colpisce la superficie. Macchioline rosse scivolano sul mio polso per poi finire a terra e macchiare il pavimento.
‹Eccolo.› -mi parla ancora- ‹Questo è il tuo colore. La tua essenza.›
Sposto la mano. Il mio riflesso ora è sporco di rosso, proprio all'altezza della bocca. Alzo un dito verso di esso e traccio una linea ricurva. Ora, sorrido. Ma i miei occhi no. Sono spenti dalle lacrime e rifiniti dalla tristezza. E la mia anima... ricolma di abbandono, e di rabbia.
...FINE FLASHBACK...
Mi accostai al muro, ancora tremante. Ispirai ed espirai.
«La partita è chiusa.» disse lui.
«Non c'è mai stata.» gli sussurrai.
Riapriì gli occhi.
«Tu, hai rovinato–..» «Basta con 'sta stronzata!» lo guardai furente «Non darmi ogni colpa. Non farla ricadere su di me!»
Lui urlò a sua volta «E su chi dovrei farlo allora?!»
«Ad esempio su te stesso!»
Fu una lotta di respiri e di occhi, e anche di cuori danneggiati.
Una certa consapevolezza passò per i suoi occhi «Tu mi hai...» si pulì prontamente la bocca col torso della mano.
‹Il bacio.› -mi suggerì.-
Sorrisi. E se mi fossi vista, probabilmente sarebbe stata l'immagine ed il sorriso più tristi del mondo.
«Tu mi hai dato fuoco.» sussurrai.
E mi arrabbiai tanto, con me, oltre che con lui. Perchè ciò che ora mi stava scendendo dagli occhi era l'ultima parte dell'essenza di Taylor.
‹Voglio strapparmelo.›
‹Che cosa?›
‹Quel mostro che mi è all'interno.›
‹Non puoi. Perchè io sono te–..› ‹No.› -la fermai- ‹Non parlo di te.›
‹E di chi parli?›
‹Sì, di chi parli?›
‹Del cuore.›
Tornai a guardarlo, stremata, e non seppi se lui provasse lo stesso sfinimento. Ma nei suoi occhi c'era qualcosa, di ferito, quanto nei miei.
Qualcosa di polveroso mi cadde sulla testa.
‹Dobbiamo-andarcene.›
‹Non ti ascolterà.›
‹Dovrà farlo.›
«Io ti ho dato fuoco, ma tu, sei ancora quà. E questo vuol dire che non ho fatto bene quello che dovevo.» mi disse rispondendo a quello che avevo detto prima.
‹Non-farti-colpire.› -mi dissi, ma tremai comunque.-
Decisi di giocarmi ogni carta.
Io «Tu...»
Mi avvicinai ad egli e lui indietreggiò intimandomi di non provarci neanche.
«Vorresti vedere morta, chi?»
Aron, mi guardò come se non stesse comprendendo.
‹Lo so che hai capito.› -questo gli dissero i miei occhi.-
«Qualsiasi parte di te.»
«Anche quella che pensavi di conoscere?» fui più vicina «Quella che hai baciato?»
E lo vidi il crollo dei suoi muri.
‹Ci siamo quasi...› -dissi fra mé e mé.-
«No. Non provarci!» s'allontanò.
Eravamo quasi fuori dalla porta che dava in giardino. Senza rendersene conto, lo stavo facendo uscire. Dovetti dire grazie alla repulsione che ora provava verso di me.
Io «A fare, cosa?»
«Ad ingannarmi ancora.»
Ma quel che uscì dalle sue labbra fece fermare ogni mio piano. Ed ogni battito. Rimasi così, a guardarlo senza potermi muovere.
‹Lui non ti provoca davvero tutto questo. Smettila con 'sta ostinazione.›
‹Sta' zitta.› -la ammoniì- ‹Io non mi ostino.›
Strinsi i pugni in una morsa.
«Quella che è stata ingannata, sono io, Aron.» lo guardai con fervore ‹Non lo capisci?› -mi chiesi- Non lo vedi?›
«E da chi?!» alzò la voce come se potesse usarla per proteggersi.
«Dalla vita. Da me stessa.» ‹Come sei melodrammatica.› «Stai zitta!» ma quel che risposi ad essa lo dissi ad alta voce, scossi poi la testa, e tornai con gli occhi puntati su di lui «Sai cosa vuol dire quando la tua intera esistenza viene stravolta da qualcuno e poi quel qualcuno sei proprio tu?»
Gli sangunai davanti per l'ennesima volta. Come lei... ‹Come tu.› come Harley, non avrebbe mai davvero fatto.
‹O forse lo avresti fatto.› -pensai.-
‹No, invece.›
‹E invece magari sì.›
‹E tu cosa ne sai?!›
‹Perchè l'avresti fatto con Claus.›
‹Perchè capiva.›
‹Ma anche Aron capisce.› -le ricordai- ‹Seppur in modi diversi.›
«No, dimmelo tu, avanti!» aprì le braccia con fare drammatico.
Negai, non feci altro. Lui come poteva capire? Non potevo aspettarmi chissà cosa.
«Ovvio che tu non capisca.» sghignazzai.
Aron fece una smorfia ‹Ed ecco, che mi guarda...› -pensai disarmata- ‹Così.› «Che cosa dovrei capire?!»
«Che non sei tu quello che ha subito davvero fra i due.»
Rise «Oh, certo.» esclamò «Io non ho subito niente!»
«Non ho detto questo.»
Gli fui a mezzo metro di distanza.
«Tu non ti rendi conto, vero?» gli domandai.
Negò con la testa e continuò a non guardarmi.
Continuai ad avvicinarmici «Mi stai dando le colpe. Ma le hai anche tu.»
«No.» tagliò secco «Io ho colpe diverse dalle tue.»
«Ma le hai.»
«Smettila.»
«E quanto me.»
«Smettila.»
«Abbiamo colpe simili.»
«Cazzate!» ringhiò.
«Come quel bacio.»
E bastò questo a zittirlo. Venne colpito in pieno.
Ricominciò a negare con la testa «Cazzate cazzate cazzate cazzate cazzate!»
L'istante dopo le mie mani furono sul suo viso.
«Cazzate...?» masticai lenta.
‹Tu vuoi solo giocare.›
Avvicinai il viso al suo.
‹Sì, è vero, voglio giocare.›
E gli dissi «Questo è da parte di Taylor.»
E schioccai le labbra contro le sue.
Poco prima di quel suono. Poco prima di quel crollo. Poco prima di spingerlo. Poco prima di quei battiti. Poco prima che ciò che si trovasse dentro a quel vaso ora rotto inghiottisse tutto.
Aron Jhones (POV'S)
...FLASHBACK...
‹Non mi piacciono.› -è la prima cosa che penso quando le intravedo.-
Siamo in camera.
«È stata una giornata lunga.» Claus si stiracchia.
Io sto zitto, strano da parte mia, e lui se ne accorge. Non gli sfuggiva mai niente.
Infatti mi chiede «Che cos'hai?»
«Non mi piacciono.»
«No, nemmeno a me–..» «Cosa ti ha chiesto?» gli domando.
Claus sembra non capire, così per l'appunto mi chiede «Di che parli?»
«Quella bambina.» rispondo «Quella Harley.»
«Oh.» dice soltanto.
Lo fisso imperterrito.
«Mi ha chiesto se non provassi l'istinto di ucciderti.»
‹Come?› «Come?» quasi mi strozzo con la mia stessa saliva «E tu cosa gli hai riposto?»
Una scarpa vola dall'altra parte della stanza «In realtà niente.» si siede e poi fa lo stesso con l'altra.
«Niente?» lo guardo con sospetto.
«È così.» afferma «Insomma, non fraintendermi.» gesticola mentre si toglie i pantaloni «Delle volte vorrei ammazzarti èh. Ovvio.»
Io commento «Spiritoso...»
«Ma di certo non nel modo in cui intende lei.» finisce di dire.
Inarco un sopracciglio «Cioè?»
«Insomma, io non penso certe cose perchè so che non potresti mai oscurare la mia immagine.» mi guarda in modo ovvio «Perchè in confronto a me tu non sei niente. Come on!» si guadagna un'occhiataccia «Guarda quanto son bello io.» si alza per guardarsi allo specchio «E guarda invece tu.» lo gira in seguito verso di me.
Gli lancio addosso una delle sue scarpe «Vai al diavolo, coglione!»
In tutta riposta se la ride ed il discorso muore lì.
Apro gli occhi ancora impastati di sonno e mi tiro su a sedere.
Che ore saranno?
Guardo l'orologio, sono le 09:00 del mattino. Come al solito sento di non essere riuscito a dormire niente. Sarà stato forse perchè la notte ho sentito più volte dei passi in camera? Non so.
Alla fine decido comunque di alzarmi. Dopo essermi messo una maglia addosso scendo di sotto, ho bisogno d'acqua.
Quando passo per il salotto, mi fermo. Osserva la sua piccola figura davanti alla nostra finestra.
«Ciao.» saluta, con quella voce soave quanto cupa.
‹Ignorala ignorala ignorala ignorala.› -continuo a ripetermi mentre mi dirigo in cucina.-
«Non riesci a dormire la notte, vero?»
‹Ignorala ignorala ignorala ignorala.›
Apro il frigo per prendermi un bicchiere di succo. Quando lo chiudo, sobbalzo.
«Tu sei Aron, vero?» domanda.
Mi sta proprio davanti.
«Non mi piaci.»
«Lo so.» risponde con nonchalance.
«E allora lasciami in pace.»
Raccolgo ciò che mi è caduto per terra.
-Sbuffo- ‹Per quale motivo non se ne va?›
La sua presenza non fa altro che infastidirmi. Lei lo sa e sembra si diverta nell'esserne consapevole.
«Io non parlo mai con nessuno.»
«Io non sono nessuno però.» le dico.
«Mi sembri nervoso, sei sempre così la mattina?»
Mi volto verso di lei mentre un verso di frustrazione mi fuoriesce dalla gola.
«Che cosa vuoi?!»
Finisco per guardarla negli occhi. ‹Che cavolo ha questa bambina?› -mi tocca pensare mentre la guardo.-
Mi osserva inquietante.
«Siete proprio diversi.» parla ancora.
«Anche voi.» le dico «Del tutto.»
Harley piega la testa di lato «Ovvio.»
«Ovvio?»
«Sì, ovvio.»
«E perchè lo sarebbe?»
La sua testa si raddrizza di scatto «Perchè io sono quella vera.»
Perchè ho i brividi addosso?
Dopo aver detto questo ritorna in salotto ed io butto fuori dai polmoni l'aria trattenuta fino ad ora senza accorgermene.
Finisco per osservarla da lontano, non fa altro che giocare con le proprie dita a fare le ombre. Qualcosa in lei è chiaro che non vada.
‹Ma tu ovviamente devi avvicinarti alle "cose che non vanno".› -mi rimbecca.-
Scuoto la testa e me ne torno di sopra per cercare di riposare un altro po' e per scordarmi di questa conversazione ed anche dei suoi occhi, che alla fine, finiscono per tormentare i miei sogni.
I giorni seguenti cerco di tenermi alla larga il più possibile da lei.
‹Manca poco e se andranno.› -mi dico per autoconsolarmi.-
Do un pizzico sul fianco a mio fratello e poi mi scosto prontamente prima che possa colpirmi di rimando.
Claus «Mi hai fatto male!» mi lancia un'occhiataccia delle sue.
«Volevo vedere se fossi attento.» lo prendo in giro, ma poi torno serio «La stai troppo ad osservare.» gli faccio poi presente.
Fa spallucce «È... curiosa.»
«"Curiosa" non è proprio la parola che userei.»
«Parla bene l'inglese.» butta fuori all'improvviso.
«E questo cosa c'entra?» lo guardo con un cipiglio.
«Niente.» fa spallucce «Semplice constatazione.»
L'indomani se ne sarebbero andati via, finalmente.
Le sto guardando mentre giocano con Grace.
‹È proprio ingenua.› -penso mentre guardo mia sorella.-
‹Sei tu che vedi sempre marcio dappertutto.›
Taylor e Grace stanno ridendo, forse per qualcosa che ha detto quest'ultima. Il sorriso di nostra sorella era sempre stato contagioso. Dove c'era lei, c'era luce. Ma, Harley, sembra una macchia nera fra di loro. Lei non ride, non gioisce. Rimane solo a guardarle con quella sua espressione che non trasuda nulla. Era come uno schizzo sbagliato in un bel quadro. Un errore di battitura. Il pezzo di un altro puzzle.
‹Biasimi tuo fratello, ma anche tu la guardi un po' troppo.›
Sbatto la palpebre e torno con gli occhi sulla tv.
La notte, col sonno leggero che ho, mi sveglio e 'sta volta mi alzo dal letto.
«Si può sapere perchè di notte entri in camera nostra?» le chiedo dopo averla trascinata fuori dalla stanza.
Accendo la luce del corridoio.
Sorride, triste «Non riesco a dormire e guardare voi due farlo mi tranquillizza.» mi risponde Taylor con la sua vocina.
«Dannazione.» mi stropiccio gli occhi «Ho sempre pensato che fosse...»
«Mia sorella?»
La guardo, stanco «Sì.»
La prendo per le spalle ed inizio a spingerla verso la sua stanza.
«Forza, va'.» dico brusco.
Prima che possa aver da ridire mezza parola torno indietro e richiudo la porta della mia camera a chiave 'sta volta.
«Merda!» tiro un'imprecazione.
Dondola indisturbata le gambe mentre 'sta seduta sul mio letto.
«Ma ti avevo chiusa fuo–..» «Non-confondermi-con-lei.»
Ma perchè dovevo ritrovarmele in camera?!
Riapro la porta con uno scatto.
«Fuori.» abbaio.
Harley senza dire una parola esce dalla mia stanza e le richiudo la porta a dietro con un tonfo.
«Aron potresti fare più piano?» si lamenta Christian.
«Torna a dormire!»
«E state zitti!» è la volta di Claus di lamentarsi.
In fine esco da questa stramaledetta camera con un diavolo per capello consapevole che non avrei preso sonno per almeno due ore.
«Per quale motivo ora sei nel mio salotto?!» quasi le sbraito contro.
È sul divano, sta guardando fuori.
«Dovresti stare più tranquillo. Così ti rovini il sonno.»
Le piombo davanti «Ti stai per caso prendendo gioco di me?!»
Sbatte le palpebre con noia.
Mi rimetto diritto, perchè le do corda?
«Neanche tu mi piaci.» mi dice ad un tratto.
La guardo con ilarità.
‹Perchè non te ne vai?›
‹Perchè devo lasciarle l'ultima parola?›
«Ooh, ma quanto non me ne può fregar di meno.» commento acido.
Faccio per tornarmene di sopra.
«Sai» mi ferma «prima o poi te ne fregherà qualcosa.»
‹Non dare adito alle sue cazzate.› -mi dico, ma non mi ascolto.-
«Che stronzate vai a sparare?»
Harley neanche mi guarda «Non lo so, quello che penso lo dico e basta.»
«E allora pensa di meno.»
Me ne vado definitivamente.
...FINE FLASHBACK...
Non seppi perchè mi erano apparse in mente queste scene, quei giorni ora lontani. Seppi solo che alla fine ebbe ragione. Me ne sarebbe fregato a tal punto un giorno da andarla a cercare per dar fuoco alla sua casa e per scatenare una serie di eventi che alla fine dei conti mi avrebbero riportato a lei anni dopo.
A questa ragazza, che mi aveva appena baciato. A queste emozioni, che odiai. A tutta questa situazione dannatamente contorta e che non avrebbe mai avuto lieti finali, solo drammi. Perchè così era la mia vita. Perchè così ero io. E perchè così era lei.