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Chapter 60 - LX° smetterai di vestire col tuo nome

No!›

«Noooo!» premetti le mani sui timpati talmente forte da farmi male alla testa.

...FLASHBACK...

«Entra.»

Il suo tono di voce è cambiato.

Mi giro verso di lui «Per quale motivo sono quì?»

«Perchè devi imparare un modo diverso di approcciarsi alla vita.»

Mi porta dentro. Spinge un bottone. La porta si chiude.

Ancor prima che possa reagire col mio malsano istinto vengo trattenuta da due uomini.

«Mollatemi!» grido come una forsennata «Non toccatemi! Non toccatemi! Non toccatemiiiiiiii, non–.. Aih!» qualcosa mi ha punto.

«Ora dormirai per un po'.» mi dice la donna.

Puttana.› -la insulto.-

Quando mi risveglio, cerco di sbattere le palpebre ma mi viene difficile. C'è qualcosa che mi trattiene.

«Si sta già svegliando.»

Di cosa si tratta?

Mentre cerco di tenere gli occhi aperti per più di cinque secondi tiro uno strattone.

«Vedi di tenerla!»

Maledetti.›

Mi libero dalla presa della donna. Con la mano ora libera, la afferro. Lei grida ma a me non importa.

Odo le voci. Le grida. Le intimazioni a stare ferma, a lasciarla andare. Ma io non do retta a nessuno.

Sono troppo impegnata a graffiare laddove non avrebbe potuto più permettersi di vedere quel che faceva.

1h

Liberami liberami liberami liberami liberami liberami liberami liberami liberami liberami–..›

Philipp «Sei quì da nemmeno 24h e già sei riuscita a fare del male a quella povera donna.»

‹..–liberami liberami liberami liberami liberami liberami.› -i miei pensieri si fermano.-

«Come?» sbuffo una risata.

«Sai, Harley» comincia «tu non sei un essere che può permettersi di stare in questo mondo.»

«Allora vuoi ammazzarmi?»

«No.» mi dice «Ho intenzione di plasmarti.»

Inarco un sopracciglio «"Plasmarmi"?» faccio una smorfia, derisoria.

«Diventerai chi hai ucciso per gioco.»

-Il suo nome mi oltreppassò la mente come un lampo chiaro- ‹Taylor.›

«Userò i tuoi geni e li mescolerò con un farmaco che non è praticamente più in circolazione. Questo, è il mio lavoro.» mi fa sapere «Trovare soluzioni. Plasmare le cure per–..» «Uno scienziato pazzo.»

Gli balla l'occhio dopo questa mia affermazione.

È su di me, con due occhi aperti come fari «Sbagliato.»

Si riallontana.

Philipp, mio padre, dice «Tu sarai la base di una delle mie sperimentazioni più grandi.»

«Questo vuoi farmi?» dico «Per quale motivo?» chiedo.

Mi osserva «Servono i geni di una persona del tuo calibro per una cosa del genere.»

«Ovvero?»

«Una personalità divorante come la tua, che niente può avere di buono, è l'unica che può servire a questo scopo.» È nuovo questo suo modo di guardarmi.› «Tu non ti rendi conto di niente. Mischi il male ed il dolore al bene, che mai saprai cos'è. Ed io ne ho studiate di menti malate psichiatricamente... Ma, tu, sei la più complessa.»

Sorrido «Mi hai appena fatto un complimento?»

«Ecco» mi indica «di questo parlo.»

«È comunque un onore.» continuo io.

Philipp nega con la testa «Una persona manipolativa come te ha bisogno di essere manipolata.» ‹Pff, ti prego.› -me la ridacchio.- «Non ti rendi conto, di come la tua stessa mente ti manipoli Ley.»

«Hai finito?»

«Hai una mente rotta, spezzata, spaccata.»

Sbuffo «Sì, pa'. Li conosco i sinonimi.»

Nega con la testa «Cambi in continuazione.» lo guardo, sto zitta «Neanche tu sai come approcciarti a te stessa, non sai chi sei.»

«Io sono Harley.» ringhio, feroce.

Philipp mi guarda ‹Non-guardarmi-così.› «L'unico riconoscimento che hai di te stessa è questo tuo nome.» ‹Non-mi-analizzare.› «Ed io, te lo toglierò.»

-Rido- ‹Questo è più pazzo di me. Mi metto a ridere, rido un sacco.

«Voglio che la mia bambina stia bene.»

Mi arresto. E poi, sorrido, perfida.

Indosso la maschera più innocente che potrei mai costruire.

«Quando mi guardi, chi vedi?» domando «Taylor. Non è così?»

Rispondi. Maledetto.›

«Ma io non sono Taylor.»

«Lo sarai.»

No.› -cerco di rimanere impassibile, ma non ci riesco.-

Philipp mi osserva con attenzione «Andrà tutto bene.»

Se c'era un torto che avrebbero potuto farmi, era proprio questo. Svestirmi del mio nome.

...FINE FLASHBACK...

Christian Jay (POV'S)

Corsi lungo questi bui corridoi.

Devo trovarli, devo trovarli, devo trovarli, devo trovarli, devo trovarli maledizione!› -pensai con affanno.-

Ero riuscito a raggirare James, con rammarico, ma avevo bisogno di trovarli.

Fermo, arrestai la corsa. Io non ero abituato a girovagare quà dentro. Questo posto non lo conoscevo così bene.

Appoggiai la mano contro al muro e cercai di riprendere il fiato mancato. Quando la scostai lessi: n°4.

Udiì un rumore, avevo già la pistola puntata su quella figura acucciata per terra.

Una delle lampade era ancora funzionante e mi permise di capire di chi si trattasse.

«Taylor!» esclamai.

Ma come feci quel passo avanti, lo ritirai indietro.

Ma...›

«T-taylor...?» la guardai meglio.

Aveva le mani in faccia a nasconderle metà del viso ed aveva lo sguardo fermo sulla stanza davanti a sé. Aveva gli occhi talmente spalancati che sembravano uscirle dalle orbite.

Ebbi timore di quell'espressione.

Scossi la testa. Non avevo tempo da perdere, dovevamo muoverci.

«Ascoltami.» le toccai la spalla dopo essermi avvicinato «Devi venire con me, dobbiamo andarcene da quì. Hai capito?»

Voltò lentamente la testa verso di me.

La tirai su di forza e la condussi assieme a me.

«Dov'è Aron?» chiesi.

«Non lo so. L'ho perso.»

Le diedi solo una piccola occhiata, non sembrò nemmeno il suo solito tono di voce, ma non glielo feci presente.

-E poi, pensai- ‹Lei non lo sa.› «Devo dirti una cosa.» proferiì parola, rimase in ascolto, così continuai senza assensi «Claus è quì.»

Non emise suono.

«Mi hai–..» «Claus.» sussurrò fredda «Lui, è quì?»

Faticai a risponderle.

«Sì. E per questo devo portarti via da quà, quindi muoviamoci.»

Lui non deve arrivare ad Aron.› -mi dissi.-

Claus era una macchia di petrolio, che come la incontravi, soffocava solo e sempre tutto.

E finalmente, vidi la porta.

«Perfetto, ora tu d–..»Non c'è.› -pensai allarmato.- ‹Dove cacchio è andata?!› «Tayloooor!»

Mi guardai attorno.

«Maledizione!» pestai a terra.

*crrr crrr cr cr*

Il walkie talkie che avevo buttato a terra ancora funzionava.

«Christian, porca puttana!»

Si trattava di James.

«Non fare il coglione! Dove cazzo sei?»

-Sorrisi, dispiaciuto- ‹Non ti dirò dove sono, amico.› Lo raccolsi da terra.

Eravamo dentro a questa partita da molto tempo. Da una vita. E chi smetteva di lottare, smetteva di voler vivere.

La nostra era sempre stata una guerra senza né vincitori né vinti e se c'era da vincere qualcosa non era da festeggiare e non era nemmeno onorevole. Era rosso. Era il sangue, e se non il nostro, quello di qualcun'altro. Perchè in lotte così grandi non poteva non entrarci qualche altro soldato, sacrificabile dal generale.

E bramavi, e cercavi, vendetta. Sempre e solo quella. La bestia più brutta di tutte, quella che mai ti lascia in pace. Con quel suo fare logorante e quegli artigli ed i denti affilati. Cresciuta in strade che non sanno darti una mano, se non tagliandotela.

Questo era lei. La vendetta. Per questa, o per bramosia, si iniziavano le guerre. Per egoismo. Per ego. E, i Jhones, erano ricolmi di ego.

Aron Jhones (POV'S)

L'avevo persa. L'avevo dannatamente persa.

Mi sentivo sperduto, e non in senso di luogo, ma tutt'altro. Più la pensavo e più sapevo di conoscerla.

Non lo vuoi ammettere.›

‹Non c'è niente da ammettere.›

Eccome se c'è, ma hai paura.›

Scossi la testa.

Hai paura di essere consapevole della vera verità.›

‹No.› -tuonai.- ‹È impossibile. Sarebbe ingiusto.›

E quando mai con te la vita è stata giusta?›

Scossi la testa, di nuovo.

Non vuoi ammettere niente.›

‹A lui non piace ammettere le cose.›

I miei pensieri si stavano dando ragione a vicenda senza che glielo avessi permesso.

Dai, forza.› -mi disse anche la coscienza- ‹Ammettilo.›

‹Non c'è niente da ammettere.›

Eccome se c'è.›

‹E lo sai.›

‹Non ammetterò mai che lei...›

Che è 'lei'?

‹Che ti piace?›

-Misi le mani attorno alla testa ‹Basta! Smettetela!›

Lei. Io non provavo niente, per lei. E non ero sicuro di niente.

«Non mi piace.» parlai da solo nel mentre che camminavo «Io non provo niente.»

Non ero mai stato tipo da favole, più tipo da incubi. Da drammi.

Le favole erano per i puri. Per i bambini innocenti. Per farli sognare, credere, in un qualcosa che poi non esisteva. Solo con la crescita ti accorgevi che erano tutte menzogne inquadrate.

Anche io quand'ero bambino avevo prestato troppo tempo alle fiabe ed ai sogni. Le favole erano bugie travestite. Ed io avevo smesso di essere un bambino disilluso da esse.

Taylor Vega (POV'S)

Stavo camminando. Camminavo, e camminavo.

‹Ora...› -dissi fra mé e mé- ‹So.›

Ma non sentivo niente, solo... Leggerezza.

Perdizione. La più totale perdizione.

Ero entrata in uno stato apatico allucinante, ma era momentaneo, e lo sapevo bene.

Anziché l'ultimo desiderio, era la mia ultima lucidità.

La mia testa aveva vagato in posti che non conoscevo ma che conoscevo e stava continuando a farlo. Ora sì, che rimembravo questo posto e queste vie.

Non mi sentivo, non mi percepivo. Ero soltanto vuota. Un guscio. Un contenitore, che ben presto non sarebbe più servito neanche a contenere.

Ed io, lo so, che questa consapevolezza è solo l'inizio.› -perchè certe cose te le sentivi-.

Il mio sesto senso stava gridando, dritto nell'orecchio, che il vaso si era rotto e che il suo interno doveva ancora uscire. E stava aspettando... E quando lo avrebbe fatto, lo avrebbe fatto tutto insieme di botto.

L'unica cosa che ora era cambiata era la mia consapevolezza.

Lo sai che ti stai muovendo solo nella tua testa, vero?› -ed eccola. Fu lei a parlarmi.-

E ripiombai nella realtà.

Vidi i lampi, sentiì i tuoni, percepiì il vento, notai il tremolio.

«Mi stavi cercando, doll?»

Ed eccola, quella voce.

Claus Jhones (POV'S)

«Eri tu.» parlò «Tu, in quel bagno.»

«Già. Proprio così.»

Anche se non potevo vederlo nitidamente, sapevo che i suoi occhi mi stavano inchiodando al suolo.

«Tu sai chi è lei. Sai chi sono io.»

Sorrisi, contento.

«Oh.» esclamai «Allora... Ora lo sai.»

Stai tornando.›

«Sì.» rispose flebilmente.

Appoggiai la spalla contro al muro «Avrai delle domande, immagino.»

«Sì. Le ho, ne ho tante.»

Senza quasi accorgermene mi si era avvicinata.

«Tu perchè mi conosci?»

«Io non conoscevo te, conoscevo Harley.» le risposi «È una storia bella lunga, ma te ne ricorderai da sola, io posso solo raccontarti la parte in cui c'entro io.»

Rimase silente.

«Fallo.» tuonò lei, e come d'accompagnamento un rombo di tuono s'espanse per i corridoi.

Ghignai e le feci una carezza.

«Bene...»

...FLASHBACK...

Continuo a guardare fuori dalle fessure del sotterraneo di questa casa abbandonata ormai da anni.

«Ce l'abbiamo fatta.» gli dico.

Visto che non ricevo risposta cerco mio fratello con lo sguardo.

Aron è lì, spento, assente. Non reagisce a niente. Guarda solo davanti a sé.

Scocca i denti «Io non volevo.»

«Lo volevi anche tu, invece.» ringhio. ‹Non darmi tutte le colpe ora.›

I suoi occhi sono su di me «Non questo.»

«Ma è successo.»

«Non avrebbe dovuto.»

«Hai acconsentito.»

«È stato un incidente!» grida scattando in piedi.

Mi avvento su di lui, lo stringo in una morsa e gli tappo la bocca.

«Ho sentito delle voci!» sentiamo dire.

Passi. Si sentono passi, in lontananza, ravvicinati, poi ancora lontani. Non riesco a capire da che parte si trovino. Se siano entrati quà, oppure no.

Quando il pericolo sembra scamapato lo mollo in malo modo, gli punto il dito in faccia «Se mi beccano perchè tu ora hai i sensi di colpa giuro che l'ultima cosa che faccio è macchiarmi del tuo di sangue.»

Aron rimane a guardarmi con astio e con i pugni stretti ma non controbatte.

2 giorni

Erano due giorni che eravamo quì, intrappolati come topi.

Non avevano smesso di cercarci, ma, ovvio. In fondo era il direttore di una delle strutture più grosse e di altre che aveva richiesto la nostra cattura in modo diretto.

«Ho fame.»

«Anche io Aron, ma non rompo i coglioni.» dico mentre guardo fuori.

Di cibo non ce n'era e l'acqua era praticamente finita.

Siamo nella merda.›

...FINE FLASHBACK...

«E questo cosa c'entra con me?!» mi interruppe lei.

M'innervosiì parecchio.

Con la finta calma che possedevo mi voltai verso di lei, puntai un dito in aria «Ora ci arriviamo.» sbattei le palpebre seccato più che mai e poi ricominciai a camminare.

...FLASHBACK...

Ad un certo punto, mi dice «Voglio fare una cosa prima di essere sbattuto dentro.»

Sbuffo. Perchè non stava zitto e buono e mi lasciava pensare per un secondo?

«Del tipo?» chiedo con totale disinteresse.

Porca miseria, hanno una postazione proprio quà fuori quei bastard-..›

«I Vega.»

Qualcosa in me, scatta.

«Cosa?» questa volta il mio interesse non è finto «Cosa, Aron?»

«Siamo in Italia.»

«Eh.»

«Non siamo a Londra.»

«E allora?!» mi sta facendo innervosire!

«Ti ricordi come li abbiamo conosciuti, vero?»

Io «Che domanda del cazzo è?»

«Nostro padre»Che schifo.› -penso con ribrezzo.- «Si era comprato la casa quà perchè così era anche più vicino a quel suo socio. E poi, qualche anno fa, ci siamo trasferiti.» Aron si tira su in piedi.

Molto stufo di questo suo monologo gli vado in contro «Quindi?! Cosa?!»

Lui mi guarda «Voglio trovarli.» dice «Se ci siamo trasferiti ed ora siamo quì, sempre con lui, alla sua mercé, è anche colpa di ciò che successe quella volta che vennero a trovarci.»

Mi volto verso il muro, così che non potesse vedermi. -Sorrido, storto- ‹Una particolarità di Aron è sempre stata quella che dovesse per forza incolpare qualcuno.›

...FINE FLASHBACK...

Taylor si ritrovò spiaccicata contro al muro.

«Cosa cazzo...» commentò «stai» ‹Mh?› «dicendo?»

Feci due passi verso di lei.

«Io ti conosco da quando sei solo una bambina, e... sai? Mi hai sempre incuriosito da morire.»

...FLASHBACK...

«Domani vengono da noi.» dice.

Lo guardo di sbieco mentre sono ancora seduto sul divano in vimini.

«Chi?» chiede Grace. ‹Non l'ho mai vista così curiosa in 11'anni della sua vita.

Christian le cinge le spalle «Di chi parli?»

«Il mio collaboratore verrà quà a Londra con la famiglia.» Ciò vuol dire che non riparti èh?› «Li ospiteremo per qualche giorno finché–..» «E ti sembra una buona idea?» lo interrompo «Farli venire proprio in questa casa?»

Jonathan mi punta lo sguardo addosso «Noi saremo normali.»

«Ma non lo siamo.» gli ricordo «Non potremmo aspettarci di essere le persone meno ospitali sulla faccia della terra.»

Mi stava già venendo contro.

Josephine si mette in mezzo «Jon, per favore.»

Li vedevo, Christian e Grace, col fiato sospeso.

Che stupidi.› -dico fra mé e mé.-

Sono troppo fissati sull'idea che ogni volta che i nostri genitori si mettono a parlare finisca solo del peggiore dei modi. Capitava spesso, sì, ma non sempre.

Io sono in questa casa da molto più tempo di loro e da bravo osservatore con buona memoria quale sono so quando l'atmosfera che c'è si può trasformare in tragedia. E non era questo il caso.

La porta si apre.

«Aron.» dice il capo famiglia «Dov'eri?»

Lui non gli risponde, va dritto verso le scale.

«Ti ho fatto una domanda!» la sua voce rimbomba nell'abitazione.

*driiiin driiin*

Il telefono squilla.

*driiiin driiin*

E lui, si salva da quella furia.

Va a rispondere «Ciao Philipp.»

Io mi alzo dal divano.

«Va bene. Oh, sì. Allora ti vengo prendere alle 08:30 in aeroporto.»

Seguo Aron su per le scale, e quando siamo dentro alla stanza, sbatto la porta.

«Quindi?»

Mi guarda da oltre la spalla con fare annoiato «Cosa. Claus.»

«Dove sei andato?»

«Perchè oggi vi volete fare tutti i cazzi miei?» mi dice. ‹È irritante.› -stringo un pugno lungo il fianco.-

«Dovevamo andare via insieme.»

Sorride accattivante «Hai paura che possa essere meglio di te?»

«No, idiota, ma nostro padre a causa delle tue stupide mosse si sta insospettendo. Gli stanno arrivando delle vo–..» «E allora?»

«Ma non ci arrivi?!» ‹Mi sta irritando parecchio. Ora gli metto le mani addosso.› «Bisogna fare attenzione con queste cose!»

Aron sbuffa, sbuffa! «Lo so benissimo.»

«Bene, allora smettila.» gli dico ancora «Scommetto che eri con quel coglione di Nicolas, che è pure più idiota di te!»

Mi lancia uno sguardo che mi incenerisce, ma poi cambia l'attimo dopo «Non ti piace proprio è?»

«No!» esclamo «Si può sapere poi dove lo hai conosciuto?!»

«Mi ha dato una mano.»

«Pff!» sbuffo una risata «Ma perf–..» «Cosa! È, Claus?! Cosa?!» mi interrompe e continua poi a parlare «Mi ha dato una mano quella volta che tu no hai voluto darmela!»

Io ribatto «Sì, e chissà perchè! Perchè non stai attento! Perchè sei un idiota!»

«Hai finito?» Okay, ora sì che sono sul serio irritato.›

«E quindi cos'è diventato, il tuo amico del cuore ora?» lo prendo in giro.

Aron fa un verso «Argh! Sta' zitto.»

La giornata passa ed arrivano le 10:00 del mattino.