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Chapter 55 - LV° il bussare della fine

Non oso sbattere le palpebre. Damon si precipita su di lei, una macchia rossa s'allarga sul pavimento.

«D-damon...» dico a stenti.

Lui le sente il battito.

«Respira!»

Egli commenta «Dannazione.»

Scatto con lo sguardo verso la sua figura.

Senza neanche aspettarmelo da me stessa mi fiondo su di lui!

Sento urlare il mio nome. Vengo spinta via. Cado a terra. Ho la pistola addosso.

«No!» urla Damon.

Mio padre, dice «Vi avevo avvertito che–..» gli arriva in faccia una scarpa.

«Sta' lontano da mia figlia!» grida lei.

Con occhi incendiati dalla collera le va contro, Damon gli si butta addosso! Parte una lotta di mani e di unghie. Mio fratello riesce a fargli cadere la pistola dalle mani ma egli finisce per tirargli una gomitata in pieno viso.

Urlo il suo nome. Ora è a terra. Gattono verso di lui.

L'uomo davanti a me, che sembra un'ombra ora, per la poca luce presente, tornata dal passato, sta trascinando mia madre in cucina.

‹Che posso fare io?›

Proprio niente. -dice, e poi aggiunge- ‹Come sempre.›

Scrollo mio fratello per la spalla, è solo un po' intontito. Mi affretto a prendere il cellulare per chiamare i soccorsi mentre lui se ne rimane ancora lì.

Corro in cucina. Lei è ancora a terra.  Guardo lui mentre è girato di schiena col fiato sul suo collo.

Le sussurra «Sei stata la rovina più grande della mia vita. Ma, ora, hai finito di esserlo.»

Si gira dall'altra parte ed apre una della ante in basso, sta cercando qualcosa. Noto poi lei muoversi.

Ho ancora il telefono fra le mani.

Apre un occhio, sembra intontita.

«Per fortuna sei svenuta, altrimenti sarebbe stata una noia, anche se non sarebbe stato male vederti lottare per l'ultima volta.» parla al vento.

Mi fa segno di tacere. Io le do retta.

Con un movimento rapido prende il tritacarne in metallo.

Lui «Che pe–..» e glielo tira in faccia!

Mentre grida tenendosi la testa fra le mani mi affretto ad aiutarla a scappare.

Mi getto su di lei «Ora andiamo via.» le metto un braccio attorno alla mia spalla.

Cerco di far forza, ma non riesco!

«Maledetta...!» grida con dolore.

Ad un certo punto il suo corpo mi viene tolto dalle braccia.

«Rose!»

Digito il numero della polizia con mani tremanti ed inizia a squillare.

Damon entra in cucina, ma è già troppo tardi.

Nostro padre dopo averle stretto il collo raccoglie il tritacarne e comincia a tirarglielo sul viso.

Non guardare.›

Si ode il suono delle ossa che si spaccano.

Non guardare.›

Le sue urla sono agghiaccianti, ma lui, non si ferma.

Non guardare, smettila.›

La sua voce perde di tonicità. Ha smesso di gridare.

Mi hai sentito?!›

Il sangue schizza ovunque. Sui muri, sul pavimento, persino sul mio viso.

«Rose!» Damon mi raggiunge.

Qualcuno ha probabilmente risposto dall'altra parte della linea ma io non ho più la mia voce, ho solo riflessa tutta la scena negli occhi.

Mi getto per terra ed inizio a vomitare. Lo stomaco mi si contorce.

Con le gocce di sudore che mi colano dalla fronte e con mio fratello a ternemi su per le spalle mi tiro su in piedi.

Quel mostro sporco interamente di sangue osserva l'oggetto che gli si è prostrato ai piedi.

«Chi-hai-chiamato?» sibila.

«Pronto, c'è nessuno?» nel silenzio tombale creatosi si ode la voce che proviene dall'altro capo «Pronto? Pronto?»

«Aaaaaaaaaaaaaaaah! Aiuto!» grido come una pazza, gli grido la via di casa «Presto!»

Lui alza il piede e pesta il telefono, lo fa nettamente a pezzi. Poi, alza lo sguardo su di me.

Damon «Ro! C-c-corri!»

Mi tira via con sé e ci dirigiamo alla porta di casa, si fionda sulla maniglia, ma questa non si apre. Quand'è che l'ha chiusa?

Si sente un fischio.

«Baaambiiiiniiiii.» dice «Venite un po' quì! Non potete andarvene così adesso.»

La sua figura fa capolino. Io rimango immobile. Prima che possiamo fare qualcosa ha già ripreso in mano la pistola.

«Di sopra.» mi dice.

Tutto quel sangue che ha addosso–..› -mi parte un conato, ma non esce nulla.-

Damon mi dice nuovamente, ma urlandolo questa volta «Di sopra!»

Io non lo sento. Sento solo il dolore, le scariche, l'odore acre...

Mi strattona con sé!

«Sì, bravi! Lottate per la vostra vita!»

Inciampo due o tre volte e mio fratello mi tira su.

Quando entriamo nella camera della mamma chiude la porta ed inizia a piazzarci davanti qualsiasi cosa.

Io non lo aiuto. Rimango ferma, ancora muta.

Quando finisce si getta per terra, come se gli fossero cedute le gambe. Rimane così per un attimo e poi si mette a vomitare.

*toc toc*

Si sente.

*toc toc*

Ancora.

Mio fratello si alza velocemente dal pavimento color crema, in cui io vedo solo rosso e chiazze, e si dirige a spalancare la finestra.

«Ora dobbiamo scendere.» parla.

Mi prende in seguito per le spalle quando torna da me.

«Hey.» mi richiama «Dobbiamo scendere dal parapetto, faremo solo un piccolo salto.»

Lo guardo a basta.

«Hai capito?»

Annuisco come un'automa.

La porta viene smossa e aperta di qualche centimetro.

«Riuscirò ad entrare!» dice con voce ovattata a causa del legno spesso che si sovrappone fra noi «Ancora qualche spinta...»

Si sentono altri tonfi.

«Andiamo!»

Mi prende per mano e mi fa avvicinare alla finestra aiutandomi poi a salire.

«A-aspetta, e... tu?! » dico, finalmente, allarmata.

Damon mi sorride «Io sono dietro di te.»

Mi fa salire.

«Eccomi!» dice con la testa che fa ormai capolino.

Mi tremano le gambe, per poco scivolo.

Damon «Va'! Va'! Adesso Rose!»

Con la vista appannata e le gambe che mi tremano scavalco ed inizio a fare piccoli passi.

Lui «Brava, così! Conti–..» viene tirato dentro.

«Damon!» mi giro di scatto e nel farlo mi scivola un piede.

Mi sento cadere. Poi, un dolore lancinante al braccio. Stringo il labbro coi denti fino a sentire il sapore del sangue in bocca. Guardo su. Lui non arriva.

«Scappa! Vattene!» lo sento urlare con affanno «Vivi per me!»

Che cosa significa... 'vivi per me'?›

*bang*

Mi si blocca quel poco respiro rimastomi.

«Damoooooooon!» urlo come una matta.

Ma, la sua risposta, non arriva.

«Rosi?!»

‹È lui.›

Mi giro con gran sforzo e mi appoggio sul gomito dell'altro braccio.

«Vieni da papà!»

Inizio a trascinarmi, non riesco a mettermi in piedi. Fa troppo male.

Devi vivere per lui.› -mi ringhia nella mente.-

‹I-io, non–..› ‹Glielo devi. È colpa tua. Ti ha salvato. Lo ha sempre fatto. E tu?›

Mi rimetto in piedi ed un lamento mi esce in automatico dalle labbra.

«Ah eccoti!»

Alzo lo sguardo al cielo e vedo la sua figura stagliata sul parapetto.

«Adesso arrivo!»

Il mio cuore batte ancora più forte di prima.

No.›

Mi tiro su in piedi, comincio a correre zoppicando fra la nebbia.

Sento dei rumori di passi dietro di me.

Aumento la mia corsa disperata, me ne frego se provo dolore. Ad un certo punto però inciampo su una radice e cado rovinosamente a terra proprio sul braccio dolorante.

«Aaaaaaahaahah!» grido con dolore e disperazione.

Intravedo il luccichio della pistola.

«Trovata!» dice.

Me la punta contro e spara, rotolo, mi ferisce la mano. Questa volta non grido.

Ricomincio a trascinare il mio corpicino lungo il prato. E poi, mi fermo, o meglio, lui, mi ferma.

...FINE FLASHBACK...

Il cuore mi batteva come un pazzo. Un senso di nausea s'impossessò del mio corpo, mi piegai in due.

«Aah...» commentò «Che brutta c'era che hai.»

Non gli diedi retta, avevo solo bisogno di andarmene da quì.

Claus, mentre mi allontanavo, disse «Ci vediamo più tardi!»

Taylor Vega (POV'S)

Ero in ansia. Stavo per incontrarlo.

«Sei pronta?» mi chiese quando giunsimo davanti alla porta del suo ufficio.

*toc toc toc*

Poco dopo, la porta venne aperta.

«Entrate.» una voce glaciale mi attraversò i timpani.

Fecimo come disse. Entrammo e la porta fu richiusa.

La luce che filtrava dentro a questa stanza era ben poca.

«Quindi, tu, sei Vega.» continuò «Giusto?» chiese conferma.

Intravidi solamente l'alta figura di un uomo che se ne stava girato di spalle a causa di questa poca luce.

«Sei per caso incapace di aprir bocca?» si voltò.

Il suo viso era tagliente, gli zigomi alti. Aveva i capelli brizzolati e pensai che dovesse avere almeno 50'anni, anche se per come si teneva parve potesse averne pure meno.

Venne più avanti e così vidi meglio il suo viso.

Ciò che più mi colpiì furono gli occhi. Il taglio, lo sguardo, il colore. Perchè mi sembrò di averli già visti?

Erano di un grigio perla con qualche sprazzo verde quà e là, oscurati da chissà quali ombre. Esprimevano il vuoto ed il freddo più assoluto.

Senza accorgermene mi si era avvicinato tantissimo.

«Ti ho fatto una domanda.» mi disse.

«E io l'ho sentita.» gli risposi.

«Oh.» esclamò «Be', dovresti fare attenzione al tono che usi se non vuoi che ti tagli la lingua.»

Perchè la sua frase mi seppe di familiare?

Si allontanò da me e si andò a sedere sulla sua grande sedia.

Presi coraggio «Perchè sono quì?»

Lui piegò impercettibilmente la testa di lato.

Perchè non risponde?›

«Vorrei capire come fai ad interessare così tanto ai miei figli.» 'poggiò le mani in grembo.

«Co–..»

Che cosa voleva intendere?

Lessi la traghetto sulla sua scrivania: 'Jonathan Jhones'.

«Christian, vai a farti un giro.»

«Come?» chiese.

Egli lo puntò, se quello sguardo fosse mai stato rivolto a me ora un brivido mi avrebbe attraversato l'intera spina dorsale.

Non glielo ripeté, e poco dopo, lui uscì.

*clack*

Il rumore della porta richiusa risuonò nell'aria.

«Mh?» insisté.

Io era rimasta con lo sguardo fisso su quella targa.

«Sì.» riprese parola «Claus ed Aron sono i miei figli.»

Quasi non potei crederci, fu una scoperta inverosimile.

Poi una frase mi passò per la mente e niente riuscì a fermarla «E lei sa quello che fanno quà dentro?»

«Certo.» rispose pacato «Ovviamente.» rimarcò.

Strinsi i pugni in modo automatico «E lei lascia che a suo figlio–..»

Il colpo secco che aveva tirato con la mano sulla superficie della scrivania risuonò per l'intera stanza.

Egli chiese «Tu sai dov'è?» ‹Che vuole insinuare?› «Claus. Sto parlando di lui.»

«No, non lo so.» risposi, ed era la verità.

Mi restò a fissare con attenzione, quel suo sguardo mi mise suggestione.

Quando si alzò fece per avvicinarmisi. Mi fu ad un palmo dal naso, non capiì cosa volesse.

Rimasi ferma, zitta, ed attesi.

Sembrò volermi scavare dentro con quegli occhi intimidatori.

Poco dopo, abbassò la testa. Si riallontanò.

«Io non dimentico mai un volto.» parve parlare fra sé e sé «E tu hai i suoi stessi occhi.»

Sbattei le palpebre, feci per aprire bocca, ma ciò che fuoriuscì fu solo una sillaba.

Dai! Chiediglielo.›

‹No.›

‹No? E perchè no?›

Jonathan Jhones (POV'S)

«Gli occhi di chi?» mi domandò.

Il suo sguardo in quel momento sembrò confuso. Che mi fossi sbagliato? No, impossibile, troppe coincidenze. Ed io alle coincidenze non ci credevo.

Mi ero informato molto su di lei.

Cosi, le chiesi «Prendi il Retsulc.A?»

«Non più.»Avevo ragione. Non è una coincidenza.› -pensai.-

Mi appoggiai alla scrivania, non mi sedetti «Ricordi chi te le dava?»

Ci mise un attimo per rispondere e intanto le feci segno di sedersi «N-no.» si mise una mano sulla testa.

«Sai da dove provengono?»

«Non lo so...» parve confusa.

«Questo posto una volta non era solo un semplice carcere. Ce n'era un'altra di parte, che poi è stata chiusa.»

La presunta Taylor mi osservò con quei suoi occhioni senza dire una parola.

Devo capirlo.›

«La parte fu chiusa perchè qualcuno gli diede fuoco.»

La notai stringere un lembo dei suoi pantaloni della tuta.

‹Forza, io lo so.›

«Ed era diretta da un certo Philipp.»

Il suo sguardo si fece meno luminoso, abbassò di poco la testa.

Mostrati a me.›

«E la sua cavia principale era una ragazzina che chiamava Ley.»

Drizzò la testa. Sorrise, macabra.

Eccoti.› -dissi nella mente.-

Fu lei a prendere parola «Stai parlando di Harley, vero?»

Per la prima volta nella mia vita fui confuso dalla risposta del mio interlocutore.

Affermai «La conosci.» -e poi, un altro certo pensiero, consapevolezza, si fece spazio in me- ‹Ha detto... Harley...?›

Dovetti trattenere dentro l'impulso di alzarmi di scatto.

‹Perché lui non me l'ha detto?›

Taylor incrociò le gambe ed appoggiò un braccio sullo schienale della sedia.

«Sì, la conosco.»

Che dovrei risponderle?› -mi chiesi.- O mi voleva confondere parlando di sé stessa in terza persona, oppure avevo sbagliato io. Due erano le soluzioni.

Sorrise sornione.

La cosa che notai fu il suo totale cambio di comportamento.

Da quando avevamo cominciato l'argomento aveva iniziato a cambiare, si era come "trasformata". Era mutata in ben altro. La persona con cui avevo iniziato il discorso non era più davanti a me, ora ce n'era un'altra. Sconosciuta e contorta. Lo potevo recepire da quel suo sorriso.

Ero sempre stato una persona molto attenta ai dettagli di chi mi si trovava dinnanzi. E questa non era la stessa ragazza del minuto prima.

Io le chiesi «E come fai a conoscerla?»

«Quali informazioni sta cercando di carpirmi?» piegò la testa di lato con fare innocente.

Glielo dissi chiaro «Perchè se ho ragione tu non sei chi dici di essere e se sei chi penso io questo mette in mezzo un sacco di cose.»

Attesi la sua risposta.

«E chi pensa che io sia?»

-Strinsi i pugni fino a farmi sbiancare le nocche- ‹Mi ha battuto.›

Era riuscita a confondermi. E la cosa mi rodette assai.