Dylan Parker (POV'S)
«Ultimamente è più incazzosa del solito!» mi accesi l'ennesima sigaretta.
Maick mi osservò.
Sbuffai.
«Se hai qualcosa da dire dilla.» gli feci presente.
Alzò le spalle.
Maicol invece, d'altra parte, aprì bocca «Come potrebe non odiarti?»
«Wow!» sbraitai «Grazie!»
«Ricordi che questa settimana è l'anniversario della sua morte, vero?» mi ricordò Maick.
Me ne ero dimenticato.
‹Come sempre.› -mi rimbeccò.-
Se solo quel giorno non fossi andato a casa sua...
...FLASHBACK...
«Torna quì Parker!» mi urlano a dietro.
‹Devo andare da lei. Devo andare da lei! Devo salvarla, devo portarla via. La raggiungeranno presto...› -continuo a pensare.-
«Beccato!» mi sbatte per terra.
Mauro mi si presenta davanti.
«Tiratelo su.» e così fanno «Allora...» inizia a dire «Pensavi di poterci fregare è? Volevi vendere la mia merce pensando che non me ne accorgessi?!»
«Ascolta, io–..»
Mi arriva un gancio che mi fa piegare in due. Quel bastardo ha un tirapugni.
«Facciamo un gioco divertente. Ti va?»
Lo guardo con ancora il fiato corto.
«Ti lascerò una decina di minuti per andare a salvare la tua amica.» ‹Parla di Martina?!› «Fa parte di un gruppo di sicari, dico bene?» ‹Sa tutto.› «Giocheremo a guardie e ladri.»
«Cosa... Come...»
Egli mi osserva dall'alto in basso «So che te la facevi con quella puttana nonostante facesse parte di un'altra gang! Ma non ti ho mai detto nulla... Sapevo che avresti combinato qualcosa.» sghignazza «Quando c'è di mezzo una donna perdi la testa.»
Abbasso lo sguardo.
Decido di porgli una domanda «Perchè mi dai la possibilità di salvarla?»
«Oh, non riuscirai a salvarla.» ridacchia «Voglio solo darti la falsa speranza di poterlo fare e poi te la sgretolerò proprio davanti agli occhi.»
‹Figlio di puttana.›
«Lei non c'entra niente.» alzo con lentezza gli occhi su di egli.
Sorride sghembo «E invece sì. Per questo hai scazzato.»
Mi fa lasciare.
Marcus poi dice «Ti conviene andare.» inizia a contare «1... 2... 3...» ed in fine urla «Vai, vai! Che aspetti? Vaiiii!»
Sto già correndo. Corro più veloce che posso ma privo di un'auto non avrei mai fatto in tempo e probabilmente aveva già fatto partire i suoi uomini nel momento stesso in cui mi stava parlando.
Come avrei fatto?
Cerco una cabina telefonica.
«Hey, Ló! Sono Dylan.»
Lui mi risponde scazzato, stava dormendo sicuramente «Che cosa vuoi? C'è un lavoro?»
«No. Nessun lavoro.» gli dico «Devi farmi un favore.»
«Un favore? Senti, non–..» «È importante! Ti pagherò. Te lo giuro.»
C'è silenzio dall'altra parte della linea.
«Che cazzo vuoi.»
Gli spiego a grandi linee la situazione.
«Stai scherzando?!» sbraita «Marcus?! Dovrei mettermi contro di lui per... per...»
«La conosci anche tu! Ti prego, non so cosa fare!»
Lorençe non dice più niente.
‹Perchè non parla?!›
«Troverò un modo. Ho un paio di amici lì vicino, fanno parte della polizia, possono fermarli.»
Ringrazio il cielo.
«Grazie.»
«We, non è un favore. Sappilo.»
Roteo automaticamente gli occhi al cielo.
«Devi dirmi in che zona si trova.»
«Sì.» rispondo «Subito.»
Guido come un pazzo e in soli venticinque minuti sono da lei.
‹Non c'è nessuno. Ha funzionato. Ho fatto in tempo.›
*toc toc toc toc toc toc toc toc*
Inizio a bussare come un matto!
Sento qualcuno imprecare in ucraino e poi apre la porta.
«Dylan?!»
Entro in casa.
«Cosa ca–..» «Dobbiamo andarcene subito!» vado in camera sua e prendo un borsone «Prendi il necessario. Anzi no! No, no. No! Andiamo via e basta! Cazzo.»
Comincio a parlare a vanvera.
«Sono le 04:50 del mattino, si può sapere cosa stai–..»
Sentiamo un forte rumore.
«Sono quì.»
«Chi!»
Le prendo il polso.
«Ti hanno seguito. Tu sei venuto quì.»
Strattona via la mia presa.
Io «No, ti sba–..»
Mi tira un manrovescio! Mi tocco il labbro con le dita, noto che esce del sangue.
Proprio quando sto per insultarla lo fa lei al posto mio «Sei un coglione!» ‹Un coglione?› «Se tu non fossi venuto quà più di una volta quelli non avrebbero mai saputo dove abito!»
Si ode il rumore di una finestra venire spaccata.
«Ssh!» le faccio segno «Andiamocene!»
Usciamo dalla stanza, dobbiamo raggiungere la porta sul retro, ma anziché seguirmi va da tutt'altra parte!
«Dove stai andando?!» la blocco.
Mi spintona.
«Devo salvare mio fratello, è al piano di sopra!»
La prendo per il braccio.
«Martina, no!»
«Lasciami.» mi ringhia addosso.
«Loro ti uccideranno!»
«Lasciami!» alza la voce di un'ottava.
«Non farai in tempo!»
«Sorellona...» ci voltiamo entrambi.
Un bambino spunta sul pianerottolo, proprio davanti a noi.
«Danilo...» allunga la mano verso di lui.
E bastò un attimo. Un singolo secondo.
Si ode uno sparo.
Il muro adiacente viene colorato dal sangue.
...FINE FLASHBACK....
Il minuto dopo i poliziotti sfondarono la porta, li avevano seguiti fino a lì. Fummo salvi per miracolo ma quel giorno ci misero dietro le sbarre.
La vidi in lontananza.
‹Hai rovinato tutto.› -ed ebbe ragione.-
Avrei rivenduto la roba che gli avevo rubato e ci avrei tirato fuori 5milioni a testa. Ma andò in ben altro modo...
Non feci altro che osservarla da lontano.
Lei, fatta di gelo, che si scioglieva ad ogni mia carezza.
‹Dimenticatene.›
Sì, avrei dovuto dimenticare.
Non avrei mai più avuto quella visione davanti agli occhi, se non nei miei sogni più nascosti.
Taylor Vega (POV'S)
Chiara disse con Martina «Dylan te sta guardando.»
Lei, che teneva ancora ad occhi chiusi, rispose «Spero gli si fondano gli occhi.» buttò la sigaretta a terra e poi andò dentro.
Chiara fece una smorfia mentre io me ne rimasi in silenzio.
Mi domandò «Vieni con migo?»
Annuiì.
Dopo essere entrare nelle docce chiusi la porta.
Io «Ssh!» le feci cenno di stare zitta «Lo senti questo rumore?»
«Yo non sento nada.»
Mi guardai in giro «No, no, ascolta...» e così tese l'orecchio.
Seguiì quel rumore ovattato e girato l'angolo vidi Maria raggomitolata su sé stessa.
‹Ma cosa...›
Chiara si fiondò in suo soccorso «Stai bien? Che succede?»
Lo sguardo mi cadde sulla superficie del pavimento. Era una lettera? La raccolsi ma non riusciì a capire che cosa ci fosse scritto, non era italiano.
Mi accucciai anch'io al suo fianco. Gliela porsi, lei alzò gli occhi ricolmi di lacrime ma non la prese.
Passarono minuti interi, forse ore. Ci volle tempo prima che si calmasse un po'.
Maria Clark (POV'S)
...FLASHBACK...
Sto camminando per i corridoi.
‹Oggi non sopporto nessuno.›
‹E quando mai?›
«Detenuta 7 5 4, c'è una lettera per te.» mi si presenta una guardia davanti.
Metto la sigaretta fra le labbra e usando la stessa mano prendo la busta.
«Da parte di chi è?»
La osservo con noia mentre me la rigiro tra le dita.
«Di un certo Alexis.»
Mi cade la sigaretta. Finisce per terra.
‹L'avevo detto che questa non sarebbe stata una bella giornata.›
La apro subito, voglio liberarmene in fretta. Mi chiede come sto. Ma che cosa gli può importare?
Poi, leggo l'ultima frase scritta.
Unchiul nostru este mort
...FINE FLASHBACK...
Taylor Vega (POV'S)
«Mio zio...» iniziò a parlare «È morto...»
Continuò a tremare.
Chiara l'abbracciò, la tenne fra le braccia «So quanto era importante para tí...»
Sfogò tutte le sue lacrime.
2h
«–..Lui era fantastico, più che uno zio, era un amico. Ricordo quella volta che sequestrò dell'erba ad un ragazzino. E indovinate? Me la consegnò.»
Io mi misi a ridere «Non ci credo!»
«Ossì.»
«Mítico!»
Ci aveva raccontato parecchi aneddoti e la maggior parte per fortuna erano tutti divertenti.
Guardai il soffitto.
«Ragazze...» attirai la loro attenzione «Non sembra anche a voi che il soffitto si muova?»
Maria e Chiara si guardano e poi scoppiano a ridere!
Maria «Ti sei sballata col passivo?» mi allungò poi quella cosa «Allora prova a fare un fiato.»
«Maria, Taylor non fuma.»
Quando allungai la mano sorpresi entrambe.
‹Non cercare di far la figa.›
‹Non voglio farla!›
Dopo aver fatto due fiati di seguito mi applaudirono ed io feci un inchino dopo essermi alzata in piedi per un attimo, poi mi risedetti sul pavimento con loro.
«E non hai neanche tossito!» allungò la mano a palmo aperto «Ora sì che mi piaci ragazzina!»
Le battei il cinque. Ridemmo assieme.
È chi avrebbe mai potuto immaginare tutto questo?
Me, quì, con loro, a ridere. E ancor di più a fumare la prima canna della mia vita.
Non lo avrei mai immaginato. Soprattutto per come la pensavo prima.
‹Aaaah! La vita è imprevedibile.›
Tre mesi prima non mi sarei mai aspettata di poter fare amicizia con persone simili. Non facevo altro che pensar male e dire che con tutto questo non avrei potuto aver a che fare, ma in realtà non avrei mai potuto conoscere persone più vere di loro. Erano persino meglio di molta gente là fuori, perchè non si nascondevano da ciò che erano davvero. Aveva fatto i loro sbagli. Ma chi non li fa?
Ci trovavamo quì, sedute tra la polvere, a ridere e scherzare come se ci trovassimo al tavolo di un bar qualunque.
Ero felice di questo. Poteva sembrare inverosimile, ma era la verità.
Non mi ero mai trovata così tanto a mio agio come lo ero con queste persone.
Sarò stata matta? Può darsi. Ma le persone pazze come me si trovavano bene solo coi loro simili.
In questo posto non potevi avere maschere. Tutto veniva messo su un tavolo.
Noi, che oramai eravamo solo degli scarti per la società. Solo dei problemi da dover risolvere o riaggiustare.
Ma ci avevano mai chiesto un parere? No.
Per tutti quanti se una persona aveva avuto qualche problema era da sbattere in un buco e poi buttare via la chiave.
Ognuno di noi avevo il suo pezzo di vita da riaggiustare. Ognuno di noi era un pezzo di puzzle non combaciante con gli altri.
Be'. Loro, per me, erano dei pezzi che combaciavano alla perfezione coi miei.
Eravamo i cattivi della favola.
Chi è che aveva deciso chi fossero i buoni e chi i cattivi?
Non sempre chi scrive la storia è nel giusto. È solo tutta una questione di pensiero.
Per me i cattivi non eravamo noi.
Chi era al comando abusava, dettava, odiava, bramava, e si divertiva a giocare con noi. Noi eravamo quelli obbligati a subire. E quando la realtà è questa, chi diventa il cattivo della storia? Di regola quello che fa del male. Non quello che viene punito.
«Weilà, ti fai un altro fiato?»
Maria mi porse nuovamente la canna.
La guarda per un attimo «Perchè no!» l'afferrai poi fra le dita.
Trascorsa un'altra ora, e con la testa che girava, salutai le ragazze.
Una figura alta quanto me mi sbarrò la strada.
Dyalan iniziò a parlare «Sai qual è la cosa divertente? Che io di solito inquadro chiunque in questo posto, ma con te, mi viene veramente difficile.»
«Ufffff... Che cosa vuoi?» mi pasticciai la faccia.
«L'unica cosa che so è che c'è qualcosa che non va in te.»
«Ma si può sapere cosa vuoi?!» chiesi scocciata.
Mi si avvicinò.
«Io ti vedo guardare il muro e ridere da sola.»
Socchiuse gli occhi chiari.
«Pensi non lo noti?»
Mi si dipinse una smorfia divertita sul volto «Ma che cosa stai dicendo?»
«Lo vedo come guardi il tuo riflesso.»
Mi puntò un dito contro.
«So che quando nessuno ti vede e accade qualcosa di brutto sorridi in modo perfido.»
‹Ma di che cosa sta parlando?›
Arrivai a toccare la parete con la schiena.
«A me il pazzo sembra che sia tu quì...» mi tolsi il suo dito da davanti.
Feci una smorfia.
Ma Dylan non demorse «So che sbatti la testa contro al muro, che ti fai del male. Ogni giorno ti svegli con qualcosa di nuovo e cerchi di nasconderlo. Ti danno della roba! Ma tu non la prendi più, vero? Hai sempre delle emicranie che ti fanno venire voglia di crepare. Perchè?»
Come faceva a sapere di tutto questo?
«L'attimo prima sorridi e poi ti perdi. Il giorno prima sei contenta ed il giorno dopo sembri un'ombra.»
Avevo gli occhi sbarrati.
«O-okay.» balbettai «Sei inquetante...»
Lo scansai ma il momento dopo mi spinse contro la porta della mensa senza lasciarmi via di scampo.
«So anche che parli spesso di notte col tuo riflesso. Dici un nome, parli sempre con–..» si era bloccato.
Che aveva ora?
«Sì esatto!» disse «Questa faccia!» continuò.
Quando mi spostai da lì intravidi per un attimo il mio riflesso nel vetro della porta dietro di me e prima che potessi replicare le parole mi morirono in bocca.
Sbattei più e più volte le palpebre.
Com'era possibile?
Osservai con attenzione, mi avvicinai di più. Era tutto a posto.
-Misi una mano sulla tempia- ‹Che avessi avuto un flash?›
Avevo fumato, era normale avere allucinazioni.
«Senti, adesso basta con questa stronzata.» gli dissi con un tono rude.
Ma quando mi voltai verso di lui non c'era già più.
L'ora di cena era andata ed io mi trovavo già in cella. Erano solo le 21:00
‹Quel discorso...› -pensai- ‹Mi ha spaventata.›
Mi alzai dal letto ed andai davanti al piccolo specchio che si trovava all'angolo della stanza.
Mi osservai. Stetti lì a lungo. Non cambiò niente.
Usai sia l'indice che il medio di entrambe le mani per alzarmi gli angoli della bocca all'insù. Rimasi così per un po'. In seguito provai a sforzarmi di sorridere in quel modo contorto senza l'aiuto di questi ma mi fu difficile,se non impossibile.
Appoggiai le mani al bordo del lavabo e mi usciì in automatico una risata divertita. Mi sentiì una sciocca.
Dopo essere tornata nel letto rimasi sveglia ancora un po' e poi mi addormentai beatamente.
Il mattino dopo mi svegliai riposata.
Ultimamente dormivo molto meglio, non avevo più incubi, anche se a dirla tutta non sognavo neanche più. Ma se il prezzo da pagare per non fare quegli incubi orrendi era di non riuscire più a sognare allora non mi dispiaceva affatto, andava benissimo così.
10:30
Mi andai a prendere il caffè, stetti per infilarci dentro la moneta, ma venni preceduta.
Lui «Oh, scusa–..» ‹Nicolas.› «Ciao.» mi guardò dritto negli occhi.
Feci dietrofront. Avrei rinunciato al caffè.
Ero seduta su una panchina e stavo fumando già la terza sigaretta, ero nervosa per non aver bevuto il mio maledettissimo caffè. ‹Tutto a causa di quell'idiota!› -lo insultai nella mente.-
Lo intravidi. Feci finta di niente.
‹No, no, no. Perchè sta venendo da questa parte? No! Non esisto non esisto non esis–..›
Mi lasciò un bicchierino di plastica lì affianco. Lo afferrai, lo apriì ed osservai il liquido marrone scuro al suo interno.
La lingua mi si mosse in automatico «Cos'è, il caffè delle scuse?»
Le mie parole gli fecero arrestare il passo «No.» ‹E allora che diamine...› «Ma non voglio essere il motivo che ti priva della tua routine mattutina.»
Lo guardai «Be' non dovevi.» mi alzai in piedi lasciando lì la sua "gentile offerta".
Sospirò «Come vuoi Taylor.»
Se ne andò via ed io tornai dentro.
‹Devi smetterla di avercela con lui.›
‹Adesso sei tu la mia nuova coscienza?›
‹Sì. Te l'avevo detto che non avrebbe più parlato.›
Scossi la testa, già stanca di questa giornata.