Claus Jhones (POV'S)
Osservai il liquido ambrato girare su sé stesso grazie al solo movimento del mio polso. Bastava così poco, una sola mossa, per far muovere qualcosa sotto il proprio volere.
Fermai il roteare del polso. Il liquido sbatté contro le pareti del bicchiere, si udì un plick, ne fuoriuscì una goccia che andò proprio a finirmi sul naso.
E bastava ancor meno per fare far sì che sbordasse tutto. Se non c'era alcuna attenzione e né alcuna maneggevolezza il rischio che tutto si rovesciasse era alto. Ma io ero attento. Lo ero sempre.
Buttai giù l'ultimo sorso di Bourbon.
«Entrerò presto...» parlai da solo.
Osservai il riflesso del mio sorriso sadico rispecchiarsi sul vetro lucido del bicchiere.
‹Oh, fratellino...› -pensai- ‹L'incubo sta tornando.›
Mi misi più comodo, allungai le gambe sul tavolino.
Aron. Lui, era sempre stato la mia ombra oscurata.
Ai tempi sapevo alla perfezione che aveva un qualcosa dentro di sé. Qualcosa tinto del colore più nero e tirarglielo fuori non fu tanto facile. Il motivo per la quale io l'abbia fatto? Il sapere. Il capire. Ero sempre stato una persona molta curiosa, fissata con la psicologia umana.
«'Umano'...» risi fra mé e mé. ‹Che parola strana da pronunciare, per me, ch'ero tutto fuorché umano.›
‹Devi starci attento.›
‹A chi?› -ridacchiai divertito.-
‹A tuo fratello.›
‹Ad Aron?› -me la risi sguatamente.-
‹Sì. Te lo ricordi? Quando era peggio di te?›
«Mmh...»
Versai nel bicchiere dell'altro Bourbon. Ne bevvi un sorso, lo degustai, e pensai con attenzione. Mi schiariì le idee.
‹Il mio odio per lui batte ogni mostro che si trova dentro la sua testa.›
Buttai giù il Whiskey tutto d'un sorso e in seguito ne presi ancora.
L'avrebbe pagata cara per il suo tradimento. L'unica persona di cui mi fidavo, mi aveva tradito, mollato in un colpo. Non glielo avrei mai perdonato. Mai.
Come lui era pronto ad uccidere per me io ero pronto a morire per lui.
Il sangue. Lui aveva tradito il suo sangue, e quindi, anche sé stesso.
...FLASHBACK...
«Sssh!» mi fa segno.
«Se–..» «Sssssssh!»
Rimango zitto e lo seguo.
Siamo in giardino, vogliamo prendere le bici per andare a fare un giro di nascosto. 'Sta sera ci saranno le stelle cadenti.
Se l'avessimo chiesto a nostro padre non ci avrebbe mai lasciati andare. Quindi perchè dirglielo?
Dopo essere saliti sulle bici cominciamo a pedalare verso il parco a gran velocità!
Aron urla «Woohooooooh!»
‹Non capisco che divertimento ci trovi.› -penso io.-
«Eddai!» si gira per guardarmi «Fallo anche tu!»
«Guarda dove vai!»
‹È proprio un bambino.›
‹E non lo sei anche tu?›
Pedalo più veloce, lo raggiungo.
«Dai!» insiste.
«È stupido.»
«Uffa! Sei–..» lo interrompo «Proprio un antipatico.»
«Sì! Ecco!» dopo la sua affermazione alzo gli occhi al cielo.
Fra non molto saremmo dovuti arrivare a Ruskin Park.
Aron mi dice ancora «Dai, Claus, fallo!
«Cosa?»
«Divertirti!»
‹Io non mi diverto?›
‹No. Non lo fai.›
Sbatto le palpebre.
«Attention!»
Entriamo nel parco con le bici e rischiamo di investire un paio di persone ma continuano a pedalare senza fermarci.
«Damn jerks!»
Ci prendiamo degli insulti. Io mi metto a ridere.
Aron nel mentre che pedala si volta verso di me con prontezza «Tu...!» mi indica e nel farlo quasi cade «Hai riso!»
Mi alzo in piedi mentre faccio ancora andare i pedali «Wooooouuh!»
«Wouhooooh!»
«Wooohoooh!»
«Sì! Bravo!» grida Aron «Wooouhouuuuh!»
Ridiamo. Ridiamo tanto.
Ci scegliamo un punto in cui lasciare le bici e poi ci dirigiamo verso uno degli alberi più alti. Ci arrampichiamo. Lui rischia di scivolare un paio di volte ma io, che gli sto sotto, lo aiuto a non cadere. Raggiungiamo presto la cima.
«Sono le 23:00. Fra poco dovre–.. Guarda!» mi indica il cielo.
Punto lo sguardo dove mi indica col dito ma io non vedo niente «Dove? Dove?»
«Là!»
Una. Due. Poi tre, e quattro. Cinque. Ne stanno cadendo molte questa notte.
Percepisco il mignolo di mio fratello entrare in contatto col mio.
«È una cosa da gemelli.»
...FINE FLASHBACK...
Non capiì subito la frase che disse quella sera, così, di punto in bianco. Ma ben presto diventò il nostro mantra personale. Che lui, infranse. Calpestò. Com'era stata detta quella promessa, sotto ad un cielo di stelle cadenti, la stessa fine poi fece, erodendosi su sé stessa.
Socchiusi gli occhi. Osservai fuori.
Un po' mi mancava il nostro rapporto. L'avere qualcuno alla mia mercé, qualcuno sempre pronto allo schioccare delle mie dita. Mi divertiva!
Mi era sempre piaciuto manipolarlo. Anche se poi apprendendo i miei modi diventò più bravo di me nel farlo.
-Era sempre stata una gara fra noi due- ‹Chi vince su chi?›
Il tempo in cui non sapeva più chi fosse, chi essere, me ne presi adeguatamente cura. A modo mio. Ma ben presto capiì che sarei dovuto stare ben attento.
Mi ero messo a giocare con un meccanismo pericoloso senza accorgermene.
Pezzi mancanti. Pezzi sparsi. Questo era.
Per una cosa però lo avrei sempre ringraziato, mi aveva aiutato a tirare fuori il mio vero essere. E quale errore fu. Per lui, ovviamente, non per me. Ma fu grave. Fu la sua rovina. La sua autocondanna.
‹Sei sempre stato un problema per loro, non ricordi?›
Serrai le palpebre.
‹Sei sempre stato pazzo.›
Raschiai con le unghie la stoffa della poltrona.
‹Mi piacciono le cose realisticamente macabre.›
‹Sei solo un sadico.›
‹È ciò che sono. Lo so bene.› -cercai di assecondarla, volevo che sparisse, e solitamente funzionava.-
‹Uno psicopatico.› -continuò- ‹Un pazzo.›
Grugniì.
«Taci!» ‹È ciò che sei, no?› «Non usare quella parola.» ‹Quale? È? Quale?› «Non dirla. Non dirla! Silenzio! Silenzio silenzio silenzio silenzio!»
Strinsi i capelli fra le mani. Li tirai con forza.
‹C'è l'imbarazzo della scelta...› -continuò a parlare- ‹Piscopatico. Sadico. Bipolare. Pazzo. Schizofrenico. Malato. Problematico. Schizzato. Folle-..› «Basta basta basta basta basta basta basta basta basta basta basta basta basta basta basta basta basta basta basta basta basta basta basta basta basta basta basta basta basta basta basta basta, bastaaaaaaaaaa!»
Ribaltai l'intera stanza. Spaccai ogni cosa. Distrussi tutto.
Con ancora il respiro che mi ustionava i polmoni e l'affanno a cullare i miei arti mi ritrovai al centro della stanza, che stanza, non poteva più chiamarsi.
Mi tremò la voce «B-basta...»
‹Così ti hanno sempre chiamato. Io te l'ho solo rimembrato.›
Misi le mani fra i capelli, li tirai, li strappai.
Volevo solo silenzio nel mio mondo di frastuoni. Ero una bomba che mai smetteva di fare il conto alla rovescia.
Mi accucciai sul pavimento.
...FLASHBACK...
«Claus Jhones.» sento chiamare il mio nome dall'altoparlante.
Rimango seduto, dondolo le gambe.
«Claus Jhones, tocca a lei. Si presenti nello studio.»
Sto guardando per terra ma nonostante questo sento addosso i loro sguardi giudicanti. Si staranno chiedendo cosa ci faccia da uno psichiatra un bambino come me.
Mi arriva un coppino «Sei stato chiamato, è il tuo turno. Adesso hai anche bisogno di essere portato da un otorino?»
Tiro una mezza occhiata a mio padre e poi mi alzo controvoglia.
Oltrepasso la soglia della porta in legno lucido.
«Oh, eccoti, tu devi essere Claus.»
‹Non mi piace quì.›
«Tuo papà» ‹"Papà."› «mi ha detto che questo è il settimo studio che visiti, eppure hai solo 10'anni.» dice per poi aggiungere «Com'è possibile?» ‹Terribile.› -penso con noia.-
Era questo l'approccio questa volta?
«Puoi parlare–..» ‹'Questo è un posto sicuro'.› -la scimmiotto nella mia testa senza neanche finire di ascoltarla- ‹Conosco a memoria la prassi.›
Mi guardo in giro. È piuttosto vivace questo studio, strano ma vero.
«Non ti piace parlare è?» alzo le spalle in risposta «So che sei molto intelligente.»
«Sì.» mi batto una mano sulla fronte mentalmente ‹Ha fatto leva sull'esaltare una tua qualità e ti sei fatto abbindolare. Non impari mai.›
Mi sorride «Forse questa tua intelligenza dovresti imparare a usarla nel migliore dei mo–..» «So che si riferisce alla mia pazzia e che sta usando una metafora. Quindi la smetta.» la spiazzo.
«Oh...» balbetta «N-no. Non–..» si ferma.
«So di essere pazzo. Me lo dicono tutti.»
Mi lancia uno sguardo rattristato ‹Non ho bisogno di fare pietà.› «Non devi pensarla così.»
«Non la penso così.»
«Oh, ben–..» «Lo pensano gli altri.» continuo ad interromperla.
Sbatte le lunghe ciglia naturali «Be', magari è solo perchè non riescono a capire i tuoi comportamenti.»
«Me ne frego.» faccio spallucce.
Solitamente sono sempre stato un bambino molto taciturno ma quando parto a parlare non mi fermo più.
«Scusi Kelly, ma, sta perdendo tempo con me.»
Mi osserva, zitta.
«Vedo che sei un buon osservatore piccolo Claus.» si sfiora la targhetta con su scritto il suo nome «Vedi... Voglio che i miei pazienti possano sapere fin da subito come mi chiamo, di solito aiuta con la confidenzialità.»
Non le rispondo, ma già se lo aspettava.
Si piega sulla sedia ed apre il primo cassetto. Tira fuori una cartella. La mia cartella.
«Saprai già di cosa si tratta.» mi chiede, per l'appunto, ed io annuisco «Benissimo, allora non ti dispiacerà se la leggo con te.»
«Conosco già tutto quello che c'è scritto a memoria.» le faccio presente.
Lei ridacchia appena «Lo so, ma io no. Non c'è bisogno di essere astiosi comunque.» ‹Perchè dovrei essere amico di una strizzacervelli?› -mi chiedo infastidito in modo retorico.-
La apre, inizia a sfogliarla.
«Il primo che leggo è il disturbo schizzoide di personalità. Sai–..» ferma le proprio parole «Ovviamente sai cos'è. Neanche te lo chiedo.»
‹Inizia con un elenco dei tuo problemi mentali, alla faccia della noia, èh?› -mi da fastidio.-
«Quà però vedo anche che ti è stato diagnosticato anche quello di tipo schizotipico...» mi guarda per un secondo, sembra riflettere fra sé e sé «Ma... non è possibile. O è uno o è l'altro. Sono due cose differenti.» osserva il foglio con attenzione «Questo lo diceva il signor Frien–.. Fren–.. Frei–..» «Frieindrich.» le tolgo la difficoltà.
«Ti ringrazio, io non sono proprio in grado di leggerlo.»
Ridacchia. Pensa di essere simpatica?
Tira un colpo di tosse «Bene...» si prepara per continuare «Antisociale, mh? Poi... Narcisista, con di conseguenza, tratti apatici. Oh. Non in grado di controllare gli impulsi, dice.» continua a leggere velocemente «E, disturbo dell'attenzione...?»
Mi guarda.
‹Che cosa vuole? Che dica qualcosa?› -mi chiedo.-
Torna col naso sul mio quadro clinico ed inizia sfogliarlo velocemente, si acciglia, poi torna ad osservarmi.
‹La deve smettere di guardarmi.› -mi dico- ‹La deve smettere di studiarmi.› -continuo a dirmi- ‹Non mi entrerà dentro.›
Lo chiude.
«Non ha finito.»
«Lo so.» risponde «Ma molte cose non quadrano ed altre sono l'una l'opposto dell'altra.»
-Sorrido di sbieco- ‹Sono incapibile.›
«E comunque, ti prego, dammi del tu.»
Stranamente non usa le solite tattiche che usano tutti, forse per una volta è stato compreso il fatto che con me sia inutile. Mi dovevo ricredere.
«C'è qualcuno a cui sei particolarmente legato?»
Ci penso su, poi dico «Mio fratello gemello.»
«Ah, bene!» ‹Mi chiederà sicuramente di parlarmi di lui› «Parlami di lui.» ‹E come al solito ho ragione.›
«È più aperto di me.»
«Mh. Nient'altro?»
«Anche lui ha dei problemi.»
«Oh. Cioè? Frequenta anche lui–..» «No.»
Si acciglia «Allora come fai a dirlo?»
«Non lo so, me lo sento.»
«Te lo senti?»
«Sì.»
«E in che modo?»
Alzo le spalle.
«È una cosa da gemelli.»
...FINE FLASHBACK...
Per la prima volta non cambiai studio dopo la seconda seduta. Mi ci trovavo abbastanza, non era come gli altri, non che mi piacesse andarci, ma c'era un qualcosa in più.
Peccato che il menù alla fine fu lo stesso.
...FLASHBACK...
«Com'è possibile che non si riesca a capire che cos'abbia?!» urla mio padre.
Io sto attendendo fuori. Dondolo le gambe sulla sedia.
«Non ho detto questo–..» «Però non è in grado di dirmi quale delle diagnosi è corretta!»
«Il punto è che è complicato. Delle volte» ‹Dai, sentiamo.› «sembra normale» ‹Ma che bella parola...› «mentre altre volte» ‹Non dirlo. Non voglio sentire.› «non lo sembra per niente.» ‹Ecco, lo ha detto...› -sorrido amaramente.-
«E questo cosa vorrebbe dire?! Che sia pazzo, che abbia dei problemi, è chiaro. Per questo è quì.»
«Tśh.» commento.
Lei rimane per un attimo in silenzio «Ci sarebbero tanti esami da fare, ci sarebbe da approfondire.» gli fa presente.
Egli esclama «Più che da uno psichiatra dove dovrei portare 'sto maledetto bambino?»
Sembra sospirare «Si calmi...» ‹Lui, calmarsi? Si vede che non lo conosce proprio.›
«Basta.» si odono i passi.
«Non dica così.»
La maniglia scatta «Cambieremo studio, da domani non ci vedrete più.» apre la porta.
Mi fa alzare prendendomi per la giacca e mentre la porta sta per chiudersi in automatico riesco a notare lo sguardo afflitto di Kelly.
...FINE FLASHBACK...
Mi misi a ridere fra mé e mé.
Io, che non ero il più problematico, ero sempre stato sballottato da uno psichiatra all'altro e chi ci sarebbe dovuto essere al posto mio invece non aveva mai visto neanche mezzo psicanalista. La cosa era quasi esilerante.
Si udì nell'aria il click della maniglia che veniva aperta. Mi alzai da terra, presi la pistola. Mi diressi pian piano verso l'entrata e appena svoltai l'angolo la puntai!
«Fermo!» le caddero tutte le cose a terra «Sono io!»
Abbassai l'arma «Quante volte ti ho detto di avvisare?!»
Sara raccolse le cose ormai riverse sul pavimento «Ti ho chiamato però dava spento.»
Ripensai al telefono che avevo frantumato in mille pezzi.
Tornai verso la mia stanza e nel mentre le dissi «Devi uscire di nuovo.»
«Ma–..» «Devi andarmi a comprare un telefono.»
Chiusi la porta di quella che oramai non avrei più potuto permettermi di chiamare stanza.
Come ci entrai, usciì subito.
«Vado io.» l'avvisai.
«Ma è pieno giorno, s–..»
Non la feci nemmeno terminare che mi ero già richiuso la porta alle spalle.
Evitai le strade principali percorrendo ogni vietta possibile.
Ad un certo punto fermai il passo. Rimasi ad osservare questo vicolo lontano da occhi indiscreti.
Un topolino spuntò da sotto il cassonetto.
‹Che ricordi è?› -m'infastidiì.-
Anni fa mi capitava spesso di risvegliarmi in posti come questo, una volta mi venne persino a recuperare mia madre.
Tirai ancor di più su il cappuccio e continuai a camminare.
‹"La santa donna".› -pensai con sarcasmo.-
Quando avevo 14'anni, una sera, tornai a casa e me la presi con Grace. Lei era l'unica presente e mi accusò di essere uguale a mio padre.
‹Quali parole...›
Se la sua intenzione era d'insultarmi nel peggiore dei modi ci era riuscita più che alla perfezione.
Ma il punto non era questo, i punti erano altri.
«Tśh.» ‹E sembro ricordare solo io.›
2h
Fui a casa.
Sara, appena entrai, domandò «Ma che diavolo è successo in quella sta–..» «Sta' zitta.»
Mi ci chiusi a chiave.
Osservai il caos da cui ero attorniato e poi scivolai con la schiena lungo la superficie della porta, rimasi lì seduto, e chiusi gli occhi. Non volevo vedere più tutto quel casino.
‹Casino che sempre tu crei.› -tornò all'attacco.-
Spesso la mia stanza veniva ridotta così, e se non da me, da mio fratello.
Feci un lungo sospiro.
Josephine mi odiava. Quella che era mia madre, mi odiava. Me lo sentivo. Lo percepivo negli sguardi che delle volte mi lanciava, cercava di non farsi notare, ma a me non sfuggiva mai nulla.
‹Sei sempre stato quello che vedeva il marcio e nient'altro.› -mi disse.-
‹Ero l'unico, in grado di vederlo.›
Io me la ricordavo lei. Com'era, cos'era diventata.
Quasi mi venne da ridere.
A quanto pareva ero l'unico a rimembrarlo e ad essere biasimato per questo.
Loro non lo ricordavano, o forse fingevano di non farlo.