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Chapter 50 - L° il ventriloquo

...FLASHBACK...

Rincasiamo.

Aron mi dice «Ci vediamo di sopra.»

Mi strofino gli occhi e nel mentre mi avvio in cucina. Noto lo sportello del frigorifero aperto, la luce bluastra illumina una parte della stanza.

«Mamma.» pronuncio.

Lei sembra non sentirmi, quindi mi ci avvicino.

«Hey, mamma.» la scuoto per la spalla.

«Mmmh?» risponde ma sembra non ascoltarmi davvero.

Le metto le mani sulle spalle «Dai, torna a dormire.» la conduco verso la camera.

Lei sbiascica «Non voglio dormire...»

«Hai preso il Valium.» le faccio presente «Dovresti startene a letto, non andare in giro per casa.»

Si mette a ridere «Che ddici!» sventola una mano per aria.

Sospiro «Dai. Forza.»

Apro la porta della camera e dopo averla accompagnata a letto le rimbocco le coperte.

Mi guarda di sbieco «Sei così gentile Aron...»

Neanche mi riconosce.›

‹Come al solito.› -commenta per poi aggiungere- ‹Dovresti esserci abituato.›

Non le rispondo, non dico niente.

La lascio lì e in seguito chiudo la porta della camera.

...FINE FLASHBACK...

La maggior parte delle volte neanche era in grado di distinguermi da lui, quando ero io, ad accompagnarla ogni volta a letto. E non mio fratello.

Probabilmente pensava che tu non fossi in grado di essere così amorevole.› -mi disse la voce.-

Strinsi le palpebre.

Si strafaceva di medicinali e quando li finiva diventava intrattabile.

...FLASHBACK...

Scendo le scale, sono le 03:00 del mattino e non riesco a prendere sonno.

Appena alzo lo sguardo la vedo lì sulla poltrona con lo schermo acceso della tv che non da alcun segnale.

Ci risiamo?› -penso con noia.-

Spunta Grace da sopra le scale, scende anche lei. Mi supera senza dirmi una parola.

«Mamma?»

Le si avvicina. Non dico nulla.

Le tocca una spalla «Ma–..» si toglie la sua presa di dosso in modo brusco «Lasciami in pace. Tornatene a dormire.»

«E tu? Non dormi?»

Ci mette qualche secondo in più a risponderle «No.»

«Perchè?»

«Ho finito le medicine.» risponde bruscamente.

Grace si siede accanto a lei «Dovresti metterti a letto e cercare di dormire.»

«Se ci riuscissi non sarei quà, non credi?!» scatta verso di lei.

Grace la osserva con i suoi occhioni cristallini «Senti, se–..» «Vattene di sopra e lasciami in pace.»

Ma lei, cocciuta com'è, non se ne va «Vieni con me.» si rialza in piedi, fa per prenderle la mano «Andiamo a le–..» «No!» la spintona.

Anch'essa si alza ed io le raggiungo.

«Josephine basta.» mi frappongo tra loro due.

«Claus.» ‹Oh, ora mi riconosce.› «Vuoi dirmi anche tu che me ne devo andare a d–..» «Sì, esatto.» le prendo i gomiti.

«No! Lasciami!» cerca di liberarsi della mia presa ferrea.

Insisto «Andiamo!»

Grace si intromette «Claus, smettila. Le fai male.»

Non la ascolto e continuo a dire «Forza. Muoviti.»

La tiro via dal salotto. Si libera e nel farlo mi colpisce sulla mandibola.

«Non sono una persona paziente.» ringhio.

Me la carico su in spalla!

Grace «Cla–..» «Taci!».

«Lasciami lasciami lasciami lasciami lasciami lasciami lasciami!»

Sento che qualcuno scende di fretta le scale.

Christian mi sbraita contro «Che cosa stai facendo?!»

«La porto in camera!»

Mentre mi dirigo verso di essa nostra madre continua a lamentarsi. Appena entriamo la lascio scendere.

Con uno scatto tira giù la lampada che si trova sul comodino!

«Ferma!» le dico.

Christian e Grace entrano in camera.

Lui domanda con agitazione «Che cosa sta succedendo quì?!»

«Fatti gli affari tuoi!» gli dico.

Cerco nuovamente di farla mettere nel letto.

Lei «L-lasciami.» ha l'affanno.

Christian «Lasciala. Adesso.» mi intima.

Lo incenerisco con lo sguardo. Poi me ne vado uscendo dalla stanza.

Vedrai prima o poi, vedrai...› -stringo i pugni.-

...FINE FLASHBACK...

Mi rialzai in piedi. Camminai per la stanza.

Soltanto io avevo idea di come si trasformasse quando finiva gli psicofarmaci, come un tossico che andava in astinenza senza la sua dose.

Solo io, so.› -pensai.-

Il problema non era solo Jonathan, ma anche lei.

Passai lunghi periodi ad odiare entrambi.

Sei sempre andato avanti col tuo odio.› -e quello era l'unico sentimento che provavo da anni.-

Quando fui totalmente assuefatto dai miei vizi, convinsi Aron.

Quella sera del 30/Giugno, non l'avremmo mai scordata.

...FLASHBACK...

04:30

Apro la porta della loro camera cercando di fare meno rumore possibile.

«Claus.»

«Sssh!» lo zittisco.

Entriamo ed il mio sguardo vaga per la camera.

Finisco per osservare le nostre figure nello specchio davanti a me, sembriamo solo due ombre. Quelle ombre che intravedi solamente di sfuggita. Nell'angolo più buio della stanza.

Anime nere. Proveniente dal più tetro dei luoghi...›

Stringo il manico del coltello, la sua lama riflette la luce della luna. Glielo porgo.

«Dobbiamo liberarci.» parla tra sé e sé.

Guarda l'oggetto, poi guarda me, ed in fine guarda nella direzione del letto. Fa così per due o tre volte.

Che cosa aspetta?› -mi chiedo mentre controllo che non arrivi nessuno- ‹Dai! Dai dai dai dai dai, dai!›

«Non–..» fa per parlare, ma poi si ferma.

Scatto con gli occhi su di lui «Vuoi ritirarti?! Ormai è tardi.»

«Nel letto non c–..» «Cosa!»

Si ode un rumore di passi.

«Merda!» inizio ad imprecare.

Guardo il letto. I miei occhi ormai abituati al buio notato che nel letto non sono presenti entrambi.

Qualcuno si era alzato per andare in bagno e stava per tornare!

Aron controlla l'orologio «Sono le 04:30 passate, e come immaginavo...»

A quest'ora nostro padre si alzava sempre per andare in bagno.

Io lo afferro per le spalle obbligandolo a guardarmi «Allora?!»Dobbiamo sbrigarci.›

Aron osserva la porta, la maniglia si abbassa.

Gli ranco il coltello di mano! Vado verso di essa, ma lui, mi ferma.

«Cosa...?» si ode la voce di Josephine.

Si è svegliata!›

Aron dice «Voglio sporcarmi io le mani del suo sangue marcio.»

Succede tutto in un attimo.

Aron mi strappa il coltello di mano, va verso la figura che 'sta in piedi.

La luce si accende di colpo!

Mio fratello infila il coltello nella sua carne. Proprio all'altezza del fianco.

«A-aron–..» arranca.

Cade a terra inerme con ancora l'arma conficcatagli.

Le molle del letto cigolano, segno del suo alzarsi da quest'ultimo. Si precipita accanto al suo corpo! Grida. Grida a pieni polmoni, fino a squarciare il silenzio tombale autocreatosi fino ad ora.

Un sorriso sadico si mi si dipinge sul volto.

Sei contento?›

‹Sì. Lo sono.›

‹Be', non dovresti.›

Le urla si odono in tutta la camera. Passi si fanno vicini.

Aron alza le mani tremanti sporche di sangue davanti al viso.

*blam*

La porta si spalanca.

Christian cade in ginocchio, proprio affianco al suo corpo.

Per un semplice gesto, sono stati distrutti tutti.› -me la rido.-

Grida, urla, piange. Si dispera.

Christian grida tra le lacrime contro ad Aron «Che cos'hai fatto?!»

Va verso Aron.

Lo fermo «Sta' dove sei.»

Mi tira uno sguardo di puro odio. Come prima non mi aveva mai lanciato.

«Mamma...» parla Aron.

Si mette le mani fra i capelli, se li tira, indietreggia fino a toccare la parete adiacente. Striscia contro il muro. Inciampa a terra.

Nostro padre, Jonathan, si alza in piedi.

...FINE FLASHBACK...

Quella stessa notte scappammo.

E quella, fu la goccia che fece traboccare il suo vaso già straripante.

...FLASHBACK...

Ho l'affanno.

«Aron!» mi guardo indietro.

Dov'è andato?!› -mi chiedo.-

Torno in dietro trovandolo nella via adiacente a questa.

Lo obbligo a correre. Lo trascino. Lo traino.

«Lasciami!» grida.

Gli cede una gamba, inciampa per terra. Si ritrova a quattro zampe.

«Che stai facendo? Vuoi rimanere lì?» gli dico io «Le senti le sirene? Ci stanno cercando!»

Aron si mette a ridere. Ride sguaitamente.

«Tu...»

«Io?» dico «Io, cosa?»

Si mette le mani sulle tempie «Se non mi avessi messo quelle idee in testa...»

«Idee?! Hai sempre voluto farlo. Non incolpare me se hai "sbagliato mira".»

Il suo sguardo scatta su di me, si alza in piedi.

Io parlo ancora «Non te la pren–..»

Mi piomba addosso!

«Tu li volevi morti entrambi! Li volevi morti tutti!»

Mi tolgo le sue mani da dosso «Non toccarmi!»

Ci fronteggiamo.

Lo punto «Tu...! Eri tu, che parlavi sempre di uccidere!»

«N-non è vero!» indietreggia.

Mi ci avvicino «Ah no?» continua ad indietreggiare «Non te lo ricordi?»

Si mette le mani in testa. Stringe i denti.

«No...» perde la voce.

«Ossì.»

«N-no...» continua a dire.

«Non ricordi?»

«No. No, no!» stringe le palpebre.

Si inginocchia sull'asfalto.

Si odono dei rumori.

«Aron, muoviti!»

...FINE FLASHBACK...

Fummo poi separati. Io finiì a Boston, lui a Milano.

Che cosa esilerante.› -pensai.-

«Mh...» presi su da terra l'unico bicchiere ancora praticamente intatto.

Si scatenarono un susseguirsi di eventi.

Tempo dopo, come un colpo di fortuna, ritrovai Nicolas. Lo abbindolai. Si schierò dalla mia parte.

‹Ho sempre amato giocare.›

Ciò che più mi divertiva era l'avere la vita delle persone fra le mie mani. Bastava distendere i palmi, sembrare innocente, e loro ci si appoggiavano. Cercavano riparo proprio nel posto meno sicuro in assoluto. Fino a che poi al momento adatto, stringevo la presa. Schiaccandoli. Distruggendoli.

Far sì che una persona diventi una pedina tra le proprie mani non era arte da tutti, bisognava imparare col tempo, ed io ne avevo fatto una professione. Oramai ne ero maestro.

Era il mio gioco, la mia partita. L'importante era il fare la prima mossa.

Per saper muovere i fili giusti ci volevano anni di pratica ed io facevo pratica da tutta la vita.

Marionette. Per me ciò erano.

Chiunque poteva essere usato. Chiunque era utile. Bisognava solo essere capace di usufruirne nei modi giusti.

Loro ci cascavano. Tutti. Sempre.

Ero un ottimo giocatore. Nella vita bisognava imparare a farlo se si aveva a cuore la propria sopravvivenza. Semplice autoconservazione.

La cosa con cui più mi divertivo erano i burattini.

Mettere le vite altrui sul filo del rasoio era la mia malattia, la mia ossessione. Una tattica utile.

Giravo e rigiravo le carte a mio piacimento come il più capace degli illusionisti.

La manipolazione era un'arte difficile. Saperla usare era un artifizio alquanto complesso. Ci voleva abilità, maestria.

Questa era la parte più realista e marcia dell'essere umano. Ed io, lo ero fino al midollo.

E i piani delle volte vanno anche meglio di come ci si aspetta, vero?› -mi disse.- «Già.» parlai da solo, e poi, sorrisi.

Avevo fatto le mie mosse, ero partito all'attacco ed ora dovevano difendersi.

La partita è già in corso.› -sorrisi ancora.-

Loro mi avevano risucchiato via la mia felicità? Be'. Io, gliel'avevo strappata, ricambiandogli il favore.

Peccato che però tra i piani si mettano in mezzo molte cose.›

‹Ovvero?›

Cose che non ci si aspetta, sai...›

‹Stai parlando–..› ‹.› -m'interrompe- ‹Proprio di lei.

Taylor Vega (POV'S)

Mi strinsi nella felpa, camminai lungo il grande corridoio fino a raggiungere una delle panchine che si trovavano nella sala principale. Quando mi stetti per sedere notai la sua figura direzionarsi verso l'uscita, lo seguiì. Come mi ero appena seduta mi ero rialzata.

«Hey, Aron!» lo raggiunsi.

Mi osservò da sopra la spalla «Mh?» poi disse «Cosa vuoi?»

Mi misi davanti a lui.

Ha ragione, che cosa voglio?›

Vagai in giro con lo sguardo, poi lo portai sul suo viso. Gli occhi mi caddero proprio sulla sua cicatrice ancora ben evidente. Alzai la mano verso di essa, non disse niente. Feci per sfiorargliela, i miei occhi notarono i suoi, che erano ben vigili. Quando me ne accorsi ritrassi le dita come se mi fossi appena scottata. Non seppi se per il suo sguardo o se per il pensiero del toccare la sua pelle.

Aron per l'appunto domandò «Che cosa stavi facendo?»

«Chi? Io?» ‹Idiota! Ovvio!› -mi schiaffeggiai mentalmente.-

«E chi altro?» disse scocciato.

Mi strofinai la spalla per darmi conforto in questa situazione imbarazzante.

«Come va?» chiesi di punto in bianco.

Dovresti odiarlo, non preoccuparti per lui.› -mi fece presente.- Aveva ragione, avrei dovuto odiarlo. Ma non ce la facevo. E non ne capivo il perchè.

Inarcò un sopracciglio «Io? A te come va, semmai.»

«Mh?» fu il mio turno di non capire.

Da lontano notai Liamh.

Ogni volta che lo vedevo nei paraggi, o lui, o Jo, mi venivano i brividi. Mi iniziava a prudere la pelle.

«Ci sei?»

Non riuscivo quasi più a farmi vedere senza vestiti da nessuno. Le persone mi davano fastidio, se la stanza ne era piena mi sentivo soffocare. Il contatto fisico soprattutto se di un certo "spessore" quasi non lo sopportavo, nonostante non lo dessi a vedere, mentre altre volte però, mi era impossibile non farlo.

La gente. Il contatto. L'essere osservata, messa in soggezione.

Ora sentivo miei dei problemi che prima nemmeno mi ero sognata di poter avere.

Liamh mi guardò.

Ho la nausea.›

E poi mi sorrise.

«Oooh?!»

Mi scosse. Scattai.

Aron mi stava tenendo il braccio che ancora si trovava a mezz'aria, proprio vicino al suo mento, ma il colpo non gli era arrivato. Lo aveva fermato.

Mi lasciò.

«S-scusa... Non–..» «Non sono io che non sto bene.» parlò lui dopo avermi interrotta «Ma tu.»

Mi difesi «Io sto benissimo.»

«Non mi pare.» ribatté.

Mi guardai in giro. Di lui non c'era più traccia.

Aron mi si avvicinò di mezzo passo «Sono un ottimo osservatore Taylor.»

Non riusciì a capire la sua uscita.

«Comunque c'è una cosa che ti voglio chiedere.» disse all'improvviso lasciando perdere il discorso precedente «Che cosa intendevi dire?»

«Per cosa?» chiesi altamente confusa.

Aron sospirò, distolse lo sguardo «Hai detto d'essere più di "questo".» si indicò «Ma 'questo' cosa?»

«Che...?» ancora non compresi.

Si spazientì «Lascia stare.»

«Parli di–..» «Di me! Tu lo hai detto.»

Sbattei le palpebre «Ah...»

«Cosa!» sbraitò.

«I–..» m'interruppe «Tu che cosa ne sai di me?» si avvicinò prontamente «Cosa ti ha raccontato lui?»

«Lui?» ‹Claus?» «Parli di...»

«Sì. Di mio fratello, Claus.» disse con sicurezza ma non bastò per non farmi notare il tremolio che ebbero le sue mani.

Lo guardai dritto negli occhi «Non sei lui.»

«Ma mi hai chiamato così.»

«Lo so. È vero.»

«E allora che cazzo dici!» si agitò nuovamente.

Sbattetti le palpebre «Non puoi di certo essere peggio di lui, comunque.»

Distolse lo sguardo per un secondo «Tśh!» gli spuntò un sorrisetto sghembo ed allo stesso tempo amaro all'angolo delle lebbra.

Io «Asco–..» «Tu non sai niente!» ringhiò.

Non spostai gli occhi dai suoi, li tenni ben fermi.

«Hai ragione.»

«E allo–..» «Una cosa però la so.» lo interruppi «Mi odi, ma nonostante questo sei ancora quà.»

Gli scappò una mezza risata «Come? A me pare che sia tu quella sempre tra le palle.»

«Sei incoerente.» lo fulminai.

«E tu una masochista.»

Inarcai un sopracciglio «Ah perchè tu no invece vero?»

Mi prese per mano, non me lo sarei mai aspettato. Per fortuna non poté notare il mio rossore essendo troppo intendo a portarmi con lui in un angolo del cortile.

«Si può sapere che cosa vuoi?» mi disse.

Che cosa voglio io?›

‹Sì. Ha ragione, tu che cosa vuoi?› -s'introdusse.-

Aron Jhones (POV'S)

«Che cosa dovrei vole–..» la interruppi «Ogni volta, ogni fottuta volta, non fai altro che avvicinarti a me! Perchè ritorni tutte le volte?!»

«Mi sa di dejavú.» disse con sarcasmo. ‹Mi prende per il culo?›

Cercai di non perdere la pazienza «Più voglio tenerti lontana e più non fai altro che avvicinarti!»

«Be', e tu?» ‹Io?› «Non fai altro che farmi male e dirmi questo ma poi ritorniamo sempre punto e capo.»

«Ma che discorso è?!»

Taylor poi aggiunse «Questo è uno stupido circolo vizioso...» parve parlare fra sé e sé.

«Ma che discorsi sono?!»

«Ma come che discorsi sono!»

Sbuffai esasperato. Lei mi esasperava!

«Dici di odiarmi.» s'avvicinò di più «Ma allora perchè ti comporti così?»

-La guardai stralunato- ‹Ma di cosa cacchio sta parlando?›

«Mi comporto come?»

«Non lo so, sei incoerente.» disse.

«Mi comporto come?!»

Le ballò l'occhio «Incoerentemente!»

-Mi pasticciai la faccia- ‹No no no. Io non possa farcela con 'sta quà!›

«Cosa caz–..» «Dici di odiarmi ma al coltempo sembra che tu non voglia che smetta di avvicinarti a te.»

Mi bloccai. La guardai. Scoppiai a ridere.

«Non ridere, è così.»

«E d-a cosa lo–.. Deduci?» continuai a non far altro che parlare a scatti visto che stavo ridendo come un matto.

Attese che la smettessi. Ci volle un po'.

«Non sei da solo, lo sai?»

Ma cos'era diventata pazza all'improvviso? Non feci altro che ricominciare a ridere.

«Smettila.» mi guardò infastidita.

«E come faccio? Non senti cosa spari?»

Mi asciugai le lacrime agli angoli degli occhi.

«Non sei da solo Aron.» continuò.

«Ma che dia–..» «Lo sai che non lo sei.» mi guardò con un'espressione seria in viso.

«Cazzate.»Sono solo cazzate.› -mi dissi anche nella testa.-

«Non sono cazzate. Sei tu che sei un cazzone.»

La guardai nuovamente stralunato.

Io commentai «Macché...»

Taylor si mise a ridere sommessamente, cercò di trattenersi ma ci riuscì per poco, la sua risata fu contagiosa.

Taylor Vega (POV'S)

Come riuscivamo a finire sempre in questi modi? Era assurdo come ogni volta fosse presente un momento diverso.

-Lo guardai ridere- ‹Non ha mai riso in questo modo.›

Questo era un rapporto altamente altalenante.

Prima l'odio e le urla, poi le risate ed i battibecchi, momenti ravvicinati e di lontananza, parole sputate con rancore ed altre di conforto, mani addosso e leggere carezze, e molto altro. Noi, eravamo questo. Un rapporto che sembrava tutto ed al coltempo niente.

È un niente che toglie tutto ed un tutto che da niente.›