«Non sono 'nessuno'.» sembrò sibilarlo.
Non risposi. Quella a rimanere in silenzio fui io 'sta volta.
«Anzi, qualcuno sono.»
«C-cioè?» balbettai come una stupida e lui sembrò esserne divertito.
«Sono quello da cui devi tenerti il più lontano possibile.»
Sembrò sussurrare. Un sussurro flebile, ma pur sempre potente quanto un uragano.
«Quello che potrebbe tirarti fuori dai tuoi incubi solo per divenire il tuo incubo stesso nel mondo reale.» prese una pausa «Sono un rischio. Hai capito? Una belva dell'inferno. E tu non sembri in grado di poter sopportare il rischio di esserci trascinata all'interno.»
Quelle parole mi entrarono dentro, mi si cicatrizzarono addosso.
In testa. Colpirono. E colpirono. Non fecero altro che martellare ed echeggiare.
Mi avevano perforato la carne per poi intrecciarsi alle mie ossa fino ad imprimere quel loro macabro significato nel profondo del mio animo.
Un significato triste, disperato. Fatto e finito d'una disperazione nera.
Mi colpirono, raggiungendo ogni mio più profondo centimetro di pelle.
‹Oh, tu non sai.› -pensai.- ‹Nell'inferno di cui tu parli mi ci sto sentendo precipitare.›
Si scostò. Mentre io rimasi dov'ero.
«Non voglio più che provi ad avvicinarti a me. Fa' in modo che io non respiri più la tua stessa aria nemmeno per sbaglio.» mi avvertì mentre mi puntava col dito, poi sembrò annusare l'aria ‹Perchè mi sembra un dejavù?› -mi chiesi, poi rabbrividiì.- «Hai l'odore di quel bastardo del tuo amico. E io non voglio imputridirmi i polmoni inalandone il puzzo.»
Mi mollò lì.
‹Cos'è questa sensazione che sento?›
Mi si apriì uno squarcio ancor più ampio all'interno.
Le sue parole mi ferirono. Forse, era questo che sentivo. Ferimento.
Completamente svuotata mi diressi all'interno della struttura.
Stavo attraversando l'ampio corridoio, attorno a me il silenzio, ed il rumore dei miei soli passi. Ma forse non solo dei miei.
«Dove vai?»
Un brivido.
Ricomiciai a camminare «Lasciami stare.»
Mi affiancò. Cercai di non darci peso ma il mio intero corpo aveva l'esigenza di allontanarmi da lui in fretta e furia.
Jo «Dove stai andando, ripeto.»
«A dormire.»
«Ti accompagno.» mi prese per un braccio. ‹No. Lasciami.› -urlò la mia testa.-
Rimasi zitta, rigida.
‹Non avrei potuto dimenticare.›
Svoltammo, ‹Mah...› per due volte ‹Dove stiamo andando?› «Non è l'area nord.» dissi «La mia cella non è di quà.» parlai in modo frettoloso, agitato, con tono urgente.
Jo «Lo ssó.» rispose con pacatezza allungando la s.
Più in là ci spingevamo, più camminavo lentamente. Fino a fermarmi.
Era l'area delle celle d'isolamento.
‹No.›
Vidi una figura. La sua figura.
‹No no no no no no. Non voglio stare quì.›
Cercai di scappare, ma fu inutile. La sua presa era ancora ferrea attorno al mio braccio. Continuai a tirare mentre lui non sembrava fare alcuno sforzo nel trattenermi.
Chiunque avesse visto questa scena dall'esterno l'avrebbe trovata quasi esilerante. E non avrei potuto dargli torto. Sarebbe potuta sembrare veramente una comica. Una sottospecie di "gioco del mimo". Eppure, così non era.
Continuai a tirare dei forti strattoni.
‹Ti stai facendo male.› -mi disse- ‹Smettila.›
Ma a me di farmi del male non importava, era l'ultimo fra i miei pensieri.
Mi sentivo un animale in trappola. Sentivo l'urgenza di scappare, il più lontano possibile, a qualsiasi costo.
Fremevo. Il cuore mi martellava nel petto. Ogni parte di me, sopratutto quella interna, lo stava facendo, pur di riuscire ad andarsene.
Mi balenò un'idea quasi malsana in mente.
Volli spezzarmi il braccio, liberarmene. Rancarlo via.
Pensai d'iniziare persino ad autosbranarmi solamente per poter dire in seguito che ero stata finalmente liberata permettendomi così di poter cominciare a scappare lontano.
Pensai di affondare i denti nella mia stessa carne. Di scavare. Scavare fino a raggiungere l'osso e poi spezzarmelo.
Ma il problema, la cosa inquietante, non fu il pensiero stesso. Oh, no. Quel che fu preoccupante era che avrei potuto farlo per davvero.
Infondo non era questo che diceva di fare l'istinto animale? Fare di tutto. Provare di tutto. Solo per fuggire. Sfuggire. Per permettersi di sopravvivere.
In questo preciso istante mi ritrovai nei panni di una bestia indifesa. Una bestia pronta a tutto. Al sacrificio. Anche a quello più doloroso.
Non feci altro che spostare in continuazione le pupille, dal mio braccio, alla sua mano. Più e più volte.
I miei occhi parvero ballare al suo sguardo. Danzavano. Stavano ballando sul ritmo veloce di una decisione da completi fuori di testa.
«Oh, ci sei?»
Fu uno schiaffo. Un risveglio.
‹Che stavo pensando di–..› -il voltastomaco iniziò ad invardermi la bocca dello stomaco.-
E poi... «Quindi me la lasci?» la sua voce.
Liamh mi stava guardando. ‹Con quel suo sguardo da malato del cazzo.› -pensai mentre lo osservavo.-
...FLASHBACK...
«P-perchè...» dico.
Mi ha fatto spogliare. E ora mi sta guardando.
‹Perchè?!›
Liamh inizia a parlare «Sai, mi piace osservare dalla giusta angolazione quello che mi sta davanti.» si avvicina ‹No.› «Devo capire con cosa devo trattare. Non ti sembra?»
Non lo guardo negli occhi. Non ce la faccio.
«E non coprirti maledizione!»
Serro gli occhi. Li stringo così forse che mi autoprovoco un dolore alla testa, ma forse, era stata solo la botta precedente.
Prima mi ero rifiutata di togliermi anche la maglia e lui mi aveva punita.
‹Mi è troppo vicino.›
«Dai, su.» mi scosta una mano dal petto.
‹Non guardarmi così.›
«Stai buona.»
Appoggia una mano sulla mia spalla, poi la sfiora e in fine percorre il mio braccio.
‹Non toccarmi.›
Scende.
‹Stammi lontano.›
Sembra testarmi.
Lui «Vediamo...»
Mi esplora senza ritegno, toccando ogni centimetro di pelle che possiedo.
Non mi tocca come se fossi una persona. Mi tocca come se fossi un oggetto.
«No...» sussurro impercettibilmente. ‹Perchè?!› -penso- ‹Perchè mi sta succedendo questo?!›
Mi osserva con occhi da vero intenditore. Continua a toccarmi come se dovesse testare un prodotto, per capire se sia vendibile o meno, o se sia tutto nella norma.
Mi sento nuda. Indifesa. Senza barriere protettive a farmi da scudo. Con ogni parte di me che viene spezzata, scucita, scalfita. Buttata a terra, lasciata lì. Calpestata.
E io? In silenzio. Immobile come un soprammobile. O come l'oggetto che sono per lui in questo esatto istante.
«Nella media.» dice.
Mi mordo la lingua. La mordo forte.
...FINE FLASHBACK...
Percepiì qualcosa in me morire quella volta. Quella che fu la prima.
Cosa fosse? Oh, non ne avevo proprio idea. Sapevo solo che si trattava non di una sola cosa, ma di un sacco di cose.
Delle altre, invece, non è che ci fosse chissà che cosa da dire infondo. Non mi sarei mai aspettata una cosa del genere. Solo la prima fu completamente traumatica. Mentre le altre...
«Dai muoviti.» mi disse Jo.
La porta della cella rimase aperta per qualche minuto mentre i due discutevano. Quando ebbero finito, ci lasciò soli.
‹La vittima sola col carnefice.›
«Spogliati.»
Ormai lo sapevo. Però, questa volta non volevo. Questa volta no.
«Devo obbligarti? Come la seconda volta? Quando ti stavi per fare la p–..» ‹Non può rivangarlo.› «Per favore.» dissi disperatamente.
Lo avevo interrotto, non volendolo ascoltare.
Alzò lo sguardo al soffitto, chiuse gli occhi. Sorrise. Si mise a sorridere. Sembrò venire appagato dal mio stato supplichevole.
Liamh «Mh?»
Ma era così. E lo sapevo.
«Ripeti.»
Lui amava la sottomissione. Amava l'umiliazione.
‹Questa volta no.›
‹Ti sembra questo il momento per ribellati?!›
‹Non voglio. Per favore, no. Basta.›
‹Sai di peggiorare la situazione così.›
Si sfilò la cintura. Prese un'estremità di questa con una mano e una parte con l'altra. La tirò. Nell'aria riecheggiò il rumore che fece. Un rumore di frusta.
Mi mancò il respiro.
«Perchè mi fai questo?» gli chiesi con tono da animale ferito.
Sogghignò «Perchè mi piace.»
Una risposta stupida, quanto spaventosa.
Mi si avvicinò fino ad arrivarmi faccia a faccia.
Lui «Toglietelo.» indicò con un gesto mentre teneva ancora in mano la cintura ‹C-che cosa?› «L'intimo.»
«Perchè. Non serve. Hai già visto tutto quel che volevi vedere comunque.» parlai in modo frettoloso, come se stessi facendo un extrabeat.
Liamh mi osservò dall'alto in basso «Appunto.»
Mandai giù un groppo in gola.
‹No.› -pronunciai- ‹Puoi scordartelo.›
Insisté. Io non mi mossi di un solo millimetro.
«Mi hai sentito?» disse mentre stringeva i denti.
Tremai, ma non cedetti.
Fu questione di un attimo.
Mi prese per i capelli. Fu un gesto improvviso, nemmeno me ne accorsi quasi. Lo capiì solo dal dolore che mi stava provocando la sua presa sulla cute e dal muro che si trovava a qualche centimetro dai miei occhi.
Mi aveva fatta girare, sbattendomi in seguito contro alla parete. Mi stava schiacciando lì contro col suo corpo stesso.
«Ti ho avvisata.»
Mi sentiì completamente oppressa. -L'ennesima lacrima mi solcò la guancia- ‹Ed io che pensavo si fossero oramai consumate.›
Prese entrambe le mia braccia e me le mise dietro la schena. Le legò, mi strinse i polsi.
Un panico sconosciuto si insediò sotto la pelle, colpiì il respiro. Raschiò nel cervello.
Mi voltò verso di sé.
«Mettiti in ginocchio.» ordinò.
Grattai con le unghie la superficie in cuoio, così intensamente, che temetti che mi si potessero spezzare.
‹Questa sensazione di essere in trappola e di non potermi muovere liberamente–..›
Disse qualcos'altro ma io non ascoltai.
Ebbi una fitta alla testa, feci per metterci le mani, ma mi accorsi subito dopo di non poterlo fare. E la situazione peggiorò.
Mi diede una gomitata, mi fece piegare, e in seguito fui costretta ad inginocchiarmi come mi aveva detto di fare precedentemente.
‹Cos'è questa sensazione.›
‹Ti senti in trappola vero?›
‹Non posso muovermi. Mi stringono i polsi.›
...FLASHBACK...
Mi dimeno. Non riesco a muovermi.
Le cinghie mi stringono i polsi in una morsa, senza lasciarmi via di scampo.
‹Sono in trappola sono intrappola sono in trappola sono in trappola sono in trappola sono in trappola sono in trappola–..› -ripeto all'infinito.-
...FINE FLASHBACK...
Caddi sul pavimento, mi lasciai andare.
Liamh mi tirò su, sulle ginocchia, ma io sembrai essere solo un peso morto. Un cadavere non più capace di sorreggersi da solo. Come se avessero schiacciato il tasto off della mia spina dorsale.
Appena mi lasciò tornai sul pavimento, molle. Così decise di tirarmi su usando la cintura come una corda.
Le braccia dolerono. Ma non ci feci caso, nemmeno se si fossero spezzate.
«Sei entrata in crash?» disse con tono divertito, questo, fu ciò che udiì.
Mi toccò la gamba con la punta del piede per un paio di volte e notò che io non stavo reagendo.
Ero seduta in modo scomposto.
Lui mi lasciò, non reagiì, ancora. Continuai a non reagire.
Ma tanto a che sarebbe potuto mai servire?! A niente. Proprio a un bel niente.
Il mio intero corpo non rispondeva ai miei comandi.
Sembrai guardare l'intera scena da fuori. Mi vedevo. Lì, inerme.
Stavo perlomeno respirando? Forse sì. Forse no. Chissà.
...FLASHBACK...
So bene che quando mi trovo in questa situazione devo rimanere ferma, altrimenti, le conseguenze sarebbero gravi. Molto gravi.
Tutte le volte mi conviene star ferma. Altrimenti mi punisce.
Il mio sguardo scatta sulla sedia in metallo che si trova in fondo alla stanza.
Ogni volta, ogni qual volta, quella era la mia punizione. E io non voglio andare lì. Ma tenermici lontana. Il più lontano possibile. A metri e metri di distanza.
‹Quello è un inferno.›
‹Dici?›
‹Sì.› -risposi- ‹Ti trapassa i neuroni del cervello, il dolore che si sente è atroce. Ti trafigge.›
‹Sì. È così. Entra dappertutto, come scordarselo...›
‹Ti fa provare il brivido della morte mentre ancora ti trovi in vita.›
‹La morte dici?›
‹Qualcosa di così atroce che se dovessi morire anche sapendo che finirei all'inferno potrei solo tirare un sospiro di sollievo.›
...FINE FLASHBACK...
Ebbi il terrore dei miei stessi flash. Cos'era tutto questo?! Non capivo, non ci capivo niente. Non ricordavo di aver avuto questi trascorsi.
‹Sembrano i ricordi di qualcun'altro.› -tremai di conseguenza.-
‹È impossibile.›
‹E invece...›
‹Tutto questo è falso.›
‹Falso?›
‹Sì. È falso. Una bugia.› -e aggiunsi- ‹È la causa sei tu.›
-Sembrò ridere- ‹Io?›
‹Tu.›
‹Ma io sono te.› -mi disse- ‹Anzi. Tu. Sei me.›
«E va bene...»
Mi toccò. E fu uno sbaglio.
Imprecò.
Gli avevo morso la mano. Avevo ricominciato a muovermi, ma nel momento sbagliato, nel modo sbagliato.
I suoi occhi irradiati da una rabbia brutale si fiondarono nei miei.
Mi venne in contro.
Mi tirò su in piedi con la forza.
E poi colpì. Colpì. Colpì. Non fece altro, che colpire.
Non pensai a quel che mi stava facendo. Cercai di immaginarmi altro.
Trascorse un tempo indefinito.
‹È la porta?›
Sentiì un rumore differente progagarsi per la stanza.
‹Forse...› -cominciai a pensare- ‹È la porta del paradiso?›
-Si mise a ridere prima di dirmi- ‹E tu credi di poterti permettere un posto così bello?›
«Sono le 06:00. Devo riportarla indietro prima che se ne accorgano. Ma–.. C-che ci fa per terra?! Guarda che se le lasci dei segni–..» il seguito delle sue parole venne interrotto «Non preoccuparti. So dove colpire.»
Probabilmente si trattò di Jo «Ma poi... Cosa ci fa senza vestiti?!»
«Uff!» sbuffò «Lo sai come sono fatto. Quindi adesso non farmi la ramanzina.»
Continuarono a discutere fra loro.
Il dolore era nullo. Non lo sentivo, per niente.
Ma forse mi ci ero semplicemente abituata in questi lunghi istanti in cui ero rimasta sul pavimento mentre mi trovavo ancora raggomitolata su me stessa.
Per questa volta era finita. Forse fu questo a distrarmi.
13:30
Non avevo mangiato niente. Ci avevo provato, ma il dolore alle pareti dello stomaco era troppo forte.
Mi sentivo rotta. A pezzi. In ogni senso.
Però non mi sarei sentita più sola di certo, perchè ora avevo un male atroce che mi teneva compagnia.
Questa era l'unica cosa che mi consolava.
Ci stavamo dirigendo tutti in cortile.
Alzai gli occhi, fermai i miei passi.
Anche lui sembrò accorgersi della mia presenza. Eravamo a cinque metri di distanza, eppure, il suo sguardo riuscì a colpirmi come uno schiaffo.
Ricordai quel che mi disse la sera prima. Era marchiato a fuoco il tono che aveva usato per dirmi ciò che mi disse.
‹Mi ha chiaramente detto di non dovermici più avvicinare. E l'ha fatto in una maniera orribile.›
Aron si voltò e in seguito scomparve dal mio campo visivo.
Chiara mi si avvicinò «Hei, allora? Como estas?» ‹Che gran bella domanda.› -sorrisi tristemente, in un modo che lei non percepì.-
Dissi con fatica «A posto. E tu?» mi veniva difficile persino parlare.
Mentre chiacchieravamo ci stavamo dirigendo sul lato destro per sederci lì.
Notammo una guardia che stava venendo verso di noi «Detenuta 4 0 1?»
«Sono io.» dissi.
Mi fece segno di seguirlo.
Chiara mi lanciò un certo sguardo preoccupato, le sorrisi «Arrivo subito.» ‹–..Spero.› -terminai la frase non ad alta voce.-
Ci eravamo allontanati dagli altri.
«Ho un'informazione per te.»
«Un'informazione?» ripetei.
Questo annuì «La droga...» ‹Come ha detto?› «Te l'ha messa in tasca la detenuta 7 5 4.»