Chereads / CRESCERE NEL CRIMINE / Chapter 34 - XXXIV° segreti impregnati di colore blu

Chapter 34 - XXXIV° segreti impregnati di colore blu

«Come fai a sapere della loro esistenza?»

Si mise a braccia conserte «Le prende anche mio fratello.» Sapevo che erano le stesse!› -e ne ebbi la conferma.-

«Stai parlando del Retsulc.A vero?»

«Allora sei informata.» ne fu divertito.

Io abbassai lo sguardo «Non proprio...»

«Ci credo...» commentò a bassa voce, pensava che non lo potessi sentire?

Così gli domandai «Tu quanto ne sai?»

«Tanto. Anche perchè le avrebbero rifilate sicuramente anche a me se solo non fossi finito da un'altra parte... Pensa che fortuna! Be', comunque, non essendoci finito dentro mi sono comunque voluto informare a riguardo. E ho scoperto cose molto interessanti.»

Rimasi di sasso davanti alla sua vasta conoscenza sull'argomento «Che io sappia sono illegali.»

«Sì.»

«Le hanno tolte dal mercato ormai 7 anni fa, se non sbaglio...» cercai di rammentare quel che mi disse Chiara.

Claus mi contraddisse «Sbagliato.»

Sbagliato?›

Non poteva essere. Lei si era informata, mi aveva detto di aver chiesto ad un esperto.

«Cosa?» dissi senza capire «Che cosa è sbagliato?»

«Non è che sia completamente sbagliato in realtà. Per quelle originali dico, non per le vostre, che sono sperimentali.»

Stavo assorbendo troppe informazioni in soli pochi minuti e mi stava iniziando a girare la testa.

«M-medicinali sperimentali...?»

Claus «Sì, esatto. Sono state modificate.» confermò.

Non sto capendo. Che storia è? Cosa significa? Sperimentali? Pastiglie speciali?› -mi ponei mille domande.-

Un quesito mi martellò in testa, ma prima di esporlo gli dovevo fare un'altra domanda.

Tornai a guardarlo «Da dove provengono?»

Perchè mi parve di vederlo sorridere come una di quelle persone ne sanno una in più del diavolo?

«Un pazzo.» ‹Un pazzo?› «È stato lui a modificarlo basandosi sui geni del "figlio".»

Un'altra domanda ancora mi sorse spontanea «A cosa servono?»

Claus mi osservò a lungo «Be'...»

Perchè non me lo dice?! Perchè ora tace in questo modo?!›

«Sono per il mal di testa, no?»

Capiì cosa voleva intendere ed io non me n'ero resa realmente conto fino ad adesso.

Ciò mi riportò alla domanda principale che avrei voluto porgli, ma prima, avevo bisogno di saperne ancora. Dovevo capire.

L'enorme dubbio sul loro perchè aveva raggiunto livelli massimi.

Lo aveva fatto apposta, mi era chiaro. Me ne ero resa conto. Sapeva già che ci sarei arrivata.

Nonostante il suo squilibrio mentale era munito di un'intelligenza sopraffina ed era un bravo manipolatore.

«So che non sono realmente per quello, vero? Lo sapevo già. E tu me lo hai ricordato oltre che ad avermene dato la conferma. Lo sembrano. Ma non lo sono.» parlai con serietà.

Ti è chiaro?›

‹Non riesco ancora a capire.›

Davvero? Non ci riesci?›

Claus interruppe i miei pensieri «Brava.» poi aggiunse «Allora ti darò un'informazione in più! Consideralo come un premio.»

Parla e smettila coi tuoi giochetti di merda.› -avrei voluto dirgli.-

Ero avida d'informazioni su questa questione e questo suo modo di prendere in continuazione delle pause mi stava irritando parecchio.

Lo guardai con insistenza.

Parla. Parla. Parla. Parla. Parla. Parla. Parla. Parla. Parla. Parla!› -raschiai la stoffa dei miei pantaloni con le unghie, impaziente.-

Claus mi si avvicinò col busto, come se dovesse confidarmi un segreto «Aron le ha sempre chiamate: 'le scordati chi sei'.»

Una fitta mi colpiì le tempie, non era la prima, ma non erano forti come al solito.

Misi le mani fra i capelli «Cosa c'entrano con me?»

Gli feci la domanda fatidica, quella che bramavo di porgli.

Claus si alzò dalla sedia.

No. La mia fonte d'informazioni.› -lo guardai stalunata.-

«Sarei già dovuto andare. Ma, tranquilla, ci rivedremo. Magari ne riparliamo–..» si fermò.

Mi ero allungata sul tavolo e lo avevo afferrato per la manica della felpa. Non avevo nemmeno fatto caso alla caduta della sedia, ero troppo impegnata ad osservare la sua figura guardare in modo torvo la mia mano.

Non poteva andarsene così.

Rimasi ferma nella mia posizione, nonostante la scomodità e nonostante il dolore al braccio ed alla schiena.

Strinsi ancor di più la presa. Non lo lasciai.

Mi ritrovai improvvisamente con la schiena sbattuta sul tavolino e con lui sopra di me a tenermi i polsi.

No.›

Certi flashback mi impossessarono la mente.

La sua figura si alternò a quella di Liamh, e oltre alla sua, anche a quella di... ‹Quell'uomo.› -pensai spaventata- ‹Chi è?› -non me lo ero mai chiesto, quando forse avrei dovuto...-

Claus strinse di più la presa «Vedi di non rifarlo più.»

Mi sentivo bloccata. Senza via di fuga. Questa sensazione non mi piaceva. Mi terrorizzata. Un terrore familiare. Una sensazione abituale.

Mi lamentai quando la fitta che mi arrivò fu più forte di quelle precedenti.

«L-lasciami.» dissi con la voce intrisa dal panico.

Per fortuna ascoltò la mia preghiera.

La schiena mi doleva ma era l'ultimo dei miei problemi. Rimasi lì, ad osservare quell'inutile lampada led sopra la mia testa.

Mi accarezzò la nuca «Povera ragazza...»

La sua sembrò pietà.

Che cosa significa? Perchè l'ha detto in questo modo?›

Dopo si avviò all'uscita.

«Per favore...» parlai.

Riusciì a far sì che si fermasse.

«Non puoi lasciarmi così, con questi dubbi...» parlai in un modo disperato.

Claus «Oh, doll.» cominciò a dire «Saprai tutto a tempo debito.»

Strizzai gli occhi «Perchè non adesso?»

«Rovinerebbe il divertimento.» disse.

Io misi un braccio a coprirmi il viso «Certo...»

«E adesso asciugati le lacrime.» feci una smorfia «Non le sprecherei in questo modo. Se fossi in te, le terrei per più tardi.»

Se ne andò.

17:35

Stavo camminando per il corridoio.

«Ciao ma chérie!»

«Ambra, da quanto tempo.» le dissi con piacere.

«Hai pianto?» rimasi di sasso per un attimo, il modo che aveva di accorgersi di tutto era stupefacente.

Ha un ottimo spirito di osservazione.›

‹E questa cosa non va bene. Vero?› -mi tormentò come al suo solito.-

Ambra domandò ancora «Stai bene?»

Non ebbi la riposta pronta. Solitamente era normale chiederlo, ma in questo momento per me le cose normali erano ben lontane. Ora come ora non avevo più idea di che cosa significasse quella parola.

«Sì, sto bene. Ti ringrazio.»

Mi sorrise dolcemente «Per rispondermi in questo modo ci hai messo davvero un sacco.» osservò.

Io «Ma no...»

«Se volessi sfogarti sai dove trovarmi.» mi disse solamente.

La ringraziai con lo sguardo.

Prima di andarsene decise di dirmi ancora una cosa «Per sapere come rispondere devi prima fare i conti con te stessa e solo in quel momento riuscirai a capire come stai.» in fine aggiunse «Tu te lo chiedi mai?»

Non si aspettò una mia risposta.

‹Io, come sto?› -poi sorrisi amaramente.-

Una persona che aveva solamente dei dubbi per la testa, su ogni cosa, che non comprendeva più quale potesse essere la sua realtà, come avrebbe potuto pretendere di stare bene?

Mi stavo portando sulle spalle una pesantezza che non avevo più idea di come gestire. Delle spalle deboli come le mie avrebbero solo potuto cedere rimanendo schiacciata da tutto quel carico.

«Mi hai sentito?»

Ero così immersa nei miei pensieri che non mi ero accorta di Christian.

«Ti ho cercata per tutto il pomeriggio, dov'eri?»

Scostai lo sguardo per qualche istante «A riposare.»

«In cella non c'eri. Ci sono passato.» mi osservò con uno sguardo indagatore.

Cercai di modificare la mia bugia «Stavo riposando su una panchina.»

Christian inarcò un sopracciglio «Eppure non ti ho notata.»

«Non so che dirti...»

Per mia fortuna sembrò lasciar stare, quasi tirai un sospiro di sollievo.

«Te l'ho già detto che devi stare lontana da Nicolas, vero?»

Oddio! Non ci credo!› -alzai le braccia in aria e poi le feci ricadere sui fianchi. Qual era il loro problema?- «Questo avvertimento mi sa di dejavú.» commentai annoiata.

«Questa era la prima cosa che dovevo dirti.»La prima?› «La seconda è che hai una visita.»

È ancora lui?› -mi venne da pensare in automatico.-

Questa volta venni scortata in un altro posto, non era il solito.

Diedi un'occhiata all'ambiente. I vetri separavano la grande stanza dall'esterno dove l'unico metodo di comunicazione erano i telefoni collegati da un'estremità all'altra.

Mi sedetti nella n° 6, tirai su la cornetta.

Spalancai gli occhi «M-mamma?»

Non l'avevo riconosciuta col cappuccio. Perchè mi venne da pensare che si stesse nascondendo? Fu questa la sensazione che mi arrivò.

Prima di parlare dovette schiarirsi la voce «Ciao.» ‹Non capisco. Perchè è quì?› «Come stai?»

La situazione sembrò completamente diversa dall'ultima volta.

Mi aveva chiesto addirittura come stavo. Come pensava che potessi stare quì? Senza niente, senza dovermi appoggiare a nessuno...

E dopo le sue ultime parole e l'odio che mi aveva scagliato addosso, qualcosa in me, si scatenò.

«Vattene.» masticai fra i denti.

Misi giù la cornetta, mi alzai. Non volevo più vederla dopo l'ultima volta.

Mi aveva trattata come se non fossi sua figlia.

La sentiì battere sul vetro. Ero troppo lontana per udire con chiarezza quel che mi stesse dicendo.

Le guardie la allontanarono. Io rimasi a guardare.

«Hai già finito? È durata poco.» disse Christian mentre mi metteva le manette.

-Non capivo il labbiale, ma una cosa, la intesi- ‹'Aiuto'? Ma poi, cosa significa 'peiolo'?›

Mi voltai «Sì. È durata poco.» tagliai corto.

Giunsimo nel padiglione centrale. Avevo bisogno di riposare, di prendere una pausa da questa giornata.

Mi accompagnò alla mia cella.

Erano le 21:00 di sera.

Faceva piuttosto freddo, eravamo entrati in piena stagione invernale da più o meno un mese e mezzo.

Avevo bisogno di una sigaretta così la tirai fuori e me l'accesi.

«Come mai da sola?» notai qualcuno nella penombra. ‹Ma chi è?› -aguzzai la visto, poi capiì.-

Non volevo stare quì da sola con lui, lo avevo perdonato, ma mi creava ancora parecchio disagio.

Maicol mi disse con un tono da cane bastonato «No voglio farti del male...»

Non gli risposi, rimasi semplicemente a guardarlo.

Sospirò e poi si sedette per terra, di fianco a me.

«Ho dei problemi.» cominciò a parlare «Non so se è una cosa psicologica o altro. Però, no ho controllo. Mi "curo", sì. Uso tranquilanti ma... il mostro dentro me non si calma.»

Forse non avrei dovuto, ma lo stavo guardando sotto una luce diversa.

Mi sedetti affianco ad egli. Comunque sempre non troppo vicino.

Mi aspettai che aggiungesse altro ma così non fu.

«Ei, nois! Mira qui hi ha allà.»

Alzai lo sguardo, ce l'avevano con noi? Erano in quattro.

«Il nostro amico Maicol, come mai da solo? È?» parlò nella nostra lingua il ragazzo di prima.

«Oh, Josué. Li donem una lliçó?»

«Sí. Al cap i a la fi, està sola.»

Mi alzai in piedi.

Maicol mi fermò «Ferma dove sei.» si alzò in piedi «Non muoverti.»

Ma chi era questa gente?

Il ragazzo dagli occhi scuri commentò «Wow! Da stupratore a paladino è un attimo.»

L'atro disse «Sei sempre atorno a quello dagli occhi azuri. Ora non c'è, per tu sfortuna.»

La ragazza «És un monstre enutjat...» commentò nella sua lingua.

«Ne sei proprio così certo?»

Si voltarono verso la sua figura imponente.

Carlos li guardò dall'alto in basso, era più alto di loro di circa una decina centimetri «Perchè non ve ne tornate in Catalogna?» Sono catalani?›

Quello più alto fra di loro puntò un dito su Maicol «Non ci sarà sempre lui intorno a te! Ti riusciremo a prendere quando sarai solo.» gli disse per poi allontanarsi insieme alla sua combriccola.

Io ero rimasta ad osservare la scena, non sapendo come agire. Ma infondo io non c'entravo niente.

Peccato che non riuscissi mai a restarmene fuori.

Maicol «Ti ringrazio, ma non dovevi. Potrebbero prenderla con te.» disse tutto scoordinato.

Carlos gli lanciò uno sguardo ammonitore «Non me ne preoccuperei troppo. Sono dei fifoni, se li prendi da soli neanche ti guardano in faccia. Si sentono forti solo perchè in gruppo.» si scrocchiò le dita.

Io «Be'...» cominciai a dire «Allora ci vediamo.»

Maicol annuì.

«Buona notte.»

E così mi diressi alla mia cella.

Nicolas Kepler (POV'S)

Mi trovavo nel letto con le braccia appoggiate dietro la testa.

Erano le 22:30.

Qualcuno entrò dentro di essa. ‹Oh, avrò l'onore di conoscere il mio compagno di stanza.› -pensai con riluttanza.-

Seguiì con lo sguardo la sua figura che in seguito si sedette sul letto che si trovava dall'altra parte della stanza.

Visto che lui non aveva intenzione di prendere parola lo feci io «Quindi sarai tu il mio compagno di stanza.»

«Sì.»

«Non è male quì, è? Le urla di sentono di meno.»

«Così sembra.» Non è un chiacchierone è?› -pensai annoiato.-

Così cambiai approccio «Io sono Nicolas.» non disse niente «E tu, invece?»

Lui si girò verso il muro dandomi la visuale della sua schiena.

«Carlos.» mi rispose.

Spensero le luci.

La mattina non tardò ad arrivare.

Mario mi stava scortando nella stanza degli incontri, non era a norma. Ma fin'ora nessuno di noi era stato scoperto.

Eravamo arrivati. Mi fece entrare. Lo trovai coi piedi sul tavolo.

Si era sempre comportato che se tutto gli fosse permesso e in questo momento non era da meno.

Claus prese parola «Allora? Come sta andando?»

«Nella norma.» mi accomodai.

Cambiò posizione «Non abbiamo tanto tempo...»

Mi porse alcune domande ed io gli risposi. La conversazione fu piuttosto veloce, non sprecammo parole.

Arrivò il momento di salutarci «Allora ci vediamo, continua a fare ciò che stai facendo. Da bravo ragazzo obbediente quale sei.»

«Certo.» Maledetto stronzo.›

Taylor Vega (POV'S)

Stavo facendo colazione con Chiara ed Ambra.

Io «Sul serio?» domandai mentre me la ridevo.

Chiara «Sì, y non hai sentito el resto!»

Ambra annuì «Sì.» e aggiunse «Ho provato a scappare ma alla fine sono stata presa e mi sono ritrovata quì.»

Mi stava raccomantando alcuni aneddoti della sua vita precedente.

Era una ragazza scaltra. Il tipo di ragazza che sapeva perfettamente giocare le carte che teneva fra le mani.

Senza saperlo mi aveva impartito una lezione vitale. Bisognava sempre conoscere sia le proprio carte che quelle degli altri, imparando a giocarle del giusto modo, usando sia l'intelligenza che l'astuzia.

Bisogna fidarsi di chi è giusto e fottere chi se lo merita. Funziona così in questo mondo.›

Ad ogni modo, più la conoscevo e più capivo che su di lei si poteva sempre contare.

Non era neanche male nel farti da psicologa.

«Scommetto che non è stato facile condurre una doppia vita.»

Ambra ridacchiò «È stato stressante, più che difficile.»

Chiara si aggiunse «Cierto che da ragazza ricca a bandita...»

Lei «Aah!» sventolò una mano in aria.

Ci scherzai su anche io «Ne sarà stata stufa.»

Ambra volse lo sguardo su di me «Sì, lo ero. Ma ho sempre avuto un "certo lato" per gli affari. Quindi ho iniziato con piccoli furti e trattative ed altre cose. Mio padre, vecchio stampo, non avrebbe mai accettato di farmi subentrare nella sua azienda.» raccontò «Quindi questo è stato il mio metodo di ribellione. Peccato che fossi una sciocca che non ha pensato alle possibili conseguenze.»

Chiara scattò in piedi facendoci sobbalzare «Ma non avresti incontrato dos amigas meravigliose como noi!» la puntò, aveva un'espressione buffissima stampata in volto.

Ambra rise «Sì, sì, hai ragione.»

'Poggiai i gomiti sul tavolo e mi tenni il viso fra le mani.

Io «Perchè non ci racconti qualcosa in più?»

«Vediamo...»

Sembrò pensarci.

Ambra Barret (POV' S)

...FLASHBACK...

Sto compilando alcuni fogli.

Mio padre sa bene che merito molto più di questo. Sa quel che sono capace di fare, eppure, non mi eleva a sua cooperante.

Guardo fuori dalla grande finestra, il tramonto è uno spettacolo. Il cielo sfuma dal blu cobalto al viola.

«Ne soyez pas trop tard.»

Annusico.

Sapeva perfettamente che avrei fatto comunque tardi, ma me lo doveva dire tutte le volte.

Che vita noiosa.› -penso- ‹Perlomeno mi diverto la sera...› -mi si stampa in volto un sorrisetto compiaciuto.-

Sono le 22:57. Perchè non mi è stato ancora fatto sapere niente?

Sento vibrarmi in tasca il telefono.

Gustavo: È ora.

Prendo la valigetta fra le mani.

Sarà un lavoro semplice e veloce.›

Arrivo davanti all'ascensore e dopo averlo chiamato ne varco la soglia.

Devo dirigermi all'ultimo piano, questo è il palazzo più sfarzoso di tutta Parigi.

In quest'ultimo non si potrebbe accedere ma sono stata brava a farmi scambiare per un'altra persona.

Ho sette minuti esatti per cambiarmi.

Appoggio la valigetta per terra, la apro e mi metto il cappotto nero addosso.

Devo fare più in fretta che posso.

Sfilo la parrucca dopo essermi intascata le forcine e le trecce mi ricadono sulle spalle. Tolgo i tacchi e infilo gli stivali di pelle nera. La parte superiore del mio vestiario è già stata intercambiata.

Poi, prendo il rossetto nero opaco e me lo applico sulle labbra mentre mi osservo allo specchio ed in fine metto gli occhiali da sole con la microcamera al loro interno.

È importante cambiare aspetto quando bisogna svolgere un certo lavoro.

Ancora 53 secondi.

Dopo aver messo via tutto tiro fuori la mia Revolver 132 e la inserisco nella cintura di cui mi sono equipaggiata.

L'ascensore si apre, appena in tempo, ed esco dal trabiccolo.

Inserisco nell'orecchio l'auricolare.

«Lo vedi?» mi dice.

«Sì.» rispondo.

Devo calarmi dal montavivande, è l'unico modo per accedere a quella stanza.

In realtà gli ultimi due piani sono irregolari. Ero già stata quì durante la settimana per prenderne la metratura, c'è una differenza di cinque metri, innotabile per chi non è un esperto. È così che ho capito dove si trovasse la stanza segreta.

Dopo essermici avvicinata cerco di aprirlo ma ovviamente è chiuso, così mi abbasso e tiro fuori dal tacco il coltellino. Riesco a far sì che la porticina si apra.

«Sono dentro.» dico mentre osservo la stanza.

«Bene» sento dire «hai già intravisto il diamante?»

«, mi sta davanti.» lo informo.

«Sta' attenta.»

Tiro fuori lo sprai apposito e lo spruzzo fino a consumarlo del tutto. Iniziano ad apparire i raggi, rilevatori di movimento, che prima erano invisibili ad occhio nudo.

Devo stare attenta a come mi muovo.

...FINE FLASHBACK...