Taylor Vega (POV'S)
...FLASHBACK...
Le manette mi stringono i polsi, dispiego le dita.
‹Sono stanca di interrogatori continui, non ce la faccio più.› -penso.-
Glie l'ho spiegato più e più volte.
Non riuscivo più a stare in questa posizione.
Odo la porta che si apre, sono venuti a prendermi.
Mi tirano su e mi portano di nuovo dentro la stanza degli interrogatori.
Cosa c'è ancora da dirgli?
Mi fanno sedere «Allora?!»
‹Mi ha stancato.› -penso.-
L'unico momento in cui mi facevano prendere "una boccata d'aria" era per portarmi in questo stupido stanzino per pormi l'ennesima domanda.
Più di così che avrei potuto dirgli? Loro erano comunque convinti di potermi far sputare fuori altre informazioni su quella fatidica notte.
«Io l'ho fatto per lei!» dico in seguito «Era giunto al colmo e voi non sareste mai arrivati in tempo, mai! Cos'avrei dovuto fare d'altro?» la mia voce passa sopra a quella di tutti, parlo a macchinetta senza fermarmi.
Digrigno i denti, stringo forte.
Spreco quasi tutto il fiato per quanto ho parlato a raffica.
«Vederla morta?!» la calma trattenuta fino ad ora si stava disperdendo, ad ogni singola parola, e oramai l'avevo persa del tutto.
Lui «Ascol–..» «No! Sapete come si dice: 'l'erba cattiva non muore mai', a parere mio quando si allarga troppo dev'essere dannatamente estirpata!» do sfogo alla mia rabbia, o più che altro stanchezza, sia mentale che fisica.
Questa mia ultima frase sembra averlo spiazzato.
Egli «Portatela via.»
3 giorni
L'uomo mi guarda.
Non fa altro che squadrarmi e con lui tutti i presenti che si trovano in questa grande sala. Una miriade di sussurri si propagano nell'aria.
In quel preciso istante mi sentiì indifesa, completamente vulnerabile. Proprio al pari di un cerbiatto circondato da un branco di cani pronti a sbranarlo o ad attaccare al singolo richiamo di un minino movimento sconsiderato, con l'orda di cacciatori pronti a sparare appena uno solo di quei quadrupedi avesse dato il segnale.
‹Non voglio stare quì.›
«Lei è stata giudicata colpevole per omicidio colposo.»
‹No.› -sgrano gli occhi- ‹No.›
Mi alzo di scatto dalla sedia «È stata solo semplice autodifesa!»
Prima che possa avanzare mi sento afferrare da dietro.
L'uomo mi dice «Sette coltellate al petto sarebbe autodifesa?»
-Deglutisco- ‹I-io...›
Sembrò aver finito, ma così non era.
«Lei è stata condannata a 12'anni di carcere.» parla il giudice «La sentenza è chiusa.»
Si ode un suono che riecheggia in tutta la stanza.
Mi gira la testa come una trottola.
‹Non sono colpevole!›
‹Accettalo, sei stata giudicata come un'assassina.›
E in questo preciso istante un altro suono sembra sfiorarmi il timpano. Quel tipo di suono che solo tu riesci ad udire.
Qual era il mio? Quello di un ding.
Quello che viene suonato alla sconfitta, alla caduta, di uno dei due pugili presenti sul ring. Ma questo non era un ding risonante di vittoria. No, tutt'altro.
Io non sono quello rimasto in piedi, trionfante, sono quello che giace a terra inerme.
«Portatela via.» pronuncia.
Sento i polmoni bruciare, sono in fiamme. Inizio a sentirmi soffocare. Mi manca l'aria.
Sento gridare per l'ultima volta il mio nome e poi, buio.
...FINE FLASHBACK...
1/Settembre
Era trascorso un altro giorno. Un giorno intero in cui mi avevano rinchiusa quì, come una bestia, senza farmi uscire.
Non ne avevano alcun motivo.
Mi trovai nuovamente in quella stanza soffocante.
«Signorina Vega...» incrociò le mani tra loro «È appena stata incarcerata sotto sentenza definitiva. Che cosa potrei fare?»
Feci di tutto per non mettermi a mangiarmi le unghie «Vorrei richiedere appello.»
Robert si aggiustò gli occhiali sul naso.
Dopo aver emesso un sospiro si decise a parlare «Non può.»
«Ne è sicuro?» insistetti.
L'avvocato assegnatomi per via di gratuito patrocinio mi guardò dritto negli occhi.
«È già abbastanza che ti abbiano dato solo 12'anni.»
Fece per alzarsi.
Io «M–..» le parole mi morirono in bocca. - ‹E che mai potresti pretendere?›
La guardia, palesemente spazientita, venne verso di me.
«Devi compilare questi fogli, poi ti riporteremo nella tua stanza.» ‹La mia 'stanza'?› -mi venne quasi da ridere.-
Mi posò davanti al naso dei fogli, sembrava essere un qualcosa di burocratico.
Erano domande personali. Altre? Come se già non avessero abbastanza materiale su di me.
Ero ormai già stata giudicata, non capivo questa loro premura nei miei confronti, in senso ironico, ovviamente.
«Riportatela in cella.»
Mi riportarono indietro dopo che ebbi finito di compilare il tutto.
Stavamo passando per i corridoi.
Dalle sbarre laterali potei vedere che mi stessero osservando.
Continuai a camminare ma i loro occhi erano puntati su di me mentre alcune frasi mi arrivavano ovattate.
...FLASHBACK...
Attorno a me c'è solo caos.
«Hai ammazzato tuo padre.»
«È stata lei!»
«Suo padre...»
«Eccola!»
«Come hai potuto?!»
Sto camminando sul vialetto di casa, sono attorniata dalle persone.
‹Loro non sanno un cazzo.› -penso.-
Dinnanzi a me si presenta una giornalista.
«Taylor, come hai fatto a–..» viene interrotta «Con permesso, fate allontanare i giornalisti!» grida il poliziotto.
«Sì signore.»
Intanto continuo a camminare.
«Hey!»
Qualcuno mi tocca, o meglio, mi spintona.
E un sacco di altre frasi e parole sconnesse arrivano dritte alle orecchie, fino a passare poi dal petto. Fino a raggiungere il cuore.
...FINE FLASHBACK...
Chiunque si chiedeva come io l'avessi potuto fare, ma qualsiasi fosse potuta essere la risposta non avrebbero potuto comprendere.
Mi continuavano a dire che lui era mio padre! Non facevano altro.
Ma quell'uomo, non si sarebbe potuto definire tale.
Che poi più che per me, l'avevo fatto per lei.
Se voi foste stati nei panni l'avreste fatto, chiunque arriverebbe a farlo per la propria madre. Era ora di farla finita!
Tutte quelle urla, quei pianti...
Ovviamente sapevo che mi sarei sentita in colpa. Ma l'avevo fatto per noi. L'avevo fatto, per lei. Per donarle un po' di pace perduta.
Ma in cambio avevo ricevuto questo come ringraziamento.
In cinque minuti ero nella A1 la mia "stanza", o più che altro cella, che ben presto sarebbe diventata ciò che avrei dovuto definire 'casa'.
Christian Jay (POV'S)
Era appena stato inserito un nuovo detenuto, non accadeva da tempo.
Io «I dati della detenuta, prego, detta pure.»
Aspettai che iniziasse, il computer era già pronto. Avrei dovuto riscrivere i dati per poi portarli a stampare. Purtroppo la prassi non veniva svolta nel più veloce dei metodi, questo perchè sul momento di raccoglierli venivano semplicemente scritti a penna,ve non potevano di certo essere messi via così.
«Devo partire dal nome e cognome?»
«No, ma se li hai trovati dimmeli.»
Si vedeva proprio che era nuovo.
Continuò a cercare.
‹Ma quanto ci mette?› - mi fuoriusciì uno sbuffo.-
«Ti ho detto che non serve che tu mi dia come primo dato il suo nome.» gli rifeci presente.
Mi diede un'occhiata, poi cominciò.
Trascorse qualche minuto.
Si sentiva soltanto la sua voce, non era molto bravo a leggere èh? Come sottofondo si udiva il ticchettio dei tasti del pc.
Finalmente avevamo praticamente finito.
«La detenuta si chiama Taylor V–..»
*driiiiin*
Lasciai perdere il telefono.
Questo «Continuo?»
«S–..»
*driiiiin*
Feci un respiro profondo.
«Pronto.»
Non gli feci finire la frase che mi alzai dalla sedia.
Mi rivolsi al ragazzo «Finisci di scrivere tu e poi salva il tutto nella cartella che vedi lì di fianco, ne sei capace? Ho un'urgenza.»
Appena mi assicurò che ne fosse in grado usciì dalla stanza.
Taylor Vega (POV'S)
Ormai erano le 10:30.
A stare quì dentro non mi sentivo me stessa. Non era il mio posto, il mio luogo adatto.
In questo istante ero vittima di stupidi pensieri irrequieti.
Avevo la netta sensazione d'essere talmente debole in questo momento, che anche solo uno di quei piccoli topolini che ogni tanto intravedevo spuntare da una fessura per poi percorrere il perimetro della stanza fino a giungere all'esterno, mi avrebbe potuto sbranare. ‹Con 'sti ragionamenti cosa farai allora con i veri pericoli che ci sono quà dentro?› -mi riscosse. E aveva dannatamente ragione.-
Mi trovavo in questo luogo con dei pazzi, malati, assassini e fuori di testa!
‹Ma se fossi anche io così, come loro?› -mi domandai.- ‹No, impossibile...›
«Detenuta 4 0 1 è ora di pranzo!» mi urlò la guardia carceraria mentre entrava.
Mi scappò una risatina sommessa.
Ero la: quattro, zero, uno. Un numero. Un numero casuale infilato in mezzo a tanti altri. Gliene importava così poco di chi marciva quì dentro da non volersi neanche prendere la briga di ricordarne il nome? A quanto pareva era così.
«Hai sentito?»
Era già trascorso così tanto?
«No grazie, non ho fame.» risposi con un fil di voce.
Questo mi osservò dalla fessura, e a dirla tutta, il suo sguardo non mi piacque «Senti, devi uscire per forza! Ai detenuti non è concesso stare da soli in cella all'ora di pranzo.»
Peccato che fossi molto testarda «Non ho fame, ripeto. Grazie.»
La guardia aprì la cella e mi disse «Senti, non voglio prenderti di forza. Quindi esci da sola!» mi avvisò evidentemente alterato, fin troppo, avrei potuto dire.
«Non-ho-fame!» rincarai.
«Non lasci altra scelta.» alla fine entrò prepotentemente dentro la cella e mi prese per il braccio con la forza, mi portò fuori richiudendola ripetendomi di seguirlo in sala da pranzo! ‹Ma che maniere sono mai queste?!› -mi chiesi.-
I nostri passi rimbombarono.
Piu percorrevo questo maleodorante corridoio, più scorgevo gli occhi addosso di ogni altro detenuto e detenuta. Alcuni mi affibbiavano dei nomignoli mentre altri allungavano le braccia per toccarmi con lo scopo di infastidirmi.
«Smettetela!» prese il manganello e lo sbatté sulle sbarre.
‹Non mi piace proprio!›
Avevano degli sguardi da brivido e si comportavano come animali.
Eravamo arrivati, entrai.
Gli sguardi erano tutti punti su...? ‹Me.› -mi diedi da sola la risposta ovvia-.
‹Sei carne fresca per tutti loro.›
E adesso cosa avrei dovuto fare?
Neanche feci in tempo a girarmi che la guardia era sparita!
«Ma–..» lasciai la frase in sospeso, tanto chi mi avrebbe risposto?
Alcuni mi guardavano. Io guardavo a terra.
Loro mangiavano seduti, mentre io avevo la pancia che brontolava.
Parlavano tra di loro come se tutto questo fosse normale. Ed io? Muta con un pesce.
Mi sentivo sempre più in suggestione.
Appena scorsi un angolino chiuso dal resto del mondo mi ci piazzai, anche se prima avrei dovuto procurarmi da mangiare, in effetti.
‹Vuoi stare così ancora per quanto?›
‹Non so dove andare e non ho intenzione di alzare gli occhi dal tavolo.›
‹Così sì che ti farai notare!›
Ancora una volta percepivo alcuni di quegli sguardi puntati su di me. Mentre io, il mio di sguardo, non osavo alzarlo di un singolo millimetro!
Alla fine mi decisi e andai a prendermi del cibo, feci piuttosto in fretta visto il poco trambusto che c'era.
‹Siì! Ce l'ho fatta, grandioso nessuno mi ha notata!› -ma forse non avrei dovuto parlare troppo presto...-
«Hey!»
Girai la testa.
Dinnanzi a me si palesò una ragazza bionda. Cercai di non squadrarla da capo a piedi ma mi fu difficile, aveva le maniche alzate, potei notare che era piena di tatuaggi. Ma oltre a questo non sembrava affatto la tipica ragazza socievole che ti veniva a dare il benvenuto per poi fare amicizia in seguito.
Quà non ci trovavamo in un ambiente amichevole, ma in un carcere.
Non passò neanche mezzo minuto che si rimise a parlare «Ma sei sorda per caso?! Ti ho dato il benvenuto.» ‹Sì, il benvenuto...› -mi venne automatico pensare con ironia.- cambiò il tono della voce «Cos'è novellina, sei così tanto a disagio?»
«Oh, no–.. Insomma, hei!» mi guardai intorno in cerca di soccorso.
«Ora balbetti anche?» si beffò di me.
«I-io beh–..» provai a dire ma m'interruppe iniziando a scimmiottarmi.
Dopo essersi presa gioco di me riprese parola «A presto.» sogghignò, dopo aver detto questo se ne andò definitivamente.
Era venuta a "presentarsi" per quale arcano motivo? Non lo capiì. Forse era un loro modo di testare le nuove prede.
Mi alzai, volevo già tornare nella mia cella e rimanerci per tutta la vita!
«Tu quindi saresti una novellina?» sentiì dire «Be', ti hanno già dato il benvenuto.»
‹Diamine, no! Due in un giorno solo?!›
Mi girai di scatto.
«Ma sul serio sei sorda?»
Lui mi squardò con quei suoi occhi verde scuro.
Lo guardai male e risposi 'sta volta «No! Parlo perfettamente.»
‹Sono già abbastanza stufa di queste prese per il c–..› -prima di dire cose poco carine la mia testa mi corresse- ‹In giro! Per l'amor di Maria.›
Egli «Bene, però se continuerai a rispondere così di questo passo la lingua te la taglieranno.»
Dopo aver ammiccato se ne andò via.
‹Grazie a tutti per l'accoglienza neh?! A be', c'è da dire che mi ha messo ancora più ansia! No, davvero. Grazie.› -continuai a parlare nella mia testa.-
«Andiamo.» qualcuno mi prese per il braccio. ‹Ancora questo quì?!›
Mentre camminavamo verso l'uscita della mensa notai alcuni detenuti essere portati via in manette.
Urlavano, urlavano come pazzi.
‹Ci sono troppi fuori di testa.› -mi dissi.-
Criminali. Malati. Pazzi.
Io quà dentro non ci sarei dovuta stare. Ma ormai ero quì, e da sola.
Ogni tanto qualcuno di essi si attaccava alle sbarre mettendosi ad urlare «Fatemi uscire! Io non ho fatto niente di male!»
‹Sei quì, hai fatto sì.›
Eppure, anche io ero quà.
Ormai fui giunta alla mia cella.
13:58
Quanto ancora sarei dovuta rimanere in questo luogo? Non avrei saputo dirlo.
Chiusi gli occhi e poi li strizzai. Sentivo una grande nostalgia farsi spazio in me.
Quando avrei potuto rivedere tutti quanti?
Mia madre mi sarebbe venuta a trovare? La cosa che più mi tormentava era proprio questa. Se fosse venuta da me, da sua figlia.
Una tra le cose a cui pensavo era se avrei mai più potuto rivedere il mare, i monti, o addirittura far ritorno nella mia città. Per l'ultima cosa, probabilmente no. Quando avrei potuto percepire ancora l'erba morbida sotto ai miei piedi? Affondare le dita nella terra fresca, sentirne l'odore dopo che ha appena terminato di piovere. Andare a pesca coi nonni. Quasi quasi mi sarebbe potuta mancare, addirittura, la sensazione di toccare con le mani quelle esche schifose chiamate cagnotti! Quando avrei ripotuto sentire la luce del sole riscaldarmi il viso? Distendermi nella sabbia, scottarmi a causa dei raggi bollenti che incombevano durante l'Estate ed il resto che la comportava.
‹Quando sarei potuta tornare a fare tutto questo ed altro ancora?›
Era assurdo quanto delle cose che parevano tanto frivole sarebbero potute arrivare a mancarti così tanto in certe situazioni.
2h
Era trascorso un po' di tempo,non sapevo quanto con certezza, udivo solamente le celle che venivano aperte man mano.
‹Che sta succedendo? C'è un guasto e stanno scappando tutti?! Okay, no. Devo stare calma. Altrimenti anche io sarei già fuori. Giusto?› -dovevo davvero piantarla con questi stupidi discorsi.-
Alzai il viso e una debole luce mi colpiì, così chiusi l'occhio in questione. Mi spostai e lo riapriì poco dopo, anche se ero rimasta cecata.
Mi accorsi solo allora che quà dentro era più luminoso del solito.
Ora che potevo permettermi d'osservare meglio la mia stanza grazie alla finestrella da cui proveniva la luce fioca potei notare il letto, che non avevo toccato per niente, e a dirla tutta non era messo poi troppo male alla fine dei conti. Nella parete destra si trovava una specie di comò, così decisi di andare a vedere cosa ci fosse dentro. Apriì il primo cassetto. C'era uno spazzolino che non avrei toccato mai, sapone scadente e delle salviette umidificanti insieme a qualche altra cosettina, ormai sicuramente inutilizzabile. Poco più in là c'era uno specchio, era talmente sporco che ormai la propria immagine nemmeno si vedeva più. C'era addirittura il gabinetto che però veniva semi nascosto da un muretto alto solo un paio di metri, quasi non osai avvicinarmici. Dall'altra parte c'era un altro letto. Per fortuna non avevo compagni di stanza! Nel mezzo c'era un tavolo attorniato da qualche sedia con sopra qualche foglio e un paio di penne dalla punta arrotondata. Oltre alle cose basilari c'era qualche altro oggetto ma non era nulla di che. Forse non era messa davvero così male e potevo ritirare tutto, quasi... Come ultima cosa, frugando ancora tra i cassetti, trovai una specie di pigiama e un cambio più leggero. Be', meglio di questa divisa con pantaloni extra large grigi e questa specie di maglia arancione in cui ci sarebbero potute star dentro due me!
«Andiamo!» udiì una voce richiamarmi.
Mi fece uscire.
Data la mia curiosità volli tentare di chiedergli dove stessimo andando «Per andare...?»
«In cortile.» ‹Come in cortile?› -fui esterrefatta!-
Vedendo la mia faccia la guardia spelacchiata sbuffò «Sì in cortile. Non farai storie anche per quello giusto? Perchè ho sentito che ne sei solita.» ‹Ma come ne sono solita! Sono quì da tipo un giorno, come possono dire che lo si–..› -lasciai stare il mio stesso pensiero.-
«No, no...» risposi solamente.
Sentiì un tintinnio, con cosa stava trafficando? Grazie alla luce che permetteva di intravedere qualcosa, anche se non molto, notai che mi stava per mettere le manette!
«Sta' ferma dannazione!»
Trascorsi pochi secondi giunse qualcun'altro fino a noi, sarà stato per il casino?
«Cosa sta succedendo?» era la guardia pelata.
L'altra guardia «Non si vuole far mettere le manette–..» «Ti stai facendo battere da una ragazzina?» ‹Ma che ha da ridere?› -mi chiesi.-
Questo si grattò la testa «No...»
«E allora dai!»
Così si avvicinò a me.
«No! Non voglio.»
Appena mi prese per il polso schiaffeggiai la mano in cui teneva le manette e gli caddero per terra.
‹Oh diamine...›
‹Ora sei nei guai.›
‹Lo so benissimo! Anche senza il tuo aiuto inutile!›
Mentre mi misi a litigare con me stessa quell'altro si diresse verso di me come una furia!
Io «Mi dispia–.. Aih!»
Mi stava tenendo per la cute «Ora basta fare i capricci.»
«Lasciami...» mi fuoriusciì in un lamento.
«Sta' ferma!» mi urlò Mr calvizia.
‹Fai sul serio?!›
‹E come dovrei chiamarlo?›
«Lasciami!»
«No, perchè almeno così ti deciditi a startene ferma!» mi fece sapere ringhiandomi addosso.
Spostò la presa verso il coppino, il dolore lì non potevo proprio sopportarlo.
...FLASHBACK...
«Ora ti insegnerò le buone maniere!»
Ho appena mandato al diavolo mia madre.
Sono piccola, non l'ho fatto apposta! Non conosco neanche il vero significato di questa parolaccia.
Io «No!»
«Vieni quì,subito!»
Faccio per scappare sotto al letto ma alla fine non ci riesco, mi sento dare uno strattone ed inciampo a terra. Percepisco una fitta farsi strada attraverso la testa.
Odo dei singhiozzi.
Io sono per terra, immobile, e con le mani che mi coprono la nuca.
«V-vai...»
Mi alzo da terra e corro in camera.
21:30
Mi sto spazzolando i capelli, fra non molto sarei dovuta andare a dormire.
Li scosto di lato e faccio per spazzolarmi dietro la nuca.
‹Ancora mi fa male.› -penso, senza dirlo ad alta voce.-
Muovo la spazzola, ma c'è qualcosa che non va. Non capisco, è strano.
Allora mi tocco. In un punto manca una grossa ciocca di capelli.
...FINE FLASHBACK...
‹Ma–..› -cos'era stato quel ricordo?-
Rimasi bloccata solo per mezzo secondo.
‹Mia madre non mi ha neanche mai tirato per sbaglio uno schiaffo...›
Secondo che però durante l'istante in cui avevo prodotto quel pensiero parve, per me, mezzo minuto.
Gli tirai una gomitata sul mento, mi dimenai e dopo che ebbe allentato la presa scappai subito da lui!
Non sapevo dove stessi andando. Sapevo soltanto di voler andare il più lontano possibile da quello lì!
I corridoi erano infiniti.
L'uscita dove si trovava?
Corsi. Corsi. Corsi. Corsi più che potevo.
Corsi, fino a quando non mi fermò.
«Presa! Dove cazzo pensare di scappare è?!» mi gridò addosso.
-Avevo l'affanno ed ero terrorizzata- ‹Cosa faccio adesso? Cosa mi accadrà?›
Mi sbatté contro il muro e mi tirò ancora una volta i capelli, dicendomi «Ora ti insegno io come ci si comporta!»
Alzò la mano. Chiusi gli occhi di scatto.