Passando le giornate in autostrada, l'asfalto e la radio sono le mie uniche compagnie fisse. Mi ritrovo ormai ad amare quella musica pop che nel periodo universitario aborrivo. Anche per questo amavo tanto i compagni che mi ero scelto: nessuno di loro era banale nei gusti musicali. Non che mi piacesse tutto quello che ascoltavano, ma tiravano sempre fuori queste band sconosciute (Venus in Disgrace, a quel tempo 31 ascoltatori mensili su Spotify. Chissà ora?) o stili musicali dai nomi eccessivamente studiati (liquid drum 'n bass, dark synthwave). Dovevo nutrirmi di queste sottigliezze, l'alternativa sarebbe stata diventare una testa come tante altre. È un rischio, questo, che si corre quando non si hanno simili a cui aggrapparsi. Finire nel calderone dell'omologazione, oppure ancora peggio ergersi a genio incompreso, poeta maledetto o intellettuale-migliore-di-tutti-che-capisce-davvero-la-società. Noi invece avevamo i nostri gusti studiati, le uscite per visitare i caffè indie lontani da San Lorenzo, il nostro modo di parlare citando continuamente ciò che stavamo studiando (lettere e filosofia per me, chimica per loro. C'era sempre una certa dose di incomprensione). Non che fosse sempre facile per me seguire i loro gusti costosi (un caffè in centro, quattro euro. Fare aperitivo significava saltare altri due pasti) ma avevo terrore di ciò che sarebbe successo a dire di no).
Erano sciccherie, così le chiama Madame in una canzone che non conoscevo ancora ma adesso mi accompagna sulla E45.
Se devo procedere in ordine cronologico nella mia storia, il secondo anno di università andò giù liscio insieme ai tanti shottini di vodka di quel periodo. Riuscii finalmente ad ottenere una borsa di studio migliore insieme ad un alloggio per studenti a Casal Bertone, dove ogni compleanno era un'occasione per festeggiare tutti insieme. Ed eravamo trecento compleanni tra quelle mura. Non che avessi abbandonato i miei chimici ma svagarsi senza dover vendere un rene ogni volta mi dava sollievo (nello studentato erano tutti al mio stesso livello economico e abbondava la vodka Kirchoff, quattro euro il litro). Anche essere invitato dal compagno di stanza sul tetto con dell'erba mi dava sollievo, ma forse ciò che davvero mi tranquillizzava era non dover più convivere con i miei genitori (boomer, termine meraviglioso che lascia tutta una lista di difetti all'immaginario collettivo di millenials e gen-Z). Vivere a Roma mi permetteva tra l'altro di frequentare ancora di più i miei chimici e in particolare Domitilla. Credo sia nato tutto in quella che, iniziata come serata karaoke, era diventata una serata discoteca da qualche parte a San Lorenzo. How deep is your love? Cantava Calvin Harris ft. Disciples. Let me be your air l'aria era piena di fumo colorato e il ballo era ridotto al minimo per non incontrare frammenti di pelle sudata e non prendere a spallate nessuno (a San Lorenzo, le aggressioni a mezzo di cacciavite erano un problema non indifferente). Uno per volta persi contatto con i compagni fino a rimanere solo con Domitilla, toccandoci più di quanto avessimo mai fatto. Lei indossava un tubino bianco con uno spacco lungo tutta la coscia, sobrio quanto sexy, e mi attizzava da paura. La guardavo muoversi sfocata, il suo viso gigante in mezzo a tutti gli altri come se fosse l'unica nel locale. Quella notte non successe nulla (tornai a casa con i ricordi di un bacio rubato e qualcosa di più nei bagni o nel vicolo dietro, credo l'alcool mi avesse convinto che era successo davvero) ma l'impressione di quella sera non svanì, come se mi fossi reso conto per la prima volta che lei era una ragazza e non solo un'amica, per di più attraente e single.
Galeotta fu la canzone (How deep is your love) e chi la scrisse (Calvin Harris ft. Disciples, vedi sopra). Potrei dare anche la colpa a Giovanni (tornato al bancone per bere da solo lasciandomi altrettanto solo, ma con Domitilla) o ai compagni del dormitorio (davvero non c'erano compleanni quella sera?) ma sta di fatto che da quel giorno iniziai a ronzare intorno a Domitilla e l'amore (Davvero? Con quale coraggio tiro in ballo un termine di questa levatura per ciò che fu poco più di un'infatuazione?) fu la causa di tutte le brutture accadute in seguito. Sarebbe bello finire qui la storia. Vivevo a Roma, avevo degli amici con cui mi sentivo davvero forte (sicuro di me stesso?) e stavo inseguendo una fantastica ragazza. Sarebbe davvero bello fermarsi qui, ma non è ciò che mi chiede il terzo bicchierino di Viparo in un ristorante-hotel per camionisti sul raccordo Terni-Orte mentre fuori mi aspettano alcune tonnellate di acciaio su un rimorchio Iveco. Chiamo un quarto Viparo e ripenso a quel dicembre 2019, alcuni mesi dopo la serata in discoteca, prologo di tragedia.
Con una tipa come Domitilla non mancavano mai occasioni di starle vicino, dare sfoggio della mia empatia, essere quello che la supportava nei giorni difficili, magari confortarla con un abbraccio (e quanto mi sentivo egoista a farlo sapendo che quell'abbraccio era più per me che per lei). In quel dicembre 2019, all'alba dell'ultima sessione di esami della triennale e con una pandemia in vista ad oriente, questi momenti erano abbondanti. Tuttavia non era nulla più di un'infatuazione, non arriverei nemmeno a chiamarle avances. Questo fino a quando una sera successe un fatto magico e assurdo, inaspettato e inspiegabile. Ero nella mia stanzetta nello studentato e stavo leggendo per l'ennesima volta un passo del Simposio di Senofonte (in una delle parti meno erotiche) quando squillò il telefono. Non il cellulare, il fisso della stanza. In tanti mesi, era la prima volta che lo sentivo. Era il portinaio che mi voleva giù, avevo una visita. Fuori dal cancello trovai Domitilla (stomaco che si capovolge) poggiata alle sbarre, fredde nella notte invernale. Mi colpì il suo aspetto (truccata come non faceva mai) e la serenità nella voce con cui mi salutò, così diversa da quella del pomeriggio. Avevo assistito ad uno dei suoi momenti peggiori, nel laboratorio di Ester (non più un laboratorio di tesi ma di dottorato). Eravamo noi tre e Giovanni, ognuno a studiare per i propri esami con quaderni di Tiger & evidenziatori multicolore. Tutto era silenzioso (unici suoni, beute e matracci degli esperimenti di Ester più la pioggia sui vetri) fino a quando Domitilla non aveva sbroccato con un grido, rovesciando il libro. L'esame di Analitica 3 sarebbe stato l'indomani, e le mancava ancora metà programma da imparare (la metà che in tre mesi di lezioni ancora non era riuscita ad afferrare). Ester aveva provato ad offrirle aiuto ma lei incollerita aveva gridato ancora, spaccato sul muro un paio di provette ed era uscita travolgendo un tesista ignaro. Vedere quella rabbia così violenta contro sé stessa e la chimica mi aveva lasciato una sensazione strana, come entrare in camera di uno sconosciuto e frugare nella sua biancheria per scoprire che non è del colore che ci aspettavamo.
-Andiamo a fare un giro?- mi chiese solo, incorniciata dalla luce della mensa che stava chiudendo.
La guardavo riflessa nel finestrino del 545 in direzione Verano, tentando di indovinare i suoi pensieri (se guardo il finestrino del tir di notte, con i lampioni che scorrono, posso quasi immaginarla seduta lì).
-Sei riuscita a studiare, alla fine?
Rumore di bus sulle buche, carrozzeria sgangherata
-Come farai domani per l'esame?
-Me la caverò, in qualche modo- rispose lei senza voltarsi.
Restammo così senza parlare fino a Piazzale Verano, e da lì fino ad uno dei posti di San Lollo dove si poteva ballare ballare ballare nel buio e la luce viola e stare schiacciati nella folla come quando al mare si fa la stella galleggiando sulla schiena. Ed è lì che ci baciammo, senza capire come. Forse non era importante nemmeno il perché, ma finimmo incollati per un bel po' di canzoni (o secondi o quarti d'ora?).
Era bello. E intenso. Poi mi disse che doveva andare in bagno e con un sorriso scemo la lasciai nuotare verso la riva del locale. La aspettai, aspettai fin quando la marea non scese. Mi aveva scritto solo un messaggio: Stanca, tornata a casa. Emoji-stellina. La risacca non mi aveva lasciato altro per quella sera.
Il giorno dopo, uscendo in via De Lollis a cercare qualche bancarella di libri usati, incontrai Leonardo che tornava a casa. Tra le chiacchiere, avevo chiesto notizie di Domitilla.
-Ha passato l'esame con 30. Anche se… aveva un sonno che se la portava via- rispose lanciandomi uno sguardo strano tra i ricci e un paio di Rayban nuovi ("Li ho presi stamattina. Avevo voglia di… qualcosa di nuovo"). Lì per lì lo dimenticai, fino al mese successivo.
Pomeriggio di inizio gennaio 2020. Ci ripenso con il tir che corre placido, io col braccio che si abbronza fuori dal finestrino. Totalmente opposto a quel giorno, di cui ricordo le nubi nere che soffocavano la Sapienza e il buio che entrava dai finestroni rendendo l'atmosfera fredda. La pioggia martellava sui vetri aggiungendo uno sgradevole sottofondo musicale e io avevo attraversato la Piazza della Minerva per raggiungere il Vec, inzuppandomi completamente (ero ancora convinto che gli ombrelli fossero solo per i deboli). L'unico motivo che mi aveva portato ad attraversare la tempesta fino al Vecchio Edificio di Chimica alle 18.30 era sperare di trovare ancora Ester al lavoro nel suo laboratorio (grazie al suo dottorato si era impossessata stabilmente della stanza 368) per scroccarle un passaggio in auto fino a casa, vista la probabilità (praticamente una certezza) di trovare gli autobus a galleggiare pigramente su una pozzanghera. Ester era l'unica che si fermava sempre fino a tardi per una spettroscopia o altre analisi da avviare per la notte, mentre degli altri spesso nessuno rispondeva alle mie richieste di aiuto. In quel periodo ci vedevamo meno del solito, lo studio rendeva i miei quattro chimici sfuggenti ed era frequente che i miei messaggi finissero nel baratro del visualizzato-senza-rispondere della chat di gruppo. Continuavo a giustificarli dando la colpa agli esami, gli avrei perdonato tutto per non allontanarmi da loro. Ingenuamente.
I corridoi del VEC erano alti il doppio di normali corridoi, creando un moto ventoso interno attraverso l'ingresso anteriore e quello posteriore, con spifferi che vagavano tra i cortili e le aule. A quell'ora erano deserti e le mie suole in gomma datata 2015 cigolavano ad ogni passo sul linoleum, mandando l'eco a rimbalzare negli androni e tra le porte chiuse. Nel silenzio, le loro voci mi arrivarono molto prima di arrivare davanti alla porta dell'aula H. Erano Leonardo e Domitilla che litigavano, ed evidentemente l'argomento della discussione ero proprio io. Come in quell'hotel di Bologna, rallentai per ascoltare. Gelosia? Era ciò che stavo sentendo da parte di Leonardo? Eppure tra lui e Domitilla non c'era niente… e infatti lei glie lo stava rinfacciando. Nemmeno tra lei e me non era successo nulla di serio… ma sentirle dire che ero uno qualsiasi mi fece un po' male. E lui insisteva… Ma cosa c'era fra loro? E perché lui sembrava così arrabbiato per le attenzioni che le davo, che a quanto pare non erano passate inosservate? Parla ancora Leo… Spiegati ti prego… Una mano sulla spalla, voce all'orecchio.
-Non riesci a scollarti, eh?
Era Giovanni, troppo vicino al mio viso, con un'espressione copiata da qualche copertina di Vogue.
-Scollarmi?
-Pensavo che i segnali fossero chiari, per qualcuno non sei proprio il benvenuto qui al VEC- rispose occhieggiando alla porta da cui arrivavano ancora le voci di Leonardo e Domitilla. Quali informazioni mi stavo perdendo?
-Se con i segnali intendi ghostarmi sul gruppo no, non erano chiari. Non pensi di dovermi qualche spiegazione?- chiesi accennando ancora all'aula chiusa. Immginai nella sua mente passare tutta una serie di articoli di Cosmopolitan: Come mantenere un'amicizia sana in 14 mosse. Persone tossiche e come eliminarle dalla propria vita. Ghosting: parliamone.
-Ok. Vieni.
Lo seguii in una delle aule vuote, lui poggiato alla scrivania come un professore e io davanti a lui pronto a discutere la tesi.
-Ci stai provando con Domitilla?
-No, no.
-Vuoi la verità? Allora non mentirmi.
-Va bene, tanto vedo che sai già tutto.
-Ecco, i tuoi banali tentativi di conquistarla erano abbastanza palesi e hanno fatto ingelosire Leonardo…
-Perché, stanno insieme?
-HA! Gli piacerebbe… Lei lo ha respinto più di una volta, a partire da quando andammo a Bologna tutti insieme. Ma Leonardo non si è accontentato, oh no… Ha trovato un modo più subdolo di legarla a sé. Lui è un tipo estremamente cattivo, lo sai no? E se non lo sai è perché è riuscito a manipolare anche te come ha fatto con noi. È lui che ci ha convinti a ghostarti, voleva anche creare anche una nuova chat senza di te ma l'ho convinto che non era una buona idea.
Mi sentivo in una scacchiera. Cosa avrebbe pensato Machiavelli?
-Perché ti sei messo dalla mia parte?- chiesi. Stavo ancora ipotizzando che tutto ciò che diceva fosse la verità, ma ci avrei rimuginato più tardi.
-Ci sono stati alcuni screzi che non sono arrivati a Lettere. Non mi dispiace essere amico di Leonardo, anche a te un po' ci tengo.
-Ancora non mi hai spiegato cosa sta combinando. Hai qualcosa da dirmi o stiamo scrivendo un articolo per Vogue?
Giovanni si staccò dalla cattedra, pensai si fosse piccato per la battuta invece andò a prendere un gessetto, scribacchiando alla lavagna.
● Domitilla: genitori ricchi e opprimenti
● Difficoltà nello studio
● Leonardo: bravo nello studio
● Molto meno ricco di quanto vuole sembrare.
● Possessivo
-Cosa ne ricavi?
Guardai i vari elementi senza capire, come fossi il suo Watson. Alcuni pezzi mi erano noti, alcuni potevo intuirli, ma non riuscivo a trovarne il senso.
-Nada
-So che non fate molta matematica a lettere, ma non ti pensavo così scarso. Qui si tratta di persone, non è il tuo campo? Studi umanistici?
-Mica faccio psicologia
-Eh…- sospirò Giovanni riprendendo il gessetto. In un attimo, aveva disegnato un'intricata serie di frecce sulla lavagna.
-Domitilla ha un'enorme difficoltà nello studio, eppure i genitori le mettono addosso un'enorme pressione. Sono di Parioli, sai…- lo disse come se si trattasse di una specie di malattia mentale -così lei si rivolge a Leonardo, che le lascia copiare tutti gli esami in cambio di qualche favore: regali costosi con cui può fare il finto nobile- ripensai alla sciarpa di Woolcott che Leonardo aveva lasciato sul treno dopo Bologna. Era un suo "regalo" e l'aveva abbandonato dopo che lei aveva rifiutato le sue avances?
-Hey, non ti distrarre. Dicevo, lei è più che contenta di comprargli tutto ciò che vuole in cambio dei bei voti: si libera della pressione degli odiati genitori e può sperperare tutti i loro soldi.
-E la gelosia…
-Per uno come Leonardo, è come avere la principessa Leila legata con una catena vestita da schiava. E dopo la vostra scappatella… Si, sanno tutti della vostra serata a San Lollo… Beh, a lui non è piaciuto.
Ricordo di essere uscito stordito da quell'incontro, conservando quella sensazione anche nei giorni successivi. Quando eravamo tutti insieme (Smisero di ghostarmi, forse grazie all'intercessione di Giovanni) ogni parola che sentivo da Leonardo la interpretavo sotto una luce diversa, e lo stesso per Domitilla. Lei che era sempre più cupa, sempre più distaccata dal mondo che la circondava, chiudendosi in sé stessa mentre noi parlavamo di cose. Avevo deciso di rischiarmela, di continuare a starle accanto nonostante i retroscena che avevo scoperto, nonostante sapessi di essere un insetto troppo grosso per i fili sottili che ora vedevo intorno al gruppo.