Venne il gennaio 2020, l'anno in cui aspettavo la mia prima laurea, e iniziai a lavorare alla mia tesi triennale chiudendomi nelle aule studio della Sapienza. Il pensiero delle traduzioni non mi permise di notare i fili che si stringevano, tirandoci verso il triste evento. L'unico evento importante che davvero mi sorprese fu la prima bocciatura di Domitilla (Chimica organica 3 con laboratorio). In tanti anni di sofferenze universitarie, era la sua prima volta. Conoscendola ormai a fondo, temevo qualche insano scatto d'ira o momento di depressione acuta ma invece non accadde nulla di tutto ciò. Sembrava aver dimenticato l'ansia che l'aveva sempre accompagnata, come se sapesse ormai di essere condannata ad una vita di basso rendimento scolastico. Questo esito negativo arrivava infatti al termine di due esami di fila in cui aveva preso voti appena sopra alla sufficienza (19 e 20, c'è chi si pone questi voti come obiettivi primari). Avevo tenuto d'occhio Leonardo e non aveva vantato nessun capo nuovo quindi collegando le due cose immaginai che il loro patto si fosse infranto la sera in cui li avevo sentiti litigare. Era una cosa positiva o negativa? Adesso sembrava essere entrata in una fase di apatia in cui non le importava di prendere brutti voti e nemmeno si impegnava per fare di meglio, come distaccandosi da tutto ciò che c'era al di fuori della sua testa.
Il fondo di una tazzina di cappuccino con resti di cornetto marchiato Autogrill mi riporta a uno di quei tanti pomeriggi in cui riuscivo a stare solo con lei, sconvolgendo i miei orari per seguire le sue ore di buco in cui avrebbe voluto studiare da sola, seduta ad uno dei tavolini puzzolenti del bar De Lollis con i quaderni circondati dalle tazzine di caffè svuotate. In quei giorni di fine gennaio c'era un sole basso che non scaldava, uscendo il viso era tagliato da un vento sottile e persistente.
Se ci vedevamo al bar di De Lollis era a causa del professore responsabile del dottorato di Ester. Dal laboratorio erano spariti alcuni reagenti e l'accesso ai non addetti ai lavori era stato vietato, stavolta per davvero. Quando era successo eravamo con lei, ci eravamo sparsi sulle varie scrivanie ma anziché mettersi al lavoro come al solito Ester aveva continuato ad aggirarsi per il laboratorio, spostando la vetreria e frugando nei frigoriferi.
-Tutto ok?- le chiesi quando per la seconda volta mi fece spostare per aprire lo scatolone su cui avevo poggiato la mia roba
-Non trovo lo stupido acetone!- aveva ribadito sbattendo la i materiali al loro posto -È una settimana che sparisce la roba. Ho dovuto riordinare due volte sia l'acetone che l'acqua ossigenata. E ora dovrò chiederne ancor!- disse sparendo fuori dalla porta. Ero tornato sui miei libri e stavo per riprendere la concentrazione quando sentii Giovanni alzarsi di scatto.
-Via, via, via!- mi diceva agitato raccogliendo la sua roba. Anche gli altri stavano facendo lo stesso.
-Ma cosa succede?
-MUOVITI!
Li seguii agitato fuori dal laboratorio, portando in braccio zaino cappotto e libri.
-Ma non lo guardi mai il telefono mentre studi?- mi rimbeccò Domitilla quando ormai eravamo ad un paio di corridoi di distanza. Nella nostra chat di gruppo, aveva scritto Ester: prof sta arrivando, sgombrate. Non tornammo più nel laboratorio.
Un pomeriggio di fine gennaio Domitilla mi chiese di farci un giro e decisi di accontentarla staccandomi a malincuore dalla traduzione che stavo completando per la mia tesi triennale. Prendemmo via De Lollis in discesa, la seguivo riparandomi il viso dal freddo e adocchiando la bancarella dei libri usati dall'altra parte della strada. Arrivati in Piazzale Verano tirai dritto verso la stazione del bus come facevo sempre, ma lei mi chiamò proseguendo sulle strisce pedonali in direzione del cimitero monumentale. Ci fermammo ad una delle tante bancarelle fuori dalle mura in mattoni del camposanto a comprare dei fiori.
-Qui nel Verano sono sepolti i miei nonni. Tu che sei di fuori non lo sai, ma questo è un cimitero antico e importante. Non è che tutti riescono ad avere una tomba qua dentro- si vantò prendendo in braccio un mazzo di elleboro viola dai pesanti petali.
Nel cimitero c'era un'aria di pace e le croci sembravano frenare il vento gelido. All'ingresso si guardò intorno imboccando il viale principale. Girammo un po' tra le tombe, soffermandoci su quelle più belle. Volevo fotografarle, pezzi d'arte classica nel marmo, ma temevo che non fosse rispettoso o qualcosa del genere. Ogni tanto diceva "mi pare fosse di qua…" alle svolte, ma dopo aver imboccato un viale si distraeva presto a leggere i nomi sulle lapidi o ammirare qualche statua particolarmente bella. Passammo lì dentro quasi un'ora e quell'aria funebre cominciò a nausearmi quando arrivammo nella parte più moderna, fornetti tutti uguali nel cemento. Le chiesi infastidito se poteva essere d'aiuto chiedere al custode ma rispose che non si ricordava e basta e tornammo verso l'uscita che era già sceso il buio. Adesso, i viali sembravano molto più tristi. Salì sul suo bus e si allontanò, portando via il mazzo di fiori che aveva comprato. Appena prima di salire mi disse che il giorno dopo avrebbe ripetuto l'esame per cui era stata bocciata. Dato che era un'orale le chiesi se potevo accompagnarla per darle coraggio.
-No! No, non ti preoccupare. Ci sarà Leonardo con me- rispose.
La salutai.
Rimuginai su ciò che mi aveva detto tutta la sera e il mattino seguente. Anche se credevo ormai di conoscerla a fondo, Domitilla mi rimaneva spesso impenetrabile. Quanto potevo calarmi a fondo in quel pozzo? Pensavo a quell'esame. Perché aveva chiesto a Leonardo di andare con lei? Riguardava i loro trascorsi? Avevano rinnovato il loro accordo? Eppure, in un esame orale era impossibile copiare. Avrebbe corrotto il professore? O era solo un modo per farmi ingelosire? Come una fame nervosa che non si placa mangiando, più ci pensavo e più rimaneva la curiosità e i passi mi deviavano verso il vecchio edificio di chimica.
Era quasi l'una e nell'aula Ginestra erano rimasti solo il professore in cattedra, Domitilla seduta davanti a lui e Leonardo nei banchi poco dietro. La Ginestra era un'aula altissima, un anfiteatro di banchi intorno alla cattedra sopra alla quale pesava la frase di Leonardo "tristo è quel discepolo che non avanza il suo maestro" in caratteri razionalisti. Nessuno si accorse di me quando entrai dalla gradinata più alta, rimanendo silenzioso dietro la fila di banchi. Ero arrivato ad esame già iniziato e presto mi accorsi che non stava andando bene a Domitilla. Mancava di molte nozioni e le sue risposte erano piene di ehm o uhm. Ero sicuro che Leonardo, impassibile, avrebbe saputo rispondere a tutte le domande. Il professore provava ad aiutarla ma lei annaspava, i suggerimenti si perdevano nel silenzio accademico.
Proseguire richiede coraggio. Magari un bourbon prima di una fredda notte in motel in cui mi sembra di sentire ancora fischiare le orecchie. Ripensare al momento del giudizio… Quell'istante in cui il professore non può fare a meno di arrendersi ad una di quelle frasi archetipiche come "Signorina mi dispiace, può riprovare al prossimo appello". Domitilla si alzò, frugando lo zaino senza rispondere. Io ero già sulla porta per non farmi vedere e anche Leonardo stava raccogliendo la sua giacca. Il suo movimento si fermò, distratto da Domitilla. Una grossa bottiglia di vetro, il liquido trasparente più leggero dell'acqua, il braccio che cala a romperla sul pavimento.
È tutto vero: il fischio nelle orecchie dopo l'esplosione, il senso di stordimento, l'onda d'urto. Le braccia che annaspano tra polvere e detriti come fossero di un altro. La vista che si appanna e poi il volto preoccupato di un infermiere che cerca i segni vitali dietro una lucina accecante. La barella con le cinghie e la coperta l'ambulanza che odora di disinfettante.
Abbiamo aspettato dieci giorni per i funerali. Li hanno dovuti raccogliere col cucchiaino ha detto Giovanni mentre aspettavamo che la polizia raccogliesse le nostre testimonianze. Madre di satana, hanno detto. Lo stesso esplosivo che aveva usato l'Isis qualche anno prima. Un buon chimico lo può preparare facilmente. Almeno Ester adesso sa dove erano finiti i suoi reagenti. Potevo immaginare la polizia mentre cercava di capirci qualcosa. Quattro ragazzi, ognuno con un genere di musica e una materia preferita, stile di vestiario, libri letti tutto da far quadrare come nell'indovinello di Einstein.
Domitilla e Leonardo vennero entrambi sepolti al Verano, nelle rispettive cappelle di famiglia. Solo lui ha una bara. Di lei e del professore hanno trovato pezzi sufficienti a malapena a riempire un'urna. Mi chiesi cosa sarebbe successo se l'aula non fosse stata abbastanza grande da tenermi lontano dall'esplosione, se sarebbe servito più di quel gesso che avevo al braccio a tenermi insieme.
Al funerale incontrai per la prima volta i genitori di Domitilla. Erano come li avevo immaginati? Da fuori sembrano normali. Mi chiesi se nei loro pianti sarebbero riusciti a trovare il loro ruolo in tutto questo. Ester e Giovanni… Lei è venuta a trovarmi in ospedale, per dirmi del funerale. Mi aveva preso una scatola di cioccolatini Lindt che avevo mangiato uno dopo l'altro nascondendomi dall'infermiera. Ora sembrano estranei, come se ad andare in pezzi con i vetri della Ginestra fosse stato anche il nostro gruppo.
Il funerale è stata l'ultima volta in cui noi tre sopravvissuti siamo stati insieme. La pandemia è arrivata il mese dopo, il lockdown è stato una buona scusa per non rivederci e rimuginare ognuno sul proprio senso di vuoto/dolore/perdita o qualsiasi cosa avessero in mente gli altri. Solo Giovanni mi ha scritto ancora, facendomi le congratulazioni quando mi sono laureato con un anno di ritardo (anche qui la pandemia è stata un ottimo modo di scaricare le proprie responsabilità sulla Cina) ma per il resto non abbiamo più avuto contatti e quella chat di gruppo in cui siamo ancora cinque sembra sempre più fredda.
A cosa è servito ricordare tutto questo? Forse a poterlo dimenticare ancora, lasciandolo indietro come l'asfalto che scorre sotto al mio tir.