——•✧✦ Disgust I ✧✦•——
Knock, knock. The door opened without waiting for permission.
Entrado dendro, ci troviamo davanti il dottor Mitchell, seduto a gambe incrociate, con il corpo non dietro la sua imponente scrivania, ma davanti, come se volesse ridurre ogni ostacolo tra lui e quel giovane ancora fermo sulla porta.
Davanti a loro, si trovava un piccolo tavolino rotondo, esso troneggiava una teiera bianca, una di quelle buone in ceramica, da cui si sollevava un filo di vapore ondeggiante, come se appena tolta dal fuoco.
Il vapore, fece aumentare l umidita nella stanza, che avvolgeva i due uomini – o meglio, l'uomo e mezzo.
Mitch oggi aveva lasciato il suo completo elegante nell'armadio; al suo posto, indossava un maglione nero, abbastanza consumato direi.
Aveva anche un altro diffeto, cioe la lana, che gli prudeva leggermente il collo, e proprio come la maggiorparte di noi lui sistemava quel colletto pensando gli portasse conforto o potersene liberare.
E per finite, passo la palla, piu per un sentimento di soprafazzione, per via di quei occhi, che continauvano a fissarlo, ma non prima di regalare un altra freccia usando l'orologio appeso alla parete, il suo tono a metà tra l'ironico e l'irritato. "Sei in ritardo.."
Il paziente, esitante, stava ancora fermo sulla soglia.
E non era solo: aveva portato un bagaglio. Anche se non del tipo consueto.
Ciò che stringeva come un sacco di patate — molto più pesante di quanto sembrasse — era la sua testa. O meglio, una delle sue teste.
La prima era ancora, saldamente sul collo, serena come una statua di marmo.
La seconda, però, veniva trasportata sotto il braccio sinistro, poggiata su dita bianche, simili a radici rigide che faticavano a tenerla, stringendola male, indesiderata.
Il ragazzo finalmente si mosse, o meglio, si trascinò all'interno, i passi lenti e pesanti.
Giunto davanti al tavolo, sollevò con fatica il carico e lo lasciò cadere sul legno con un tonfo umido e sordo.
La testa rimbalzò appena, rotolando di lato prima di fermarsi, con il volto rivolto verso Mitchell.
Un rivolo di sangue scuro colò da un angolo della bocca della testa, serpeggiando tra le tazze da tè e corrodendo il legno come acido.
La sua espressione tuttavia rimaneva composta, pero quello che ci tradisce sempre sono gli occhi, che brillavano di una curiosità che sembrava quasi divertita.
"Vedo che hai portato… la tua testa," commentò mascherato da una calma ironica. "Spero non voli anche l altra via nel bel mezzo della seduta."
Il giovane rimase in silenzio per un momento, poi si allontano, e tolse il cappotto sporco e logoro, lasciandolo scivolare sul braccio prima di gettarlo sull'attaccapanni.
Infine, si sedette sulla sedia di fronte a Mitchell. Il legno non scricchiolò sotto il suo peso, come se fosse ancora più leggero di quanto apparisse.
Alexander — anzi.. Alex — si sistemò la camicia e con un gesto stanco aggiustò la testa staccata.
Spostandola piu vicina al corpo e per educatezza, gli sitemo i capelli, le pulille che erano in direzzioni opposte, e infine sputando della saliva sulla manica gli puli via il sangue dal mento.
Avendola risistemata ora, vi posò sopra una mano, per esattezza il gomito, e le dita finirono sul poi sul suo di mento, come di consueto.
Mitchell continuo a osservare in silenzio, il suo sguardo attirato da quel gesto.
Aspettando che finiscta di sitemare il bagalio, iniziò a far girare distrattamente l'anello sull'anulare destro, prima di rompere il silenzio.
"Allora," disse, inclinando leggermente la testa e sporgendosi in avanti, "perché continui a tenerti quella cosa? Deve essere diventata un bel peso." Nel mentre, puliva anche lui qualcosa, cioe la sua tazza dal sangue di prima con la tovaglia del tavolo.
"Non è peso. È solo..." Alex fece un gesto vago con la mano destra, quasi a liquidare il discorso. "Un pezzo, che mi serve, lo sai no.."
"Certo che capisco.. Aspetta, quindi perche sei arrivato in ritardo oggi?"
Alex scrollò le spalle. "C'era traffico." La risposta uscì svogliata, accompagnata da un sorriso pigro.
"Traffico? Eh.." ripeté Mitchell, "Vuoi del tè dopo? Oppure preferisci che lo prenda l'altra testa?"
"Si, sempre che sia quello il solito"
"Immagino che non sia stata una giornata facile per nessuno dei due."
Un silenzio cadde sulla stanza, spezzato solo dal ticchettio dell'orologio. "Mentre aspettiamo che si raffreddi.. Allora, Alex. Come stai oggi?"
Il corpo del ragazzo si raddrizzò leggermente, e un sorriso nervoso gli increspò le labbra.
"Meglio, dottore. Oggi è stata una giornata tranquilla; mentre venivo qui, mi sono fermato a guardare alcuni alberi, ecco il secondo motivo del ritardo..."
Ma prima che il terzo potesse rispondere, la testa mozzata si mosse, contorcendo la bocca.
Le labbra si piegarono, mostrando appena denti scuri. "Oh? Non direi. Non hai fatto altro che rimuginare nel tuo letto. Ti sei preparato mentalmente per cinque ore, no?"
Alex guardò la testa con un'espressione infastidita. "Non è vero," disse cercando di mantenere la calma, le sue mani tuttavia iniziarono a tremare leggermente.
"Interessante. Qualcuno sta mentendo, e mi chiedo chi sia. Alex… o la tua altra metà?"
La testa, con quegli occhi vitrei e fissi, si voltò lentamente verso Mitchell, come se sapesse esattamente cosa stesse facendo.
"Io non mento. Io odio mentire, a differenza di quello che sono ora, dico quello che lui ha paura di ammettere."
Il corpo di Alex si piegò in avanti, quasi come per cercare di nascondere la testa sotto le braccia dall imbarazzo. "Sono solo stanco, tutto qui. Non ascoltarla."
"Eppure, io sarei il vero proprietario," sibilò la testa. "Sono quello vero, tutto te sei inutile. Sei tu il perso."
Mitchell si sporse ancora di più, i gomiti che affondavano nel legno del tavolo, le mani intrecciate sotto il mento. Il suo sguardo passava dal corpo di Alex alla testa come un giudice che pesa due accuse egualmente convincenti.
"È strano, sai? Ora…" tossendo, "Ora che parliamo di cose personali, sembra che lei..." indicò con un lieve cenno del mento la testa sul tavolo, "...sia più attiva."
Alex deglutì visibilmente, le spalle che si abbassavano leggermente, e le mani che stringevano i bordi della sedia. "La testa non sa niente di me. Non ascoltarla, dottore."
"Oh, ma io so invece tutto, sei te quello che non sa nemmeno che giorno e oggi.."
"Allora, chiariamo una cosa. Corpo: vuoi andare avanti; testa: vuoi restare intero. È corretto?"
Alex, o meglio il corpo, senza distolse lo sguardo. "Io sono Alex. Sono quello che vive. Non importa cosa ricorda lei."
La testa ridacchiò, un suono sgradevole, simile al metallo graffiato. "Che arrogante. Vivi, dici? Vivi nel vuoto."
Mitchell inclinò la testa di lato, osservando il corpo. "Cosa rispondi a questo? Se non ricordi nulla, come fai a sapere chi sei?"
Il giovane si agitò sulla sedia. "Perché io ci sono. Io mi muovo. Io sento. Io... soffro. Non è abbastanza?"
"Sentire non significa essere. Senza di me, non sei altro che una carcassa che vaga senza meta."
Il corpo guardò sé stesso con rabbia repressa, poi rivolse lo sguardo a Mitchell, cercando una sorta di convalida. "…Non sa di cosa sta parlando."
"Vedi? Non può rispondere. Perché, in fondo, lo sa. Io sono lui. Pero, stiamo cadendo a pezzi insieme."
Mitchell li osservò entrambi per un momento, poi si inclinò ancora di più, il viso a pochi centimetri dalla testa mozzata, sollevandola leggermente con entrambe le mani.
"E se separare voi due fosse stata la vera menzogna?"
Indicando il corpo, aggiunse: "Ma negarlo… negarlo non ha funzionato, vero?"
Alex si fermò a pensare, mentre la seconda testa iniziava a fluttuare, per scappare da quella presa.
Ma prima che potesse scivolare via, Alex allungò la mano, le dita tremanti impercettibilmente, e la afferrò per un orecchio, i muscoli tesi, come se l'intero peso di quell'azione richiedesse una volontà feroce.
Poi la schiacciò, velocemente per terra, facendola svenire e macchiando anche il tappeto.
"Meglio?" chiese Mitchell con un sorriso beffardo.
Alex alzò lo sguardo, il viso rigido, le labbra tirate in un ghigno inquietante. "È solo una faccia, dottore. Solo una faccia."
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La teiera, quella dall'inizio, posizionata al centro del tavolo, emanava ancora una flebile nube di vapore, un sottile filo di nebbia che serpeggiava verso il soffitto come se cercasse di nascondersi.
Il dottore la osservò per un momento, con le sopracciglia rilassate e immobili, in apparente calma, mantenendo quel contegno tranquillo che sapeva essere tanto irritante quanto inquietante per il giovane.
"L'ho lasciata raffreddare un po', lo sai?" disse, e le parole sembravano fluttuare tra loro, mentre le sue dita si avvolgevano lentamente, quasi affettuosamente, attorno alla teiera. "Non volevo bruciarti il tuo amato tè al limone."
Versò l'acqua nella tazza di Alex, una cascata quasi silenziosa, interrotta solo dal leggero ticchettio delle gocce di condensa che scivolavano giù per la ceramica.
Si mescolava alla pioggia di fuori, che si faceva più intensa, le dita invisibili della tempesta che tamburellavano contro il vetro come mani ansiose di entrare, bloccate dall'implacabile resistenza della finestra.
"Sembra che anche la pioggia voglia unirsi alla nostra conversazione," disse con un sorriso appena percettibile.
Alex alzò un sopracciglio ma non disse nulla. Invece, il suo sguardo scivolò dalla finestra alla teiera.
Nel frattempo, Mitch si servì dell'acqua, apparentemente incerto sulla direzione da prendere.
Prese una bustina di tè verde dal barattolo di latta consunto accanto a lui, immergendola nell'acqua con un gesto preciso e rituale.
Poi fece lo stesso con il tè al limone di Alex, ma con meno enfasi, quasi con una leggera noncuranza.
"Zucchero," disse Mitchell, afferrando la zuccheriera con una mano delicata, "è una sostanza interessante, non credi?"
Iniziò a versare zucchero nella sua tazza, non uno o due cucchiaini—no.
Ne aggiunse una quantità eccessiva, il suono dello zucchero che scivolava nella tazza riempiva la stanza, come minuscoli cristalli che cadevano uno dopo l'altro, una pioggia di granelli dolci.
"Per me, dolcezza pura," continuò con un sottile sorriso malizioso.
"Ma per te, haha... lo zucchero sembra quasi veleno, vero? Potrei metterne un po' di nascosto un giorno, e tu non te ne accorgeresti nemmeno. Chissà cosa accadrebbe."
Sorrise un sorriso che non si rifletteva nei suoi occhi, mentre continuava a mescolare il tè.
Alex lo guardò senza espressione, poi si voltò di nuovo verso la finestra.
Attratto dalla pioggia che ora picchiava ancora più forte, non solo con i pugni ma con i gomiti, nervosamente, con forza, come se potesse rompere il vetro in preda alla frenesia.
Anche l'altro guardò il mondo fuori. "Oh Dio, guarda che pioggia. Sai, non mi dispiace la natura, ma penso che mettere un po' di musica potrebbe aiutare, no?"
Dopo aver detto questo, il dottore si alzò, posò le mani sul tavolo e si avvicinò a un vecchio giradischi su una credenza accanto a numerose librerie.
Sotto c'erano diversi dischi, ma uno in particolare era già fuori, preparato, sembrava così usato che la copertina era consumata.
Lo prese e lo mise sul giradischi, che iniziò a suonare un suono delicato che fece canticchiare piano Mitchell.
Poi tornò al suo posto, con gentilezza. "Il tè senza zucchero va bene per me."
Con una voce piatta mista a un accenno di irritazione. "E poi, Mitch… se volessi avvelenarmi, avresti bisogno di qualcosa di più sottile dello zucchero. Non credi?"
Mitchell sorrise ma non rispose subito. Invece, prese un sorso del suo tè.
Anche Alex provò il suo, il vapore gli avvolgeva il viso come una maschera temporanea, e poi continuò a fissare, gli occhi che si stringevano leggermente.
"Forse hai ragione. Ma sai... a volte non serve avvelenare il corpo. Il miglior veleno è quello che agisce lentamente... sulla mente."
Alex si sporse in avanti, come se fosse finalmente interessato. "Dove vuoi arrivare, dottore?"
Mitch scosse la testa. "Oh, non voglio arrivare da nessuna parte. Ti sto solo offrendo un'osservazione. Sai come funzionano le cose… basta una piccola crepa nella psiche, un po' di pressione nei punti giusti, e—" toccò con un dito la tazza, facendola tintinnare. "Crack."
Alex strinse la tazza tra le mani, fissandola, osservando il liquido.
"E cosa dovrei fare, secondo te, Mitchell?" disse, la voce ora più bassa.
Il dottore prese un altro sorso del suo tè. "Non è facile, sai. Dopo tutto, i miei clienti non mi pagano per niente."
Il rumore divenne fastidioso, con troppi suoni, come se tutto il mondo volesse infiltrarsi in quel piccolo angolo di calma irreale.
Mitchell abbassò la tazza e si protese lentamente verso Alex, posandogli una mano leggera sulla spalla.
"Il tuo tè, Alex, è pronto. Lo zucchero no."
Poi, senza preavviso, la piccola porticina accanto all'ingresso si aprì con un clic silenzioso, e apparve.
Una figura bianca, eterea, che avanzava silenziosa attraverso la fessura, una presenza immacolata.
Il gatto.
Completamente fradicio, con il pelo bianco zuppo e gli occhi blu, affilati e freddi come schegge di ghiaccio.
Un istante di immobilità, poi, con la grazia di un felino che sa perfettamente di essere padrone del suo mondo, il gatto si scrollò.
E in un istante, il caos.
Gocce d'acqua si sparpagliarono ovunque, una pioggia improvvisa che si diffuse in un raggio, bagnando il tappeto, il pavimento e le librerie.
Alex, sorpreso, vide il suo cappotto sull'attaccapanni diventare istantaneamente zuppo, mentre un rivolo d'acqua si infilava tra le pagine di un vecchio libro sulla mensola.
Mitchell, che stava sollevando la tazza per un altro sorso, si fermò a metà, gli occhi che si stringevano in una linea sottile come coltelli pronti a colpire.
Un lampo di irritazione attraversò il suo sguardo, ma si trattenne come se quel momento facesse parte di una strana routine ormai consolidata.
Il gatto, completamente indifferente al caos appena creato, si accovacciò al centro della stanza, con il pelo ancora grondante, scuotendosi una seconda volta giusto per essere certo di aver bagnato tutto e tutti.
Mitchell posò la tazza con un gesto controllato, ma i suoi occhi tradivano una rabbia contenuta.
Il gatto lo ignorò, come solo un gatto può fare. Con un'eleganza irritante, si avvicinò ad Alex, la coda alzata come una bandiera di vittoria, e miagolò, "Miao!"
"Ah… Miao! Anche a te, Galaxy Destroyer," disse, in tono sarcastico ma calmo, come se stesse affermando una verità nota. "Non hai niente di meglio da fare, eh?"
Mitchell alzò lo sguardo. "Perché non vai a infastidire qualcun altro?"
Con un salto rapido, si arrampicò sulle ginocchia del ragazzo, che sospirò leggermente.
Distrattamente, Alex accarezzava la coda del gatto con movimenti lenti, quasi ipnotici. Il gatto socchiuse gli occhi, visibilmente soddisfatto.
"Non pensare nemmeno di rubarmi il gatto…"
L animale, soddisfatto del suo nuovo trono, si sistemò comodamente sulle ginocchia di Alex, socchiudendo gli occhi e iniziando a fare le fusa, un suono basso e continuo che vibrava nella stanza come un altro strano sottofondo a quella giornata.
"Rilassati, i miei animali se lo mangerebbero a colazione," rispose Alex, con un tono misto di scherno e distacco.
"O meglio, perché non vai a mangiare quello che ho preparato per te?" disse, con una voce venata di lieve sarcasmo.
Appena il gatto sentì la parola "mangiare," balzò in piedi.
Con un altro salto improvviso e brusco, fece sobbalzare la tazza che teneva in mano, e alcune gocce di liquido bollente si rovesciarono sulla sua mano.
Alex si ritrasse bruscamente, versando un po' di tè sul tappeto e stringendosi la mano che bruciava, mentre cercava di evitare che anche il gatto si facesse male.
Mitchell, osservando la scena con attenzione, scosse la testa. "Stupido gatto. Guarda cosa hai combinato." Le parole erano come spine.
Il felino, completamente imperturbabile, emise semplicemente un breve "Miao" in tono leggermente sprezzante, come se si aspettasse delle scuse invece di darle.
"Chiedi scusa," ordinò Mitchell, sarcastico. "Dopotutto, il casino l'hai fatto tu, no?"
Con un sospiro rassegnato, Alex posò la tazza sul tavolo e portò la mano alla bocca, succhiando il tè bollente dalla pelle come se fosse un fastidio di cui voleva sbarazzarsi.
Il gatto tuttavia, durante il viaggio perso la ciotola, si soffermo, sul ataccapanni, iniziando a saltare, provando ad agrapparsi con le unghie
"Destroyer Allora? La vuoi smettere, ora vuoi pure rovinarli la giacca.. Vai a mangiare!"
"Tranquillo Mitch, la giacca e ormai rovinata di suo, e poi non ho sentito niente," mormorò, asciugandosi la mano sul maglione.
"Sei sempre così disordinato," commentò Mitchell, lanciando uno sguardo acuto al tappeto ormai macchiato e alle gocce d'acqua che avevano formato piccole pozze sui mobili in legno.
"Non preoccuparti" disse Alex con un sorriso cinico che non raggiunse gli occhi. "È solo acqua. E poi…" si fermò, guardando il gatto come se stesse per dire qualcosa di significativo, poi scosse la testa. "Le tue preziose librerie sopravvivranno."
"Oh, che gentile da parte tua sottolinearlo," replicò Mitchell, con quel sorriso quasi crudele che era diventato il suo marchio di fabbrica. "Ma sai, Alex, almeno hai smesso di lamentarti del tè."
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La canzone ormai era finita, e un ulteriore silenzio cadde sulla stanza.a che tremavano."Allora, Alex, quindi come stai davvero oggi?"
Alex sbuffò. "Sto bene. Davvero." Ma la tensione nella sua mascella tradiva il contrario.
Mitchell sorseggiò il tè senza fretta. "Interessante. E dimmi, ti ricordi che giorno è oggi?"
Il ragazzo esitò. "Martedì?" Il corpo sembrava incerto.
La testa, che si riprese invece ridacchiò. "È il tuo compleanno, idiota."
Gli occhi di Alex si strinsero, un lampo di fastidio attraversò il suo volto. "Sul serio? Non lo sapevo."
"Ma certo che non lo sapevi," disse la testa. "Tu non sai niente di noi!"
Mitchell osservava, il suo sguardo che saltava tra il corpo e la testa come quando osservi un giocoliere che gioca coi coltelli.
Poi si alzò con un movimento lento e fluido, dirigendosi verso un vecchio registratore di videocassette accanto alla libreria. "Sai," iniziò, "pensavo che un'occasione speciale meritasse... un tuffo nel passato."
Inserì una cassetta consumata, che prese da una busta di plastica azzurra accanto, e premette il pulsante play.
Sul piccolo schermo apparve immediatamente un giovane Alex, sorridente e inconsapevole, circondato da una tavola apparecchiata, palloncini appesi e una torta al centro. La sua risata improvisa riempì la stanza, un'eco distante e dolorosa.
"Non ci credo che usi ancora quelle cose," borbottò Alex, incrociando le braccia. "Chi usa ancora videocassette?"
La testa fluttuante accanto al corpo, lo fissò, impassibile. "Oh, io ricordo questa scena," disse. "Prima di questo momento, stavi vomitando nel bagno perché avevi mangiato troppa pizza. Bravo, campione."
Alex si irrigidì. "Non mi ricordo niente del genere."
"Ecco il punto," intervenne Mitchell, indicandolo, e tornando a sedersi, nel mentre che continauvano a guardate. "Non ti ricordi, ma lei sì." Indicò la testa con un piccolo cenno. "Interessante, vero? Tu vivi senza passato, mentre il tuo passato vive senza di te."
Nel video, la madre di Alex gli accarezzava i capelli, tuttavia non si vedeva la faccia dei adulti, solo di alcuni bambini urlare. "Soffia le candeline, Alex," diceva una voce gentile, quasi un sussurro. Alex, pallido e sudato, soffiava esitante, e tutti applaudivano.
"Oh, ecco la parte migliore. Aspetta un attimo, Mitchell, vedi? Qui Alex sta per..."
"Basta! Spegnilo, adesso."
Mitchel, alzandosi imporvistamente. "Interessante. Cos'è che non vuoi vedere, Alex?"
Il corpo, mordendosi il labbro. "Non lo so, solo che, lui lo sa, quindi deve essere quaclosa che non devo vedere.."
Mitch si avvio a spegniere, tuttavia il nastro tuttavia finì da solo, e un silenzio gelido invase la stanza, accompagnaito dalla pioggia, diventata leggera.
Il dottore torno a sedersi, e si sporse in avanti, fissando Alex con uno sguardo che poteva perforare l'acciaio. "Allora, Alex. Parliamo anche di quella cosa che hai trovato."
Alex aggrottò le sopracciglia. "Cosa?"
"Il cuore," rispose la testa, il suo tono ora quasi solenne. "È nella tua tasca."
Il giovane si alzò bruscamente, rovesciando la sedia. Andando verso la giacca, infilò la mano nella tasca sinistra, tremante, e ne estrasse qualcosa.
Un cuore scuro e pulsante, avvolto in una busta di plastica insanguinata, gocciolante.
Mitchell sorrise. "Molto interessante. Mi chiedo... chi lo farà battere per primo."