Mentre l'uomo in tunica parlava non lo ascoltai, troppo concentrato a non guardarmi attorno, non feci altro che tenere puntato lo sguardo sui miei anfibi sporchi di fango.
«Ed ora salutiamo gli uomini che sono caduti sul campo.»
Udiì soltanto questo. -Serrai i pugni- ‹Non li voglio sentire.›
«–..Dylan Hidalgo, Juán Ortés, James Award, il nostro tenente colonnello–..» ‹Non-voglio-sentire.› -scandiì nella mia testa.- «Abbiamo perso 21 uomini, e per loro, puntiamo le armi sui cuori.»
‹Non ho intenzione di farlo.› -e non l'avrei fatto.- Non avevo il coraggio di farlo. Di salutarlo. Non volevo, sapevo che dovevo, ma non volevo.
Più tardi, mi si avvicinò il generale.
«Domani farò trasferire il corpo in Italia, così da poterlo seppellire là. Confido ancora in te per il trasporto sicuro.» ed io, annuiì e basta.
Il giorno dopo fu il viaggio più pesante della mia vita.
Nicolas Kepler (POV'S)
L'aria silenziosa che c'era mi stava pesando addosso.
‹Non è da lui.› -pensai.-
Lo frequentavo da così tanto da averlo conosciuto sotto parecchi fronti, da averlo visto sotto parecchi aspetti, ma non mi ero mai abituato a questo suo nuovo modo di essere. Così a tratti calmo. Così capacito di fermarsi a pensare. Così... controllato.
E forse c'era da tenersi più alla larga dalle persone calme che da quelle che potevano dare di matto. Perchè dalle seconde eri a conoscenza di quel che avresti potuto aspettarti, mentre delle prime no. E una sfumatura simile in una persona come lui... ‹Ha così tanta somiglianza col fare di suo fratello.›
«Hai idea di quello che hai fatto?!»
E fu così, che partì il discorso.
‹Di quello che ho fatto io?› -mi chiesi.-
Aron «Guarda!» e mi lanciò sulle gambe il giornale «Leggi.»
Non mi fermai neanche a leggere il titolo.
Quest'oggi è stato assassinato con un colpo di pistola al petto uno dei più grandi dirigenti di una delle forze dell'ordine:
‹Assassinato? Forze dell'ordine?› -pensai.- Non era esattamente quella, la realtà, ma probabilmente il popolo comune, e tanto meno i giornalisti, non potevano essere a conoscenza di una cosa del genere e ancor più ovvio era il fattore che le colpe sarebbero ricadute tutte sull'altra sponda. Ovvero la nostra.
il tenente colonnello James Award, a capo dell'operazione Holmes.
Lui era davvero morto. E per quanto l'avessi sempre voluto far fuori, con quelle sue arie, qualcosa dentro di me parve sentirsi male. Non seppi il perchè.
Aron «Sai che cosa vuol dire questo?!» tornò ad inveirmi contro «Che potrebbero venire a cercarci.»
«Vi ha visti qualcuno?» fu Carol a chiederlo.
«No.» rispose Damon.
«Ne siete sicuri?»
E poi, un barlume.
...FLASHBACK...
La pistola mi cade a terra.
«Tu–..» esala.
Una macchia di sangue inizia ad espandersi sul pavimento.
«Tu.»
E quel tono, carico d'accuse, mi fa voltare.
Damon «Andiamocene Nicolas!»
...FINE FLASHBACK...
‹Sanno il mio nome.› -mi arrivò in testa come un lampo in pieno giorno.-
Aron mi si avvicinò in un modo quasi minaccioso «Ti ha visto qualcuno o no?!»
«No.» non fui io a parlare «Nessuno.» -Volsi lo sguardo su Damon- ‹Perchè gli sta raccontando una balla?› «L'unico testimone sono io.»
Lui non disse nulla. Acconsentì solo col capo.
Quando ebbero lasciato la stanza mi rivolsi a quel bugiardo «Perchè?! » gli urlai sotto voce «Ci hanno visti e lo sai.»
Damon «Probabilmente è morto sotto al crollo come i suoi altri compagni rimasti all'interno.» mi fece presente «Non c'è da preoccupar–..» «Ah no?!» lo ancorai per il braccio «Tu.» ‹Bastardo.› «Mi hai chiamato per nome.»
I suoi arti non ebbero mezzo tremolio, nessuno, niente di niente. Come se fosse a conoscenza della sua colpa e non se ne pentisse.
«Quindi spera che sia morto per davvero.» minacciai «Perchè prima che mi possano trovare loro per ammazzarmi ci avrà già pensato Aron.»
Christian Jay (POV'S)
Mi trovavo nel suo vecchio ufficio.
‹Te la farò pagare.› -digrignai i denti.-
Quando tornai venni a sapere che uno dei due sopravvissuti aveva visto in faccia chi era stato a sparargli e non avevo perso tempo a farlo venire nel mio ufficio e ad urlargli addosso per il fatto che non gli fosse venuto in mente prima. Alla fine ci aveva pensato Caleb.
Era stato lui a parlarci e a farsi cercare di descrivere, insieme a Karií, il nostro disegnatore, il volto dell'assassino. Ci stavamo ancora lavorando. Fra le pressioni, i miei nervi tesi, un trauma cranico ed il dover scavare a forza nella sua stessa memoria, lo stavamo spremendo, fregandomene dei richiami del nostro medico.
E quella mattina stessa non potei far altro che mettergli quasi le mani addosso per strozzarlo.
«Perchè sei quà? Esci.» gli intimai mentre non facevo altro che cercare di rilassare i nervi con il mio continuo fare su e giù con la mano su quella morbida pelliccia brunastra.
Non mi parve di sentirlo andare via.
«A meno che tu non ti sia magicamente ricordato ogni micro tratto della sua faccia ti consiglio di tornare al tuo lavoro per pensa–..» nel mio straparlare, lui disse qualcosa, che però m'arrivò dopo ‹Cosa-ha-detto?› «Ripetilo.»
«C'era qualcun'altro, sempre con una pistola in mano, che ha fatto il suo nome.»
Fermai l'accarezzare della soffice pelliccia, mi girai finalmente verso di egli, i suoi occhioni scuri mi guardarono, non le diedi retta.
E così dissi «E qual è il suo nome?»
«Nicola.»
E quel nome, così simile, mi fece provare ancora più odio.
Damon Valentine (POV'S)
Guidai fino a raggiungere la sua dimora. Ero partito alle 04:00, non riuscendo a prender sonno, avevo preso su il cellulare dal comò e lo avevo chiamato.
*dlin dlon*
Suonò. Ed io ne attesi l'apertura.
Quando fui entrato non feci neanche in tempo a dire mezza parola che lui mi chiese «Che è capitato dyr?»
‹'Dyr'...› -mi ripetei.- Mi aveva sempre chiamato così, fin da quando ne avevo memoria.
Significava 'caro' in Svedese.
«Ho fatto come mi hai chiesto.» cominciai a dire «Ma sento come una sensazione negativa addosso...»
Jhon mi osservò con attenzione «Si chiama senso di colpa, ragazzo.»
Io, avevo un senso di colpa?
«Ma è normale.» si alzò in piedi «Sei stato tu e non hai detto niente. Hai detto il suo nome per far sì di tirartene fuori nel caso quell'uomo sia vivo. È normale, può capitare, sei umano.»
...FLASHBACK...
‹Perchè se ne rimane lì senza schiacciare il grilletto?!› -mi chiedo con ansia.-
Bisogna agire.
E con le mani tremanti, prendo la mira.
...FINE FLASHBACK...
Deglutiì.
E solo in quel momento me ne resi conto.
‹Ho ammazzato qualcuno.› -mi dissi- ‹Sono un assassino.›
Ebbi un sussulto quando la sua mano toccò la mia spalla.
«È la prima volta che–..› non fui in grado di dirlo ‹Non hai ammazzato per molto di più.› -mi sussurrò.- «Non ho ammazzato mio padre, ma un uomo che non mi ha fatto niente sì.» quel pensiero diventò un qualcosa che espressi ad alta voce senza volerlo.
Jhon strinse la presa sulla mia spalla «Eri solo un bambino.» ‹Non ci sono scuse.› «Un bambino non dovrebbe pensare ad uccidere un padre per mettere in salvo la sorella più piccola. E sono contento» guardai dentro ai suoi occhi «che abbia potuto farlo io al posto tuo.»
Smisi di guardarlo.
Avevo ucciso quel ragazzo in divisa perchè gli ero devoto e perchè gli dovevo la mia vita. Lui, mi aveva salvato.
‹Ma non ha salvato lei.› -mi sussurrò severa- ‹Non ha fatto in tempo.›
Crystal (POV'S)
Non riuscivo a prendere sonno. Quella giornata mi aveva sconvolto.
Avevo deciso di andare in cucina a farmi un latte caldo, ma non ebbi bisogno di aprire il frigo e né tanto meno di prendere il latte.
«Stai bene?» fu quel che le chiesi. ‹Wow, come sei gentile...› -mi diede fastidio e mi fece alzare in automatico gli occhi al cielo.-
«Sì.» rispose con un tono poco udibile.
Trascinai il cartone del latte verso di me nel mentre che non le staccai gli occhi da dosso.
Stava bene? No. Ed io lo sapevo il perchè. Da quand'era accaduto quel che accadde non era più la stessa.
Ad un tratto s'alzò dalla sedia «Ricorda che partiamo alle 06:30.»
Il giorno dopo saremmo dovute tornare alla base che avevamo nella Costa Rica, situata sull'isola di San Lucas.
19:00
Appena fui entrata dalla porta neanche mi preoccupai di portare dentro le mie cose che mi andai a buttare letteralmente sul divano, di faccia, e mi feci pure male al naso, ma questo non mi fece cambiar posizione o emettere lamenti. Rimasi semplicemente lì è basta.
«Sei sempre una principessa, vedo.»
Quella voce cruda e carica di nero sarcasmo spaccò il silenzio.
«C'è anche lei?» allungò il collo.
‹Perchè è quì?› -strinsi i pugni in due blocchi pronti a scagliarsi verso di egli.-
Nel mentre che tirai fuori la pistola stavo già digitando il suo numero.
Lui alzò le mani «Non ti preoccupare, non posso nuocerti.» mi mostrò l'aggeggio circolare che teneva al collo «Ha avuto così tanta premura nel far progettare questo dannato aggeggio che mi incatena in questa stanza, letteralmente, che non posso minimamente permettermi di uscire perchè mi ucciderebbe.»
Tirò su la maglietta e potei intravedere chiaramente la cicatrice sul suo petto ed un qualcosa che sporgeva da sotto la pelle.
Ci passò un dito sopra, in modo lento «È un "collare" speciale...»
«Sì?» la sua voce risuonò dall'altro capo «Perchè mi stai chiamando?»
«Per quale fottuto motivo lo hai fatto mandare quì?!»
«Osi parlarmi in questo modo?»
Feci sbattere i denti fra loro com'ero solita fare quando qualcosa mi mandava in bestia. ‹Odio questo suo tono da superiore del cazzo.›-li strinsi.-
«Non potevo più tenerlo quà.» mi disse.
«E per quale–..» «Non poteva più stare quà e basta.» fu autoritario.
Non mi diedi per vinta «Perchè.»
«Wu conosce conosce la mia posizione e questo complica le cose.»
Non sentivo quel nome da molto tempo.
«Sì ma non puoi spedircelo quà senza il minimo preavviso!» alzai la voce.
«E invece sì.» disse «E poi non dovete preoccuparvi, ho fatto progettare dai giapponesi un gingillo apposta per lui.»
Mi venne quasi la nausea.
Guardai verso di egli. Questo era troppo anche per me.
«Gli hai impiantato dentro al corpo una cosa che–.. Insomma, dannazione!»
Ero sempre stata abituata a di tutto e di più, ma questo, non me lo sarei mai aspettato da parti sue. La persona che avevo conosciuto ai tempi non esisteva più. O forse, non era mai esistita.
«Rimmarrà con voi fino al mio arrivo.»
Detto ciò non aspettò risposta e chiuse la chiamata.
«Hai fatto arrabbiare il re?» se la rise fra sé e sé.
Lo guardai in cagnesco, lo trucidai.
Gli andai faccia a faccia.
Lui «Sì, dai, vieni più vicino.»
Avrebbe dovuto essere una minaccia o qualcosa del genere?
Gli ringhiai muso a muso «Peccato che non ti dia anche qualche scossa quando parli.»
Non ci fu risposta, rise e basta, ed io sperai che ci soffocasse nei suoi maledetti spasmi dati dalla risata.
Mi allontanai da lui coi nervi che non facevano altro che saltarmi da tutte le parti.
Nicolas Kepler (POV'S)
*toc toc*
Senza che le diedi il permesso entrò nella mia camera.
«Ti ho portato del ghiaccio.» mi disse «Come va con la gamba?»
«È a posto.»
Mi lanciò un'occhiata ammutolitrice «Ho visto che zoppicavi.»
«Non è niente.» alzai le spalle «Ormai ho imparato a conviverci.»
Ed era la verità. Mi ero abituato a portarmi appresso questo fastidio, che a volte si tramutava in dolore, ed altre mi faceva passare le notti nello starci attento a come veniva mosso.
Il giorno in cui successe quel putiferio, quando mi crollarono sulla gamba quelle macerie, dalla quale riusciì a fuggire grazie ad un'apertura ed al mio spingere per buttare giù quel muro in un modo disperato, non potei mai andarmi a far vedere. Oramai il mio ginocchio era danneggiato e si era rimesso in sesto come aveva potuto. Non mi ero potuto permettere di fermarmi per vedere che cosa avessi, ma solo di correre. Perchè se fuggi, poi, ti tocca correre.
Carol fece spallucce «Se lo dici tu.»
E poi, fece lui la sua entrata. ‹Che palle.› -quasi sbuffai.-
Appena lei se ne fu andata mi chiese «Perchè dovresti avere un problema alla gamba?» -Lo guardai con un cipiglio- ‹Me lo sta davvero chiedendo?› «Per quale motivo mi guardi così?!»
«Lo sai che non sono mai potuto andare a farmi fare un controllo.» gli ricordai.
Aron mi guardò come se non sapesse di che cosa stessi parlando «Per cosa?» chiese poi. ‹Ovviamente.›
«Il giorno in cui ci fu il disastro causato dall'uragano Still mi caddero delle macerie addosso. Ti ricordi che non riuscivo praticamente a camminare quando mi incontrasti?»
«Non ci avevo pensato.» -E ancora una volta pensai- ‹Ovviamente.› «Non ne parli mai.»
Un fastidio prorompente mi si impresse nei nervi.
«E cosa te ne dovrei parlare a fare?!» alzai la voce «Se addirittura quando fosse ovvio mi dicevi di correre, ora, cosa te lo dovrei dire a fare?»
Non disse niente.
«Che te ne importerebbe?»
Non ebbi risposta.
«Non mi hai mai chiesto come stessi.» e reincarai la dose «Tu pensi solo a te stesso.»
«Domani puoi alzarti alle 11:00.» mi disse mentre si trovava già fuori dalla porta.
Mi venne da ridere, lo feci in modo sguaiato.
Ad un tratto presi l'accendino che avevo sul comodino e lo scagliai contro alla parete con impeto.
‹Questo sa fare.› -pensai con rabbia- ‹Non gliene frega un cazzo!›
‹Cerca di capi–..› ‹No. Sono stufo, di essere sempre io a doverlo capire.›
Perchè questo era.
Christian Jay (POV'S)
‹Dovresti smetterla di stare quì.› -mi disse, ma non l'ascoltai.- Non facevo altro che pensarci, e più ci pensavo, più la questione mi puzzava.
S'udì un rumore.
‹E poi non sono il solo che continua a stare quì.›
Le feci segno di venire da me e così mi si avvicinò. La presi in braccio, tornando ad accarezzarle quel pelo morbido.
«Tu cosa ne pensi di tutto questo?» piegò la testa di lato «Perchè io ho questa sensazione che ci sia qualcosa che non so.»
E non la sentiì neanche arrivare.
«Dovresti smettere di parlare con quel cane.»
Alzai lo sguardo su di lei percorrendone la figura slanciata.
«Perchè sei quì?»
«E tu?» controbatté Anastasia.
Mi diedi un'occhiata attorno, osservando questa stanza vuota.
La lasciai giù.
«Questo cane, come lo chiami tu, ha un nome.» la ammoniì «K-a-l-i.»
«Non serviva lo spelling.» si abbassò per lasciarle una carezza quando le passò affianco.
Decisi di uscire dalla stanza.
«La porta chiudila tu.»
Nella mia camminata a passo spedito, quando arrivai davanti alla porta del generale Hopkins, rallentai. Non mi era mai piaciuto quest'uomo. Si era sempre atteggiato con ruoli che non gli appartenevano.
E in quell'esatto momento, la porta venne aperta.
«Ex colonnello.» ‹Cosa vuole da me?› «Ti stavo cercando, entra.» e feci come disse, senza che mi facesse accomodare, parlò ancora «Di recente hai commesso un errore di un certo calibro» ‹Errore, io...?› «mettiamola così–..» «Mi perdoni–..» «Ho una certa missione per te, per far sì che tu possa compensare il tuo sbaglio.»
«Che cosa intende dire?» fui innanzitutto curioso.
Si sedette «Ci sarà una gara.» ‹Una gara.› «Corse clandestine.» e prima di procedere si alzò per andare a chiudere la porta «È un qualcosa che deve rimanere fra noi due.»
Lo guardai con circospezione «Di che cosa si dovrebbe trattare?»
Forse fu un abbaglio ma nei suoi occhi vi lessi una scintilla non benevola «Sto cercando un uomo, un certo Christopher Alan, che possiede tutti i contatti della mala, o perlomeno la maggior parte.»
Tutto questo sapeva dannatamente di bruciato.
Io «È un'operazione importante.»
«Sì.»
«Nessuno lo deve sapere.»
«Esatto.»
«Ci sono vite in gioco.»
«Tante.»
«Sì.»
«Come la mia.»
«S–..» ‹Sì?› «Stai facendo un po' troppe constatazioni.» sembrò alterarsi «Non ne faceva, tu perchè devi?»
«E lei perchè mi sta chiedendo di svolgere un'operazione importante di cui però nessuno deve sapere?» gli feci io «Perc–..» -E la botta, mi arrivò dopo- ‹Aspetta.› «Di chi sta parlando?» e lo vidi, il suo tentennare «Non ne faceva... chi?»
Mi rimase a guardare.
Stavo prendendo le mie cose per far ritorno a casa, ero ancora nervoso.
Si udì dal corridoio il provenire dei suoi passi ritmici che battevano sul pavimento, mi ero sempre chiesto come facesse a camminare tutto il giorno con quegli stivali col tacco dodici.
Infuriata mi sbraitò subito contro «Che diavolo è successo con Hopkins?!» ‹Ma perchè questa quà viene sempre a sapere tutto?› -mi chiesi con riluttanza.- ed io, sbuffai.